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LE DIMISSIONI DI RATZINGER: UNA «OCCASIONE IRRIPETIBILE» PER RIFORMARE LA CHIESA

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 16/03/2013

37075. ROMA-ADISTA. Le dimissioni di Benedetto XVI e il Conclave che dovrà eleggere il nuovo papa sono una «occasione irripetibile» per cambiare la Chiesa cattolica, a condizione che si faccia una puntuale autocritica sul recente passato e si mettano in atto riforme sostanziali e radicali. Se invece tale congiuntura si limiterà a nascondere la polvere sotto il tappeto e a rinnovare l’intonaco senza però intervenire sulle mura portanti, all’insegna del gattopardesco “cambiare tutto per non cambiare nulla”, allora sarà solo un’occasione perduta.
È l’opinione di Noi Siamo Chiesa che, in due ampi documenti – di cui ha parlato anche una delegazione internazionale del movimento lo scorso 7 marzo a Roma al Monastero delle Suore camaldolesi all'Aventino – rivolti principalmente ai cardinali riuniti in Vaticano per le Congregazione e per il Conclave, denuncia i ritardi e le omissioni della Chiesa e disegna e sogna, come fece anche il card. Martini poco prima di morire, un nuovo futuro per la comunità dei credenti e per l’istituzione ecclesiastica. «C’è molta attesa per una svolta nella Chiesa cattolica romana che liberi le tante energie positive presenti nel Popolo di quanti credono nel messaggio evangelico e che soprattutto faccia ascoltare di più il Vangelo di Gesù nel mondo di oggi», si legge in uno dei due documenti. «Il collegio dei cardinali ha di fronte il compito di riconoscere la gravità della situazione ma anche di riconoscere i segni dei tempi, che sono anche quelli dell’attesa e della speranza. I cardinali hanno in mano insieme il Vangelo e il Concilio Vaticano II, li leggano, li meditino, contengono le indicazioni, implicite ma anche molto esplicite sulla strada sulla quale avviarsi».

I nodi irrisolti
La messa a fuoco dei «problemi irrisolti» dal pontificato di Ratzinger è il punto di partenza individuato dal movimento. «L’ottica eurocentrica del suo magistero, l’insistenza sul “relativismo” e sul rapporto fede/ragione si sono rivelati insufficienti o sbagliati se rapportati a un insegnamento che dovrebbe mirare ad essere punto di riferimento generale per i popoli e per le culture di tutto il mondo». «L’ecumenismo ha segnato il passo, a causa della sua convinzione di chiamare “comunità ecclesiali” le Chiese della Riforma e per le occasioni perse con l’Ortodossia; lo stesso si dica del dialogo interreligioso», nonostante l’incontro delle religioni ad Assisi, replica di quello di Giovanni Paolo II del 1986.
E poi gli altri punti dolenti, diversi dei quali frutto del «personale orientamento conservatore» di Benedetto XVI: l’apertura ai lefebvriani, la ripresa della liturgia in latino della messa di San Pio V, il rifiuto di aprire il dibattito sui temi relativi alla sessualità, i reiterati «interventi punitivi sui teologi ritenuti non ortodossi, e non solo su quelli della teologia della liberazione, limitando così l’utilità per la Chiesa di contributi indispensabili alla sua riforma».
Per quanto riguarda invece la questione della pedofilia del clero, Noi Siamo Chiesa ritiene che lo scandalo «è esploso dall’esterno e non per un percorso autocritico delle gerarchie ecclesiastiche, le quali invece hanno protetto tutto e dovunque finché hanno potuto. Benedetto XVI ha inviato alcuni messaggi e segnali nella direzione giusta, ma c’è la consapevolezza diffusa che troppo è ancora coperto». Sorprende poi che Ratzinger «non abbia reagito nei confronti delle “Linee Guida” per combattere la pedofilia del clero emanate della Conferenza episcopale italiana, che non contemplano il dovere del vescovo di adire immediatamente i giudici civili» (v. Adista Notizie n. 21/12).
Ci sono poi le questioni relative all’istituzione ecclesiastica e all’ecclesiologia. «Per quanto riguarda l’apertura a qualche forma di collegialità, o anche solo di corresponsabilità, il pontificato di Ratzinger ha, se possibile, peggiorato la situazione», spiega Noi Siamo Chiesa. «Tallonato da una Curia divisa e sotto il pugno di ferro di Bertone – la cui nomina alla Segreteria di Stato viene definita nel documento un «errore» –, il papa ha nominato i vescovi con scelte quasi sempre a senso unico e in modo sostanzialmente autocratico, negando spazio alla pluralità delle posizioni presenti nell’universo cattolico. In modo simile i Sinodi dei vescovi sono stati solo un momento di conoscenza reciproca e di discussione tra i vescovi, ma hanno continuato a non avere alcuna funzione decisionale e tantomeno operativa nella gestione del centro della Chiesa. Così il ruolo del pontificato e della Curia romana è stato ulteriormente consolidato».

L’atto più innovativo di Ratzinger
In questo scenario, aggiunge Noi Siamo Chiesa, la scelta di Benedetto XVI di dimettersi è stato «l’atto più innovativo del suo pontificato, qualora però lo si viva come la desacralizzazione del ministero di Pietro e non come la desacralizzazione dell’uomo Joseph Ratzinger. Quest’ultima invece è l’interpretazione accettata dalla Curia e dalla galassia dei tradizionalisti, e che pare emergere dalle stesse parole del pontefice».
Ma siccome è sempre possibile l’eterogenesi dei fini, «la sua rinuncia potrebbe sprigionare, questa la speranza, un cammino impegnativo di rinnovamento, ora e nel futuro, nel modo di essere e di organizzarsi della nostra Chiesa».

Le riforme per il futuro della Chiesa
Per cambiare la Chiesa, è necessaria una «direzione centrifuga» nell’organizzazione dell’istituzione ecclesiastica. «Il sistema, accentrato sulla figura e sul ruolo del papa, è teologicamente discutibile e ha mostrato, soprattutto negli ultimi dieci anni, i suoi limiti, anche dal punto di vista del buon governo. Il modello sinodale, ai vari livelli, deve essere ipotizzato, sperimentato e, infine, messo in pratica senza paura. La nomina dei vescovi, anche di quella del vescovo di Roma, deve finalmente tornare ad essere più partecipata e condivisa, abbandonando il sistema attuale della segretezza e della discrezionalità più completa». Infine «la Curia romana deve essere fortemente ridimensionata, trasferendo funzioni e autorità alle Chiese locali».
Fin da subito, aggiunge Noi Siamo Chiesa, «si deve fare pulizia vera nei confronti di quanto è emerso negli scandali recenti, condannando chi ne è stato la causa, non chi li ha resi noti. Tutto deve essere portato alla luce, soprattutto tutto ciò che riguarda la pedofilia del clero. Il popolo di Dio giudicherà». E poi, riprendendo anche i temi sollevati dal card. Giacomo Lercaro al Concilio Vaticano II, «insieme al ridimensionamento delle strutture curiali dovranno essere praticati stili di vita ispirati alla sobrietà e alla semplicità. I titoli onorifici appaiono oggi superati, oltre che ridicoli; in tali questioni la forma è anche sostanza. Anche per quanto riguarda la gestione delle risorse materiali è necessaria una svolta radicale. I beni della Chiesa sono beni di tutti, soprattutto dei poveri. Dovrebbero essere distribuiti per opere di giustizia sociale dove, come in Italia, sono eccessivi e devono essere gestiti dovunque con criteri di trasparenza, come ora raramente avviene, ed ispirarsi a uno spirito di povertà».
Noi Siamo Chiesa invoca anche un aggiornamento del magistero, che ammorbidisca rigidità che si configurano come antievangeliche, per cui le questioni che riguardano la sessualità e la famiglia «dovrebbero avere minore centralità nella pastorale e lasciare il posto a un atteggiamento fondato più sulla libertà di coscienza che sulla precettistica di una teologia morale ormai superata ed aspramente criticata un po’ dovunque. Si deve considerare di più il vissuto ed il contesto in cui si trova il credente, che merita più comprensione e misericordia che non esclusioni o condanne. Pensiamo alle rigidità da superare: il divieto della contraccezione, il giudizio sull’omosessualità, lo stesso celibato imposto ai preti, il non accoglimento dei divorziati risposati all’Eucaristia. Per ognuna di queste situazioni vi sono ricerche teologiche e pastorali, proposte precise, vi sono credenti che soffrono e che pongono il problema. Vi sono impazienti attese per un orientamento che riconcilii la fede di tanti con la loro presenza quotidiana nelle parrocchie e in ogni comunità cristiana e che impedisca che molti si allontanino dall’Evangelo a causa di posizioni che non vengono capite e che si fa fatica a ricondurre a insegnamenti evangelici».
Ma le rigidità riguardano anche i ministeri, per i quali, scrive Noi Siamo Chiesa, «deve prevalere il servizio alla comunità e non norme ecclesiastiche che li rendono difficili. I problemi sono: il celibato obbligatorio del clero, l’esclusione delle donne dai ministeri, la riammissione dei presbiteri sposati e l’ammissione di viri probati ai ministeri, ma soprattutto il superamento della condizione di subalternità e di scarsa autorità in cui si trovano, nella generalità dei casi, le donne religiose e laiche», che tanto reggono di fatto l’animazione e l’organizzazione delle nostre comunità cristiane.
E poi la collocazione ai primi posti della “agenda” per il nuovo pontefice dei temi della pace e della giustizia sociale: la difesa dei diritti umani per tutti, la denuncia della povertà e del’iniquità fra nord e sud del mondo, l’impegno contro gli armamenti e per il disarmo, il no a qualsiasi guerra, anche se umanitaria.
Allora, se questo programma verrà preso in considerazione, le dimissioni di Ratzinger potranno essere l’alba di un nuovo inizio. (luca kocci)

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