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MONS. CREPALDI SUL REFERENDUM: NIENTE DA FESTEGGIARE!

Tratto da: Adista Notizie n° 51 del 02/07/2011

36203. TRIESTE-ADISTA. Il risultato del referendum sull’acqua? Niente di cui rallegrarsi a detta del vescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, che in una lunga riflessione pubblicata sul settimanale diocesano Vita nuova (17/6) mette all’indice quella parte di mondo cattolico spesasi per il successo del referendum del 12 e 13 giugno scorsi.

Crepaldi parla di una forma di «integralismo progressista» «legata all’ampio abuso di citazioni bibliche ed evangeliche adoperate in modo avventuroso»: «Si è sentito di tutto», lamenta; «è stata perfino utilizzata la richiesta di Gesù sulla croce, “ho sete!”, per sostenere l’esigenza di andare a votare». «Un aspetto tipico di questo integralismo metodologico – prosegue il vescovo – è stata l’enunciazione di principi astratti ed assoluti, “l’acqua bene comune”, “l’acqua diritto universale”, “l’acqua bene primario creato da Dio”, dai quali – secondo Crepaldi – si sono dedotti impropriamente immediati comportamenti elettorali».

Un metodo che, secondo il vescovo, «non aiuta a comprendere né la concretezza delle problematiche storiche né la fecondità orientativa del Vangelo», e che «è stato purtroppo ampiamente applicato anche alla Dottrina sociale della Chiesa: ora è stata citata una frase del Compendio, ora una della Caritas in veritate, ma in modo molto discutibile e fuori del contesto. Non è stata tenuta presente la connessione reciproca tra i principi della Dottrina sociale della Chiesa, per esempio tra quello della destinazione universale dei beni e quello della sussidiarietà. Si sono trascurati interi capitoli delle recenti encicliche. Non si è distinto – dice ancora – tra beni pubblici, beni collettivi, beni comuni. Non si è chiarito che un bene può essere pubblico e non gestito dallo Stato. Si è confuso il problema dell’acqua in Italia con quello dell’acqua in Africa».

«Distorsioni» che secondo Crepaldi si pagheranno in futuro: «Se non applico il principio di sussidiarietà al tema dell’acqua, mortificando la società civile, come potrò poi far valere quello stesso principio per chiedere la libertà di educazione?», si chiede.

«Trasformare il quesito referendario nel dilemma “privatizzazione sì privatizzazione no” è un vero e proprio non senso», commenta Crepaldi. «Molti cattolici penseranno di avere “vinto” o di aver contribuito a far vincere la causa giusta. In realtà hanno fatto vincere il vento del mondo, e ad un prezzo piuttosto alto. Una minore ingenuità, a questo proposito, sarebbe stata molto utile. Può capitare – è lo scenario che dipinge mons. Crepaldi – che uno pensi di andare a votare per l’acqua e invece voti per il divorzio breve. Ogni appuntamento referendario ha anche una ricaduta sul quadro politico. Si vota sull’acqua, ma le ripercussioni politiche aprono (o chiudono) altre porte. Può capitare che uno pensi di andare a votare per l’acqua insieme ad associazioni che promuovono i diritti umani. Poi però si accorge che quelle associazioni che promuovono i diritti umani e votano con lui per l’acqua sono anche a favore dell’aborto, lo sostengono teoricamente e lo promuovono praticamente. Il voto sull’acqua – conclude – non è stato solo un voto sull’acqua. Di quel voto altri ne approfitteranno per fare cose che ai cattolici non dovrebbero andar bene». (i. c.)

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