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LA SIRIA E GLI ALTRI: PROVE DI UNA TERRIBILE GUERRA ANNUNCIATA?

Tratto da: Adista Notizie n° 30 del 07/09/2013

37273. ROMA-ADISTA. Ci alita mefiticamente sul collo una nuova catastrofe bellica, il cui teatro è per di più un’area geografica – il Medio Oriente – tessuta di micce fra loro annodate e genitrici di esplosioni a catena, con un vissuto incancrenito da odi storici e da rivalità frutto di interessi geopolitici che oltrepassano di molto, di troppo, i confini e i protagonisti della regione. Siamo a un passo dall’intervento armato di Stati Uniti e Paesi europei in Siria per “punire” il presidente Bachar al-Assad dell’uso di armi chimiche contro civili inermi. Tentenna tuttavia Barack Obama: sa che gli ispettori dell’Onu recatisi sul territorio siriano non hanno ancora le prove che il gas sarin sia stato usato dall’esercito lealista e non dalle forze della variegata e litigiosa opposizione armata (nelle mani delle quali sono d'altronde stati trovati gas venefici). Tentenna, ma a quanto pare solo su tempi e modalità di intervento, stando a quanto ha dichiarato il 28 agosto all'emittente Pbs.Ma se i Paesi occidentali, Stati Uniti in testa, attaccheranno la Siria, fosse pure per due giorni, che farà la Russia che alla “enclave” siriana sotto la guida di Assad non vuole-non può rinunciare? Cosa faranno l’Arabia Saudita, foraggiatrice dell’opposizione, e l’Iran, forte alleato di Assad? E come reagirà Israele, nemico giurato di Assad e dell’Iran? Domandiamoci ancora: resisteranno all’uso dell’atomica, magari di “pochi” chilotoni, la Russia o Israele che, unico nella regione, la possiede? Ma perché non porsi la stessa domanda sull’Iran, sospettato da tempo di possedere la tecnologia adeguata per la costruzione di armi nucleari? E in questo quadro quale ruolo giocherebbe il terrorismo che identifichiamo in Al Qaeda, oggi “strumentalizzato” in chiave anti-Assad come i talebani afghani vennero utilizzati dagli Usa in chiave anti-Urss? Se si verificasse questo scenario, cadremmo nell’apocalisse dell’effetto valanga, perché certo i Paesi più potenti e più armati non starebbero a guardare.

Questa lettura – pessimista, si spera ancora – deve angosciare molti animi se numerosi e a vario titolo autorevoli sono gli appelli a non arrendersi a tanta stupida irragionevolezza. Papa Francesco li reitera ormai a scadenza ravvicinata. Al momento, l’ultimo è del 25 agosto: «L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi. Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo». E nell’incontro avvenuto il 29 agosto, il papa e il re di Giordania Abd Allah II hanno convenuto sulla necessità di impegnarsi sulla «via del dialogo e della negoziazione fra tutti i componenti della società siriana, con il sostegno della comunità internazionale» quale «unica opzione per porre fine al conflitto e alle violenze che ogni giorno causano la perdita di tante vite umane, soprattutto fra la popolazione inerme».

Il rischio di un attacco insensato e illegittimo

L’appello del papa alla pace ha destato forte commozione in Siria, ha detto mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria, che il 26 agosto, dai microfoni di Radio Vaticana, ha lanciato l’allarme: «Se ci fosse un intervento militare, questo vorrebbe dire una guerra mondiale». «Quello che aspettiamo», invece, è «una forza internazionale che aiuti a dialogare e non a fare la guerra». Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico di Antiochia, ha subito diffuso in tutte le parrocchie della Siria l'ultimo appello di papa Francesco. Lo ha dichiarato all’agenzia AsiaNews (28/8), spiegando che «la Siria ha bisogno di stabilità e non ha senso un attacco armato contro il governo»; e chiedendosi: «Chi ha portato la Siria a questo punto di non ritorno? Chi ha creato questo inferno?». «Ogni giorno in Siria – riferisce –  entrano estremisti islamici provenienti da tutto il mondo con l'unico intento di uccidere e nessun Paese ha fatto nulla per fermarli, anzi gli Stati Uniti hanno deciso di inviare ancora più armi». Il giorno dopo, in un’intervista alla Radio Vaticana, ha dichiarato: «Abbiamo veramente paura» che la situazione degeneri, «perché la violenza genera sempre violenza» e all’«interesse da parte degli Stati Uniti o dell’Europa per i diritti dell’essere umano o per la difesa dei più deboli nessuno crede».

Allarmato l’appello alla prudenza del patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, che sul sito del Patriarcato, il 28 agosto, rivolge a tutti i leader che «hanno nelle loro mani il destino delle popolazioni» la preghiera di «non dimenticare l’aspetto umano nelle loro decisioni». E pone loro una serie di domande: «Perché dichiarare una guerra quando gli esperti dell’Onu non hanno ancora consegnato le conclusioni definitive»; «con quale autorizzazione» decidere di attaccare un Paese? «Certo, il Presidente statunitense ha il potere di lanciare solo degli attacchi aerei contro la Siria, ma che ne è della Lega araba e del Consiglio di sicurezza dell’Onu? I nostri amici dell’Occidente e degli Stati Uniti non sono stati attaccati dalla Siria. Con quale legittimità osano attaccare un Paese? Chi li ha nominati polizia della democrazia in Medio Oriente?». E ancora: «Chi ha pensato alle conseguenze di una tale guerra per la Siria e per i Paesi vicini? C’è bisogno di aumentare il numero dei morti oltre i 100mila?»; «i Paesi che attaccano la Siria hanno preso in considerazione il fatto che i loro cittadini in tutto il mondo, che le loro ambasciate e consolati possono essere bersaglio di attacchi ed attentati in rappresaglia?»; e infine, ma sfida importantissima, «si sono misurate le conseguenze per la regione del Medio Oriente? Secondo gli osservatori l’attacco dovrà essere molto mirato e concentrarsi su alcuni siti strategici al fine di impedire un nuova utilizzazione delle armi chimiche. Sappiamo per esperienza – avverte – che un attacco mirato avrà delle conseguenze collaterali».

Un «appello per la pace e per il rifiuto di ogni violenza» è venuto il 28 agosto dal monastero di Deir Mar Musa, a nord di Damasco, rifondato dal gesuita p. Paolo Dall’Oglio, del quale non si hanno più notizie da un mese (v. Adista Notizie n. 29/13). P. Jaques Mourad, responsabile del monastero ha detto all’agenzia Fides: «Auspichiamo che i Paesi occidentali assumano una posizione giusta», quella di «rifiutare ogni forma di violenza, fermare le armi». E suor Houda Fadoul, responsabile della comunità femminile a Mar Musa, ha drasticamente affermato: «Non possiamo accettare o apprezzare un intervento armato di potenze straniere».


La guerra, una sciagura inutile: cui prodest?

Mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra, il 22 agosto (Radio Vaticana) sulla questione dell’intervento armato occidentale a seguito dell’uso del gas sarin, aveva manifestato tutta la sua contrarietà: «Non si può, a mio avviso, partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili. Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio, bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?». E comunque «l’esperienza di interventi armati simili in Medio Oriente, Iraq, Afghanistan ha dimostrato che non si sono conseguiti risultati costruttivi. Resta valido il principio: con la guerra si perde tutto».

Dello stesso avviso, il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako che da Bagdad ha dichiarato (Fides, 28/8) che l'intervento militare a guida statunitense contro la Siria sarebbe «una sciagura. Sarebbe come far scoppiare un vulcano con un'esplosione destinata a travolgere l'Iraq, il Libano, la Palestina. E forse qualcuno vuole proprio questo». Ha puntualizzato che «dopo 10 anni dall'intervento della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” che abbatté Saddam, il nostro Paese ancora è martoriato dalle bombe, dai problemi di sicurezza, dall'instabilità, dalla crisi economica»; e ha ricordato che «gli occidentali hanno giustificato anche l'intervento contro Saddam con l'accusa che il rais iracheno possedeva armi di distruzione di massa. Ma quelle armi non sono state trovate». Nel caso siriano, poi, le cose sono ancora più complicate per la difficoltà di cogliere le reali dinamiche della guerra civile che dilania da anni quella nazione: «L'opposizione a Assad», nota Sako, «è divisa, i vari gruppi si combattono tra loro, c'è un moltiplicarsi di milizie jiahdiste... Che fine farà quel Paese, dopo?».

È un intervento politico di denuncia quello del metropolita Hilarion Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, che, parlando con l’agenzia AsiaNews (28/8), ha criticato duramente la posizione degli Stati Uniti: «In maniera assolutamente unilaterale, senza alcun avallo delle Nazioni Unite, vogliono decidere loro il destino di tutto un Paese con milioni di abitanti». «Forte» perciò è la «preoccupazione» per i possibili sviluppi della crisi. «Ancora una volta, come nel caso dell'Iraq, gli Stati Uniti – ha accusato il metropolita – si comportano da giustizieri internazionali». (eletta cucuzza)

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