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UN PASSO AVANTI, MA PICCOLO PICCOLO. LE REAZIONI INTERNAZIONALI ALLE NUOVE NORME ANTIPEDOFILIA

Tratto da: Adista Notizie n° 64 del 31/07/2010

35721. ROMA-ADISTA. Un passo avanti, ma insufficiente: è questo, in generale, il giudizio della stampa internazionale (laica e confessionale) sulle nuove norme emanate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 15 luglio scorso per fare fronte agli abusi sessuali (v. Adista n. 61/10). In particolare questo è il giudizio che proviene dagli Stati Uniti, Paese che, al momento, rappresenta la punta più avanzata della “tolleranza zero” in materia di politiche anti-abuso.

 

Norme che non toccano la sostanza

Critico il settimanale cattolico National Catholic Reporter, che affida a due prestigiosi canonisti (16/7) le valutazioni. Secondo Nicholas Cafardi, avvocato civilista e canonista, docente presso la Duquesne University School of Law di Pittsburgh, il nuovo documento “lascia ancora la Chiesa universale di qualche passo indietro rispetto alla Chiesa Usa”. Nessun riferimento, per esempio, alla norma applicata negli Stati Uniti che obbliga il vescovo ad allontanare dal ministero chi è colpevole anche solo di un abuso: “Una norma che ha funzionato bene negli Usa”. Il card. William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sicuramente ne è al corrente: perché dunque non trasformarla in legge universale della Chiesa? “È passato da molto, nella nostra Chiesa, il tempo di dire una cosa e di farne un’altra”; il cardinale, prosegue Cafardi, avrebbe dovuto far diventare parte del sistema giuridico universale della Chiesa le parole di Giovanni Paolo II che, ai vescovi americani, disse, nel 2002: “La gente deve sapere che non c’è posto, nel sacerdozio, per chi può danneggiare i bambini”. “Questa opportunità – afferma Cafardi – è stata persa tragicamente la scorsa settimana”.

Non solo: tanto nelle norme applicate in Usa - che spostano il peso della colpa dai vescovi ai preti responsabili degli abusi - quanto nel nuovo documento vaticano, nulla si dice del destino che attende i vescovi colpevoli di copertura. E se in Irlanda, a differenza degli Usa, alcuni vescovi hanno avuto il coraggio di dimettersi, si tratta di scelte individuali, non vincolate da alcuna norma canonica. Qualcosa, sotto l’aspetto giuridico, si potrebbe però fare, a partire dal canone 1389, che al comma 2 stabilisce che “chi, per negligenza colpevole, pone od omette illegittimamente con danno altrui un atto di potestà ecclesiastica, di ministero o di ufficio, sia punito con giusta pena”. È tempo, dunque, che la Congregazione per la Dottrina della Fede dia inizio a “questi processi canonici di vescovi che hanno trasferito altrove preti pedofili”, conclude Cafardi: “Spetta a lei, card. Levada, colmare la parte mancante del diritto canonico”.

Di “aspetti positivi e negativi” parla Tom Doyle, prete, canonista e terapeuta, da lungo tempo attivo a fianco delle vittime di abuso. Tra quelli positivi, il fatto di aver delegato alla Cdf il potere di giudicare vescovi e cardinali; tra quelli negativi, l’assenza, nella lista di crimini canonici soggetti alla Cdf, della mancata denuncia da parte dei vescovi: cosa che “inchioderebbe la maggioranza dei vescovi Usa, sia attivi che in pensione”. Si tratta, afferma Doyle, di un crimine devastante, per le vittime, tanto quanto l’abuso stesso. Di rilievo, invece, la norma n. 4, che prevede la facoltà di “sanare gli atti in caso di violazione delle sole leggi processuali ad opera dei Tribunali inferiori, salvo il diritto di difesa (art. 18)”; ciò comporta, spiega il canonista, una correzione di errori procedurali che potenzialmente elimina la prassi di abbandono dei casi in cui tali errori fossero stati commessi. Quanto all’aumento dei termini di prescrizione, si tratta di un passo modesto: “Sarebbe stato meglio elevare il periodo a 40 anni. Anzi - sottolinea -, sarebbe stato meglio in assoluto eliminare del tutto i termini di prescrizione”, che sono “una presunzione a favore del criminale”.

Quanto alla “cappa” del segreto, essa non è stata eliminata, osserva Doyle, e continua a riflettere “l’ossessione del Vaticano per l’immagine”. Sono i regimi totalitari, aggiunge, a “dispensare la loro particolare versione della giustizia dietro porte chiuse”. Deleteria, poi, l’ottava norma, che stabilisce i delicta contra fidem, cioè eresia, apostasia e scisma, ora affidati ai vescovi ordinari: “Il potenziale di cattivo uso di questa norma e la conseguente negazione di un processo e del diritto di libera espressione alle persone che, secondo i vescovi, non la pensano come loro, è terrificante”. Il problema più grave delle nuove norme, tuttavia, conclude Doyle, è che in Vaticano “continuano a negare la questione fondamentale: la natura della struttura monarchica clericale della Chiesa istituzionale e il suo ruolo nello smantellamento sistematico della realtà della Chiesa come popolo di Dio”.

“Baby steps”

Anche la stampa laica statunitense bolla come baby steps (passi da infante) le misure adottate dal Vaticano. “Se il Vaticano sta cercando di ridare l’impressione che il suo senso morale sia intatto, la pubblicazione di un documento che equipara la pedofilia con l’ordinazione delle donne in realtà non lo fa”, scrive Maureen Dowd sul New York Times (16/7). Il documento “non prevede una politica di tolleranza zero per dimettere dallo stato clericale i preti colpevoli di pedofilia; non ha ordinato ai vescovi di denunciare ogni caso di abuso alla polizia; non ha stabilito sanzioni per i vescovi che nascondono l’abuso come polvere sotto il tappeto; non ha eliminato i termini di prescrizione per le vittime; non ha detto ai vescovi di smettere di sostenere le legislature per evitare che le leggi sugli abusi vengano rese più severe”.

 

Il giudizio dei vescovi

Come prevedibile, la valutazione delle nuove norme da parte dei vescovi è stata generalmente positiva. Soddisfatto il vescovo irlandese di Dromore, mons. John McAreavey, copresidente del Consiglio per le comunicazioni dell’episcopato irlandese, secondo quanto si legge sull’agenzia Icn. “La pubblicazione delle nuove norme – afferma – rafforza parti del diritto ecclesiale e copre tutte le violazioni del diritto considerate eccezionalmente gravi. Accolgo con favore questa pubblicazione esauriente e aggiornata che ci aiuterà a affrontare questo crimine e peccato gravissimo dell’abuso sessuale sui minori”.

Identica la posizione del presidente dei vescovi tedeschi mons. Robert Zollitsch, che ha espresso riconoscenza per il documento della Cdf, che, a suo avviso, lancia “un segnale chiaro” e rappresenta “una testimonianza univoca a favore delle vittime”, che dimostra che “Chiesa tedesca e Chiesa universale vanno nella stessa direzione”. Fanno eco i vescovi svizzeri: in un comunicato firmato dal segretario generale della Conferenza episcopale, mons. Felix Gmür, affermano infatti che “nel comportamento coerente del Vaticano la Conferenza episcopale svizzera si vede sostenuta nei propri sforzi per lottare in modo fermo contro tutte le forme di aggressione sessuale”.

 

La questione dell’ordinazione femminile

Il fatto che l’ordinazione sacerdotale di una donna trovi posto tra i delicta graviora accanto alla pedofilia ha suscitato enormi proteste. Lo stesso giorno della pubblicazione delle nuove norme, mons. Donald Wuerl, arcivescovo di Washington e presidente della Commissione sulla Dottrina della Conferenza episcopale Usa, ha riaffermato che il sacerdozio è “fin dall’inizio riservato agli uomini, fatto che non può essere cambiato nonostante i tempi cambino”. La decisione vaticana di dichiarare l’ordinazione femminile un crimine tra i più gravi, ha detto, riflette “la serietà con cui valuta le offese contro il sacramento dell’Ordine”, e non è un segno di mancato rispetto nei confronti delle donne.

Immediata la protesta. Il giorno successivo, un cartello di 27 organizzazioni cattoliche di tutto il mondo (tra le quali DignityUsa, Call to Action, Catholics for Choice, Corpus, Hommes et Femmes dans l’Eglise, Noi siamo Chiesa, Pax Christi Maine, Roman Catholic Womenpriests, National Coalition of American Nuns) ha emesso un comunicato con cui esprime indignazione per il fatto che “lotte in buona fede per l’uguaglianza di genere siano intese come sacrilegio e messe alla pari con l’abuso sessuale sui bambini” e si ricorda che “nel 1976, la Pontificia Commissione Biblica vaticana concluse che non vi era alcuna valida ragione scritturistica per negare l’ordinazione alle donne”. Le nuove norme, si legge nel comunicato, non sono che un “riconfezionamento” delle norme del 2001 con “pochi cambiamenti significativi alle procedure canoniche”, e per una comunità “spezzata dai crimini dei suoi leader” sono necessarie politiche globali di protezione dell’infanzia.

La scelta del Vaticano è stata poi definita “deprecabile, offensiva e allarmante per tutti i cattolici del mondo” dalla presidente della Women’s Ordination Conference, Erin Saiz Hanna. “L’idea che una donna che cerca di diffondere il messaggio di Dio in qualche modo ‘contamini’ l’Eucaristia rivela una Chiesa antiquata e retrograda che considera ancora le donne come ‘impure’ e empie”.

“Chiediamo la fine della misoginia nella Chiesa cattolica”, fa eco il gruppo Roman Catholic WomenPriests, che nel corso degli ultimi otto anni ha ordinato un centinaio di donne al sacerdozio e all’episcopato. “Chiediamo che il Vaticano adotti riforme per trasformare le leggi e le pratiche della Chiesa in modo che riflettano trasparenza, credibilità, giustizia e uguaglianza per tutti”. (ludovica eugenio)

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