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UN CALVARIO SENZA FINE

Tratto da: Adista Documenti n° 67 del 11/09/2010

Il terremoto del 12 gennaio scorso ha provocato un impressionante e doloroso succedersi di devastazione, distruzione, lacrime e perdite irreparabili. Più di sei mesi dopo, la situazione dei diritti della persona appare allarmante. Tuttavia, sembrerebbe che le strutture di dominazione non abbiano sofferto la benché minima scossa. Al contrario, le strutture della nostra società, caratterizzate dall’esclusione brutale della maggioranza della popolazione e dalla violenza strutturale contro le masse popolari, sembrano rafforzarsi. Il che implica un accelerato aggravarsi del processo di impoverimento, con la crescita della dipendenza e la conferma della decadenza collettiva.

Pare che alcuni degli attori stranieri più potenti traggano grande profitto dalla crisi post-terremoto, ponendoci sotto una tutela quasi totale, mentre i responsabili haitiani non muovono un solo dito. La situazione vissuta dalla popolazione haitiana traumatizzata dal terremoto è totalmente i-naccettabile. Più dell’80% del milione e 600mila persone che stanno vivendo in accampamenti improvvisati soffre situazioni angoscianti e precarie, caratterizzate dall’assenza totale di sicurezza alimentare: ogni giorno la loro sopravvivenza è minacciata dalle tormente, dal caldo, dalle malattie, dalle piogge, dalla probabilità dell’arrivo di un ciclone e dalla mancanza di accesso a servizi essenziali, soprattutto all’edu-cazione e alla salute. L’aspetto più doloroso è che non solo è in pericolo la loro sopravvivenza ma anche che le autorità non offrono alcuna prospettiva di soluzioni convincenti a medio e lungo termine. Gli abitanti degli accampamenti improvvisati non sanno per quanto tempo durerà questo calvario, né se finirà in uno, cinque o dieci anni. Oltre a ciò, crescono l’odio e il disprezzo sociale contro questa moltitudine di “nuovi emarginati”, etichettati come criminali o “profittatori”, quando, in realtà, sono vittime di ogni tipo di discriminazione e segregazione.

L’attuale governo ha dato avvio ad un Piano d’Azione per la Ripresa e lo Sviluppo Nazionale (Pardn), presentato e adottato a New York il 31 marzo 2010 senza alcuna concertazione seria con gli altri soggetti nazionali. Tale piano riprende le stesse politiche che il Paese si era già impegnato ad applicare e non offre alcuna soluzione convincente per superare la crisi. Il processo di rifondazione, nelle sue dimensioni territoriale, economica, sociale e istituzionale, non ha alcuna possibilità di materializzarsi in questo contesto di politiche neoliberiste, strutture escludenti e consolidamento della tutela straniera sul nostro Paese.

Il meccanismo della Commissione Provvisoria per la Ricostruzione di Haiti (Cirh) è antidemocratico ed equivalente ad un funerale ufficiale delle istituzioni statali. Di fatto, per il mandato concesso alla Cirh, quello di “garantire il coordinamento e la gestione efficiente delle risorse” e di “eseguire un Piano di Sviluppo per Haiti”, questo nuovo organismo sostituisce chiaramente il Potere esecutivo. I riferimenti a questioni come “efficienza”, “trasparenza”, “responsabilizzazione” sono accuse esplicite agli attuali dirigenti, i quali, firmando questo documento, hanno riconosciuto la propria incompetenza ad obbedire al mandato loro conferito nelle urne. Poche volte si è assistito ad un suicidio politico così spettacolare. Il Potere esecutivo haitiano e la maggior parte dei nostri parlamentari hanno deciso di condannare il nostro Paese ad una situazione instabile e indegna.

La Cirh assomiglia alle delegazioni inviate dai colonialisti francesi prima del 1804 ed è una copia del “tesoriere generale” nominato dall’occupazione americana, nel 1915, per amministrare le finanze pubbliche del nostro Paese. La Cirh richiama quell’“incapacità degli haitiani a dirigere il loro Paese” proclamata dal discorso colonialista e neocolonialista negli ultimi 206 anni. Viene a completare il dispositivo costituito dalla Forza Multinazionale Provvisoria, nel febbraio del 2004, e dalla Minustah (Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti), nel giugno del 2004. Con la completa soppressione dei nostri spazi di sovranità, la Cirh dà il tocco finale al dispositivo di occupazione e amministrazione internazionale. È impressionante ritrovare oggi gli stessi argomenti utilizzati per giustificare l’occupazione militare del 1915. Un rapporto ufficiale del 1909, rivolto al Dipartimento di Stato e firmato da H. W. Furniss, affermava: “Dopo aver vissuto per quasi tre anni ad Haiti e aver realizzato uno studio minuzioso sulle persone e sul governo, sono arrivato alla conclusione che, nel quadro dell’attuale sistema, è impossibile che vi sia un buon governo diretto da haitiani. In virtù dell’informazione raccolta durante i miei viaggi di città in città, per tutto il Paese, sono convinto che, malgrado sia uno dei Paesi più ricchi di risorse naturali dei Tropici, Haiti non possa svilupparsi né arrivare ad essere una nazione gradevole e prospera senza cambiare completamente il sistema di governo, la qual cosa necessiterebbe del sostegno morale e materiale di una nazione più potente (gli Stati Uniti), poiché un cambiamento del genere gli haitiani non potrebbero ottenerlo da soli”.

Le decisioni adottate nel 1915 sono, in parte, quelle che hanno provocato il naufragio del nostro Paese. L’occupazio-ne militare del 1915 non portò la pace né la prosperità promessa. L’occupazione militare statunitense aggravò la crisi strutturale degli inizi del XX secolo proprio come la Cirh aggraverà l’attuale crisi, accelerando il collasso nazionale.

Quello che si sta tentando di fare è di trasformare il nostro Paese in una società diretta dai rappresentanti della Banca Mondiale che già hanno dimostrato la loro completa incompetenza in materia di politiche di sviluppo. Un Paese come Cuba, che mantiene con Haiti, dal 1998, rilevanti programmi di cooperazione, soprattutto nel campo della salute pubblica, non è stato invitato a partecipare al club dei “donatori” che compongono la Cirh. E i rappresentanti haitiani sono in maggioranza designati dal Potere esecutivo senza aver ricevuto un mandato chiaro da parte dei settori che si suppone rappresentino.

Quali sono i meccanismi democratici che hanno determinato la scelta dei rappresentanti del Parlamento, del settore privato, degli emigrati, del settore sindacale e delle ong nazionali? Perché il settore contadino, che rappresenta più del 60% della popolazione, non ha trovato posto nella Cirh? Quando si sono svolte le riunioni, chi ha determinato la scelta dei rappresentanti?

 

Un colossale fiasco

Il carattere grossolano e caricaturale di questo processo ci mostra come si tratti nient’altro che di una grande farsa che contraddice qualsiasi spirito democratico e che apparirebbe comica se non fosse in gioco il destino del nostro Paese. Quella che viene chiamata “Comunità internazionale” ci sta imponendo un meccanismo totalmente antidemocratico e contrario alle leggi haitiane e alla Costituzione del 1987, aggiungendo tutti gli ingredienti necessari per l’aggra-varsi della crisi politica e istituzionale. L’appoggio incondizionato delle Nazioni Unite al processo elettorale diretto dall’attuale Consiglio Elettorale Provvisorio mette in evidenza una strana cecità.

La Cirh si è costituita il 31 marzo del 2010 ed è stata formalizzata dal Parlamento haitiano il 16 aprile scorso, ma ad oggi non è ancora operativa. La commissione terrà la sua seconda riunione il 17 agosto e ancora non ha designato un direttore esecutivo. Solo la Norvegia, il Brasile e l’Estonia hanno inviato una parte dei fondi stanziati a New York, pari all’1,5% del totale dei soldi promessi in sede Onu. Sei mesi dopo il terremoto, e ancora in situazione di urgenza, l’or-gano designato per guidare il processo di “ricostruzione/rifondazione” non è stato capace di organizzare due riunioni. Secondo fonti affidabili, la lotta per il controllo dei 9.900 milioni di dollari promessi è in pieno svolgimento. Il dispositivo applicato garantirebbe alle imprese transnazionali americane di beneficiare dell’85% dei fondi raccolti. Ciò spiegherebbe la resistenza mostrata da altri donatori, principalmente europei e canadesi. Ogni Paese starebbe cercando di assicurare alle proprie imprese la possibilità di trarre profitto dalla “ricostruzione di Haiti”. Non è necessario richiamare l’attenzione sullo scandalo che tali accordi rappresentano a fronte del livello di precarietà in cui vivono, quotidianamente, le vittime del terremoto e l’insieme delle classi popolari nel nostro Paese.

Denunciamo il fatto che la Cirh sia uno strumento diretto a dare il tocco finale al processo di ricolonizzazione del nostro Paese. La Cirh è anche la cronaca di un fallimento annunciato. Chi può prendere sul serio un organo con tante responsabilità capace di un fiasco come quello della riunione in Punta Cana e che poi ha impiegato più di due mesi a organizzare una seconda riunione?

Invitiamo tutti a respingere con veemenza il cammino preso dal governo di Haiti e dagli imperialisti. Iniziamo a lavorare ad una costruzione alternativa basata su un processo autentico di liberazione nazionale.

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