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Freedom Flotilla Angela Lano: «Verso Gaza, nonostante tutto»

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 58 del 23/07/2011

Questa volta Israele non ha dovuto neppure ricorrere alle armi per fermare la Freedom Flotilla: sono bastate le pressioni esercitate a livello internazionale per arginare il convoglio di attivisti dei diritti umani diretto alla Striscia di Gaza. Il governo greco infatti, assecondando la volontà di Israele, ha impedito alle navi della Flotilla, ormeggiate presso i suoi porti, di salpare verso la Striscia. Abbiamo chiesto alla giornalista e orientalista Angela Lano – direttora dell’agenzia di stampa Infopal.it, che pubblica notizie e informazioni culturali, politiche e sociali sulla Palestina e che ha preso parte a entrambe le edizioni della Freedom Flotilla (dopo aver partecipato al convoglio dello scorso anno, ha scritto il libro Verso Gaza. In diretta dalla Freedom Flotilla; Emi, 2010, pp.169, euro 11) – di raccontarci i giorni a bordo della nave italo-olandese “Stefano Chiarini”.

 

Parlaci degli avvenimenti che hanno preceduto la mancata partenza della Freedom Flotilla.

Dopo un mese di preparativi, verso il 20 giugno, ci siamo ritrovati tutti in Grecia, dove erano ormeggiate 8 delle 10 barche di cui era composto il convoglio (quella irlandese era ormeggiata in Turchia e quella scozzese era ancora in Gran Bretagna). I giorni precedenti la partenza – prevista dagli organizzatori tra il 28 e il 30 giugno – sono stati caratterizzati da un grande lavorio da parte israeliana per fermare la Flotilla. Israele infatti non poteva permettersi di attaccare il convoglio come ha fatto lo scorso anno: ne andava della sua immagine. Per mesi dunque ha operato sul piano diplomatico facendo pressioni sui governi dei 22 Paesi di provenienza delle organizzazioni partecipanti alla Flotilla: un lavoro culminato, nei giorni immediatamente precedenti la partenza, con le fortissime pressioni esercitate sul governo greco; con diversi sabotaggi alle navi del convoglio; con la lettera di Oren Helman, direttore dell’Ufficio stampa del governo israeliano, che invitava i giornalisti a non partecipare al convoglio, pena il divieto di ingresso in Israele per dieci anni, la confisca delle attrezzature e altre sanzioni.

Il 1° luglio, il governo greco ha emesso una dichiarazione in cui affermava che avrebbe vietato alle barche di salpare, con una doppia strategia: facendo leva sul fatto che alla maggior parte delle barche mancava un qualche tipo di documento; e, in seconda istanza, per evitare che la Flotilla riuscisse a regolarizzare tutte le navi, richiamandosi a una legge (l’articolo 128 del Codice Navale, ndr) che vieta alle navi di salpare per ragioni di sicurezza.

A poche ore da questa dichiarazione, la nave americana “Us Boat ti Gaza” ha deciso di salpare. Dopo aver navigato per circa 45 minuti, 3 miglia nautiche, nelle acque greche, è stata fermata dalla marina greca arrivata con le teste di cuoio. Il capitano della nave ha passato tre giorni in carcere.

 

Vi aspettavate questo atteggiamento da parte del governo greco?

La Grecia è sempre stata solidale con il popolo palestinese, ma forse si poteva prevedere che la devastante situazione in cui versa avrebbe potuto condizionare il governo, se sottoposto a ricatto economico.

 

Rispetto allo scorso anno cosa è cambiato?

Innanzitutto c’è stato un allargamento della Flotilla: dalle 6 organizzazioni che hanno promosso la prima edizione siamo passati alle 22 di quest’anno. In secondo luogo, sul piano mediatico, mentre lo scorso anno la Flotilla è partita in totale sordina, soprattutto per quanto riguarda la copertura da parte della stampa europea, quest’anno vi partecipavano direttamente diversi inviati italiani (Repubblica, il manifesto, Il Fatto quotidiano) ed europei. Nonostante il fallimento della missione, questo può essere considerato un risultato: una vittoria, per quanto parziale.

 

Rispetto alle pressioni di Israele che atteggiamento avete registrato presso gli altri governi coinvolti?

Solo l’Irlanda si è opposta ufficialmente alle pressioni esercitate dal governo israeliano. Tra gli altri, il caso francese è però un po’ particolare: ufficialmente, il governo si è accodato al tentativo di dissuadere i partecipanti, ma gli organizzatori ci hanno raccontato che in via ufficiosa hanno invece ricevuto sostegno. Quanto alla “Stefano Chiarini”, l’imbarcazione italo-olandese del convoglio, visto l’appoggio fornito dal governo italiano a quello israeliano, questa è stata allestita a Corfù, anziché in Italia.

 

Quali sono i prossimi passi della Flotilla?

A parte i disperati tentativi di partire alla volta di Gaza delle tre barche (canadese, greco-svedese e francese) rimaste nella acque greche, la Flotilla sta già pensando di organizzare un nuovo convoglio per settembre. Evitando però di salpare dalla Grecia.

 

Riponi speranze nella richiesta all’Onu di riconoscimento dello Stato palestinese?

Posto che si tratterebbe del riconoscimento di uno Stato virtuale che non ha confini precisi poiché la continua colonizzazione della West Bank da parte israeliana è evidente, penso che Israele anche in questo caso farà di tutto per impedirlo.

 

Gli sconvolgimenti nordafricani hanno determinato qualche miglioramento per il popolo palestinese, in particolare per quanto riguarda la Striscia di Gaza?

Avrebbero potuto, ma non è successo. Anche la tanto declamata apertura permamente del valico di Rafah, sul confine con l’Egitto, si è tradotta in un nulla di fatto: la lunga trafila burocratica necessaria fa sì che il valico sia aperto solo per pochi eletti. In sostanza per il popolo palestinese non è cambiato niente.

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