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«IN TE L'ORFANO TROVA COMPASSIONE»

Tratto da: Adista Documenti n° 14 del 13/04/2013

I - PASTORE, PROFETA E MARTIRE NOSTRO
Queste parole del profeta Osea dicono, meglio di qualsiasi credo o dogma, chi fosse Yahvé, Dio, per i poveri di Israele. È la vera confessione di Dio. In questa eucaristia applichiamo tali parole al nostro amato fratello Oscar Romero.
Il nostro è un Paese di poveri. Uomini e donne che non hanno molto da dar da mangiare ai propri figli, che non hanno un posto dove vivere quando le piogge distruggono le loro case, che vanno di porta in porta senza trovare lavoro, e rischiano la pace, la famiglia e la vita in altri Paesi. Questi uomini e queste donne in Monsignore incontrano compassione, consolazione e speranza.
Il nostro è un Paese di giovani, di desaparecidos, di sequestrati, di persone assassinate ogni giorno. È stato un Paese di donne che dovevano fuggire con i bambini in braccio e che soffrivano nel vedere i figli lasciare la casa, per entrare nelle organizzazioni popolari o salire sui monti. Trovavano in Monsignore la forza per vivere.
E molte altre migliaia di persone in El Salvador, in Guatemala, ad Haiti, in Colombia hanno trovato in Monsignore luce per andare avanti, generosità per rischiare la propria vita, lacrime per piangere, risa per ridere.
È stato la voce dei senza voce, difensore ex officio degli oppressi, consolazione per quanti piangono. Ancora oggi lo chiamiamo “pastore, profeta e martire nostro”. E con tenerezza parliamo di lui come solo parliamo di Dio. E gli diciamo: “Monsignore, in te l’orfano trova compassione”. In Monsignore molti salvadoregni hanno incontrato il misterioso Dio che dà la forza per vivere.

II - «CON VOI CORRERÒ TUTTI I RISCHI»
E nei salvadoregni Monsignore ha trovato il suo popolo. Lo diciamo con le sue parole: guardando alla sofferenza del suo popolo in Egitto, Yahvé dice: «Starò sempre con voi». E vedendo la sofferenza dei salvadoregni Monsignore dice: «Non abbandonerò il mio popolo». E non sono state parole vane e di routine. Era solito dire: «Con voi correrò tutti i rischi». E solennemente, al presidente del Paese che gli offriva protezione, rispose: «Vorrei dirle che, prima della mia sicurezza personale, io vorrei anche sicurezza e tranquillità per le famiglie e i desaparecidos. Non mi interessano il benessere personale e la sicurezza garantita alla mia vita finché vedrò nel mio popolo un sistema economico che tende sempre più a creare queste differenze sociali».
Monsignore ha parlato del proprio dolore nelle omelie. «Fratelli, mi fa male l’anima a sapere come si tortura la nostra gente». E le omelie le preparava così: «Chiedo al Signore per tutta la settimana, mentre vado raccogliendo il clamore del popolo e il dolore per tanti crimini, l’ignominia di tanta violenza, che mi dia la parola opportuna per consolare, per denunciare, per chiamare al pentimento».
Creava, forzava le parole, perché affiorasse il suo dolore: «Questa settimana il cuore mi si è coperto di orrore quando ho visto la moglie con i suoi nove bambini piccoli che veniva ad informarmi. Secondo la donna, lo hanno trovato senza vita e con segni di tortura. Lì stanno la moglie e i bambini indifesi». Ha attaccato i criminali e, al di là della giustizia legale e restaurativa, ha ordinato di prendersi cura della vita di questi nove bambini: «Io credo che chi commette un crimine di questo tipo sia obbligato al risarcimento. È necessario che tanti focolari abbandonati come questo ricevano aiuto. Il criminale che lascia una famiglia senza protezione ha l’obbligo, in coscienza, di contribuire a sostenere tale famiglia».
E la buona notizia di questo popolo. In questo popolo sofferente monsignor Romero ha incontrato luce, tenerezza e amore. «Sento che il popolo è mio profeta». «Il vescovo ha sempre molto da imparare dal suo popolo». «Tra voi e io facciamo questa omelia». «Con questo popolo non costa essere un buon pastore». «Mi glorio di stare in mezzo a questo popolo».
Aveva ragione Ignacio Ellacuría nel dire: «Con monsignor Romero Dio è passato per El Salvador».

III - LOTTARE CONTRO I CARNEFICI
Diciamolo ora brevemente con le parole usate dai vescovi a Puebla nel 1979. Puebla è nota per aver parlato dell’opzione per i poveri. Ma soprattutto ha parlato del Dio dei poveri e dei poveri di Dio. Dio è il primo ad aver fatto l’opzione per i poveri. La Chiesa non ha inventato nulla di nuovo e Dio compie meglio della Chiesa questa opzione. E in questa opzione di Dio vi sono due cose fondamentali che sarebbe bene si teneressero sempre presenti e venissero da noi riprodotte nel nostro piccolo.
La prima è la gratuità. «Per il mero fatto di essere poveri, indipendentemente dalla loro condizione personale e morale, Dio li difende e li ama» (1143). L’amore di Dio per i poveri è assoluto, senza condizioni, come dicevamo prima, «in Dio l’orfano incontra compassione». Dio non reagisce alla bontà dei poveri né ai loro meriti. Dio reagisce alla loro povertà. È questo che muove il suo cuore.
La seconda è schierarsi in difesa del povero, e voglio insistere su questo punto. Dio non solo ama, aiuta e salva il povero, ma prima di tutto lo difende, il che non viene solitamente tenuto in conto. Ed è importante vedere la logica profonda nell’operato di Dio. Quello che fa sì che il povero sia povero – in maniera fondamentale nel nostro mondo – è il fatto che ha nemici, ha avversari. Optare per il povero è affrontare quanti lo rendono povero e, pertanto, entrare in conflitto con i suoi oppressori. Optare per il povero è, non solo ma principalmente, lottare contro i carnefici perché non producano vittime.
Non c’è opzione per i poveri senza la decisione di difenderli. E, pertanto, senza la decisione di entrare nel conflitto storico. Questo di solito non è tenuto molto in considerazione. Neppure teoricamente. Neppure ad Aparecida. Ma diciamolo una volta per tutte: non c’è opzione per i poveri senza correre rischi.

IV - MARTIRI PER LA GIUSTIZIA
Quest’anno l’anniversario di monsignor Romero coincide con l’elezione di un nuovo papa, Francesco. Per concludere voglio dire brevemente due cose.
La prima è il mio desiderio che in lui i poveri incontrino sempre compassione. Che il papa ci aiuti ad essere compassionevoli con i poveri. E che noi lo si aiuti a essere sempre compassionevole nei loro confronti.
La seconda è la presentazione di alcuni auspici. Ne cito quattro che mi appaiono importanti e che spero siano di suo gusto.
1. Che proclami che la Chiesa è Chiesa dei poveri, e che ascolti con gioia l’applauso di Giovanni XXIII, che riposa in pace in una tomba vicina alla sua residenza papale.
2. Che una volta per tutte esalti la donna e risolva coraggiosamente il problema della donna nella Chiesa. E che, con le donne, la Chiesa sia una migliore levatrice dell’umanità.
3. Che non abbandoni la croce modesta che porta al petto. E che inizi a muovere dei passi per smettere di essere un capo di Stato. E che faccia così della Chiesa un popolo che cammina, provando e riprovando, verso Dio.
4. Che canonizzi senza necessità di ripetere formule e senza restare imprigionato in norme tutti i martiri e le martiri della giustizia nella sequela di Gesù. E, se cerca un nome perché tutti loro abbiano nome, da qui gli offriamo umilmente quello di monsignor Romero e quello dei martiri di El Mozote. E che egli aggiunga molti altri nomi di uomini e donne – e di popoli crocifissi – che hanno dato la loro vita per amore come Gesù crocifisso e come il servo sofferente di Yahvé. Con tutti loro Dio è passato per questo mondo.
Che monsignor Romero aiuti papa Francesco. E che aiuti tutti noi ad assomigliare a Gesù di Nazareth.

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