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Norberto Bobbio, uomo del dialogo e del dubbio

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 74 del 15/10/2011

Politica, fede, religione e nonviolenza sono i temi principali del lungo dialogo epistolare, durato quasi vent’anni, fra Enrico Peyretti, credente e nonviolento, e Norberto Bobbio, agnostico in perenne ricerca. Un dialogo che ora viene pubblicato dalla Claudiana (Enrico Peyretti, Dialoghi con Norberto Bobbio su politica, fede, nonviolenza, pp. 256, euro 15) non come omaggio celebrativo al filosofo torinese scomparso nel 2004, ma per raccontare «il piacere di discutere».

«Dal 1980 – ricorda Peyretti – partecipai ai seminari di Bobbio su etica e politica al Centro studi Piero Gobetti. Da lì ho cominciato a scrivergli delle lettere, e lui spesso mi rispondeva, come del resto faceva con molte altre persone. Dietro un carattere apparentemente burbero, c’era un uomo molto attento ai rapporti personali: scriveva lettere, riceveva persone in casa, si era ritagliato un tempo quotidiano proprio per questo. Negli anni ho raccolto molti testi – in verità più miei che suoi – e così ho deciso di pubblicarli, con il consenso dei suoi familiari. Non per celebrare Bobbio, ma per raccontare il nostro lungo dialogo, perché lui ci ha insegnato a discutere, ci ha insegnato il piacere di discutere».

Veniamo ai temi del libro. La pace che, come scrivi nell’introduzione, Bobbio riteneva impossibile per questa umanità...

Il suo è un pessimismo antropologico, fondato su un realismo disincantato. Hobbes che teorizza homo homini lupus è il suo filosofo. Bobbio pensava che la pace fosse necessaria, ma riteneva anche che senza un terzo sopra le parti che avesse la forza di imporre la pace, la pace stessa sarebbe stata impossibile. Dopo il 1989 e la caduta dei regimi dell’Est, e quindi il venire meno di uno dei due contendenti, il suo pessimismo si è un po’ mitigato, ma riteneva anche che il crollo dell’Urss e dei Paesi satelliti non fosse frutto di “rivoluzioni nonviolente”, bensì della guerra non combattuta con gli eserciti, ma ugualmente vinta dagli Usa e dal sistema capitalistico. Era quindi un pacifismo esclusivamente giuridico-politico.

 

Bobbio ha nutrito sempre forti dubbi sulla nonviolenza?

Sì. Ne abbiamo discusso molte volte, in coda al volume c’è una sorta di sintesi di questo nostro lungo dibattito, ma i dubbi sull’efficacia della nonviolenza non li ha mai superati, proprio a causa del suo inguaribile pessimismo sulla natura dell’uomo. La migliore realizzazione del ‘900 per Bobbio è stata la proclamazione dei diritti umani, e il più alto atto di nonviolenza realizzata è stata la democrazia: contare le teste invece di tagliarle. Sebbene in un’altra opera abbia evidenziato tutte le «promesse mancate» della democrazia, di cui riconosce tutti i limiti storici.

Un altro tema presente nel vostro dialogo epistolare è quello del senso della vita, che si intreccia con la religione e con la fede. E Bobbio, scrivi ancora nell’introduzione, sembra quasi affermare che «non c’è alcun senso»...

Era un illuminista con un grande senso degli interrogativi e delle domande – quindi lontano sia dal dogmatismo che dal nichilismo – tanto che diceva di non credere ad una religione, ma di possedere una religiosità. Il card. Martini condivise il suo pensiero: la vera differenza non è fra credenti e non credenti, ma fra pensanti e non pensanti, ovvero fra coloro che si pongono le grandi domande della vita e quelli che invece non lo fanno.

 

Ma alcuni punti fermi li aveva?

Certamente: la democrazia e l’antifascismo, senza se e senza ma. Quando aveva 25 anni, all’inizio della sua carriera accademica, Bobbio scrisse una lettera a Mussolini, perché aveva qualche timore di essere emarginato. Nel 1991 Giuliano Ferrara la tirò fuori e la pubblicò. Bobbio rispose, e disse: è vero, l’avevo completamente rimossa dalla memoria, sono imperdonabile! Barbara Spinelli, quando Bobbio morì, scrisse che questo era l’atto più religioso che un uomo possa compiere: mettere la verità davanti a se stesso. E questa è la religiosità di Bobbio: la verità davanti a se stessi.

 

Riconosceva qualcosa al cristianesimo?

La carità. «Io non faccio la carità, i cristiani sì», scrive. E lo dice come una sorta di confessione, ma in realtà la faceva la carità. Apprezzava i missionari, che per lui erano quelli che parlavano poco ma facevano molto. E ovviamente disapprovava il contrario: «Non capisco come fanno a stare insieme carità e vanità», mi disse una volta.

Avete anche dialogato sulla Chiesa cattolica?

Ovviamente le sue opinioni erano quelle di un laico senza tentennamenti. Aveva letto con grande attenzione l’enciclica di Giovanni Paolo II, Fides et ratio, e ricordo che era perplesso sul fatto che il papa si occupasse di ragione e di filosofia quando secondo lui invece il vero problema era il potere della scienza.

 

Avete affrontato nuovamente il tema politico, con il binomio destra-sinistra...

Per Bobbio la differenza è di carattere morale, fra chi tollera la sofferenza di alcuni – a causa di povertà, emarginazione, diseguaglianza – e chi invece non la sopporta. E, nella sua apparente freddezza, mi pare un pensiero molto “caldo”.

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