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FLYTILLA: ENNESIMO ABUSO DEL GOVERNO ISRAELIANO. CHE PERÒ FA AUTOGOL

Tratto da: Adista Notizie n° 16 del 28/04/2012

36654. ROMA-ADISTA. Come si coniuga la pretesa di essere «l’unica democrazia del Medio Oriente» con gli arresti, le deportazioni e le pressioni esercitate per impedire il transito sul proprio suolo di cittadini stranieri diretti vero un territorio confinante? Il diretto interessato, vale a dire lo Stato israeliano, con tutta probabilità, non sarà chiamato a rispondere a questa domanda davanti a un tribunale, così come non fu chiamato a rispondere dell’omicidio di 9 attivisti turchi del convoglio della Freedom Flotilla del 2010.

Israele dunque non pagherà il conto per quanto avvenuto il 15 aprile scorso, quando, nel tentativo di ostacolare l’iniziativa pacifista internazionale “Welcome to Palestine” – promossa da attivisti intenzionati ad entrare in Israele dichiarando apertamente di voler visitare i Territori occupati per verificare l’esistenza o meno del diritto di libera circolazione da e verso i territori palestinesi – ha impedito a 1.200 cittadini stranieri di salire sui voli diretti all’aeroporto Ben-Gurion di Tel Aviv, e ha deportato o imprigionato quei pochi riusciti comunque ad atterrare in territorio israeliano.

La stragrande maggioranza degli attivisti è stata respinta presso i rispettivi aeroporti di partenza: Roma, Londra, Parigi, Istanbul, Bruxelles, Ginevra. Circa venti le compagnie aeree che si sono fatte intimidire dalle pressioni delle autorità israeliane: tra le più note Lufthansa, Alitalia, AirFrance, British Airlines, EasyJet e Turkish Airlines. Grazie a quali fonti Israele abbia potuto compilare la “black list” preventiva per bloccare gli attivisti presso gli aeroporti di partenza, prima, dunque, che dichiarassero la propria intenzione di recarsi nei Territori occupati, non è dato sapere.

Per una testimonianza diretta su quanto avvenuto abbiamo rivolto qualche domanda a Patrick Boylan, di Us Citizens for Peace & Justice-Roma. (ingrid colanicchia)

Come nasce l’iniziativa della Flytilla?

Prende ispirazione dall’iniziativa Freedom Flotilla di due anni fa, cioè dal tentativo di portare aiuti umanitari ai palestinesi usando navi per aggirare i posti di blocco israeliani a terra. Questa volta si è deciso di affrontare le Autorità di frontiera israeliane in faccia, arrivando in massa all’aeroporto internazionale di Tel Aviv e dichiarando apertamente di voler raggiungere Betlemme, in Palestina, per rispondere all’appello di una ong palestinese impegnata nella realizzazione di un progetto educativo. Di due cose l’una: o le autorità israeliane avrebbero consentito il libero transito verso i Territori palestinesi e in tal caso il popolo palestinese avrebbe ricevuto aiuti materiali per la costruzione di un complesso scolastico  – quindi un grande successo umanitario – o le autorità israeliane avrebbero bloccato il passaggio e in questo caso l’iniziativa sarebbe comunque stata un grande successo mediatico, dimostrando al mondo che i Territori palestinesi sono assediati da Israele, che li considera “cosa sua”, rendendoli un'immensa prigione a cielo aperto. Anzi, qualcosa di peggio: una prigione vietata ai visitatori.

Dunque quasi 1500 attivisti da tutto il mondo, tra cui 15 italiani, hanno comprato biglietti aerei con destinazione Tel Aviv per il giorno 15 aprile, il primo anniversario dell’uccisione a Gaza del pacifista italiano Vittorio Arrigoni.

Cosa è successo concretamente?

Solo sette dei 15 italiani sono riusciti a partire per Tel Aviv, gli altri sono stati respinti a Fiumicino perché risultavano su una lista nera, di ben 707 nomi, che Israele aveva comunicato all’Alitalia. Le colpe di questi indesiderabili? La lista non le ha specificate, ma dai resoconti giornalistici in giornata si è appreso che in tutto il mondo simili liste nere sono state usate dalle compagnie aeree per respingere chiunque fosse sospettato di simpatie o attività filopalestinesi. In altre parole, è stato contestato loro un reato d’opinione politica! Lo ammette lo stesso Netanyahu in una lettera consegnata a chi veniva respinto a Tel Aviv. Molti gli errori commessi da parte degli estensori della lista nera: pare che sui circa mille passeggeri respinti in tutto il mondo, molti fossero viaggiatori “normali”, compreso un diplomatico. Il senatore Vincenzo Vita ha appena inoltrato un’interrogazione al ministro degli Affari Esteri esigendo spiegazioni al riguardo.

I sette italiani che non risultavano schedati dalle spie israeliane sono dunque potuti arrivare fino all’aeroporto Ben-Gurion. Ma lì cinque di loro sono stati portati in carcere perché hanno dichiarato di essere diretti in Palestina.  Solo una pacifista italiana ottantenne è passata – forse per l’età – e l’ultimo dei sette italiani è riuscito a varcare la frontiera perché – venendo meno all’accordo, forse per paura – ha detto di volersi recare non in Palestina ma in Israele come turista.

Vi aspettavate questa risposta da parte delle compagnie aeree?

Ha stupito un servilismo così totale. Nella sua lettera ufficiale di spiegazione, Alitalia lascia intendere di non aver scelta: doveva ottemperare alla legge israeliana del 1952 che regola gli ingressi in Israele. Ma ho letto quella legge: non parla di blocco d’imbarchi in Paesi terzi! Regolamenta i soli visti d’ingresso, neanche i visti di transito (i cosiddetti visti “B”, per esempio negli Accordi di Schengen) che evidentemente non erano contemplati nel 1952. Perciò vigerebbe semmai per analogia l’art. 17c di quella legge che consente il transito sul suolo israeliano – senza alcun visto o formalità – ai passeggeri in attesa di reimbarco. Insomma il ministro degli Interni israeliano ha bluffato e l’Italia ha abbozzato, apparentemente senza controllare la fonte normativa.

Perché tanto servilismo?

Secondo l’Associated Press (15/4), che cita la portavoce degli Interni Sabine Haddad, Israele avrebbe minacciato di sanzioni qualsiasi linea aerea che non avesse ottemperato alle sue direttive. Anche uno dei funzionari Alitalia ha affermato la stessa cosa, arrivando addirittura a quantificare la sanzione in 6mila euro a passeggero. Così facendo Israele ha abilmente scaricato su altri l’onere dei processi per danni che i passeggeri respinti ora faranno alle loro compagnie di bandiera. Infine ha evitato le ricadute politico-giuridiche interne: infatti, durante l’iniziativa “Benvenuti in Palestina 2011” tutti i passeggeri sono stati respinti all’aeroporto di Tel Aviv e due di loro hanno quindi potuto impugnare i loro fogli di via per fare causa contro il Ministro degli Interni israeliano. Secondo l’avvocato israeliano Amar Schatz, intervistato da Haaretz, si tratta di una causa che il ministro sicuramente perderà: nessuna legge gli conferisce il potere di decidere chi può e chi non può entrare nei Territori palestinesi, poiché un tale potere equivarrebbe all’annessione di quei territori ad Israele. Comunque si sta già progettando “Benvenuti in Palestina 2013”.

Che cosa risponderebbe al governo israeliano che ha invitato a occuparsi di Siria e Iran?

Che lo stiamo facendo, e da tempo! E, occupandocene, scopriamo che dietro la guerra civile in Siria e la destabilizzazione dell’Iran ci sono la lunga mano degli Stati Uniti e anche quella d’Israele. Con la stessa giustificazione di sempre; entrambi i Paesi dicono: «Ci dobbiamo difendere!» Davvero? Afghanistan, Iraq, Libano, Gaza: massacri inenarrabili... solo per difendersi? E quanti altri ancora? (i. c.)

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