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UN CONVEGNO IN VATICANO DENUNCIA LE FAMIGLIE “SINTETICHE”, «FRUTTO DI UNA SOCIETÀ MALATA»

Tratto da: Adista Notizie n° 34 del 05/10/2013

37314. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Proprio mentre su Civiltà cattolica veniva pubblicata la lunga intervista a Bergoglio (vedi notizia su questo numero) nella quale il papa lascia intravedere non un aggiornamento della dottrina ma sicuramente un atteggiamento pastorale meno rigido e più inclusivo nei confronti di divorziati ed omosessuali, in Vaticano (dal 19 al 21 settembre) si svolgeva il Convegno internazionale “I diritti della famiglia e le sfide del mondo contemporaneo” durante il quale di quella prassi più accogliente non si è vista traccia. Anzi alcuni interventi – in particolare quelli di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e di Francesco D’Agostino, già presidente del Comitato nazionale di bioetica e ora al vertice dell’Unione giuristi cattolici italiani –, oltre a ribadire per filo e per segno i capisaldi dei «principi non negoziabili», hanno mostrato una durezza inusitata.

Mons. Paglia, auspicando la redazione di una Carta internazionale dei diritti della famiglia – sul modello della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 – ha messo in guardia contro gli «attacchi violentissimi» e le «usurpazioni» cui è sottoposta la «famiglia naturale» composta da un uomo e una donna, fondata sul matrimonio e finalizzata alla procreazione. Un allarme – ha precisato il presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia – a cui devono prestare particolare attenzione i Parlamenti e i governi, affinché i processi legislativi non siano inficiati «da pregiudizi ideologici» e «da lobbies che portano avanti interessi di parte». Non lo dice apertamente mons. Paglia, ma è indubbio l’altolà contro ogni tentazione di regolare giuridicamente le unioni civili, sia eterosessuali sia, soprattutto, omosessuali.

«Famiglia sintetica» è invece l’espressione coniata da D’Agostino per definire tutte le famiglie non tradizionali: «Un modo di pensare la famiglia che non è più in grado di percepirne la naturalità e l’universalità», ha detto l’ex presidente del Comitato di bioetica, «perché la percepisce unicamente come costruzione sociale». La famiglia sintetica non è un’unione solida che pensa al futuro, ma assomiglia «ad una macchina, assemblata in base a un progetto, ma le cui parti costitutive potrebbero, ad libitum, essere smontate e rimontate e comunque riutilizzate per costruire un altro meccanismo». «Quando i rapporti sintetici si estinguono – ha proseguito –, di essi può restar traccia nella memoria, individuale o collettiva, ma in essa soltanto; sotto ogni altro profilo della famiglia sintetica non resta nulla, perché di essa non deve restar nulla, perché è proprio per questo che essa è stata pensata e voluta».

Per illustrare meglio la sua idea di famiglia, D’Agostino ha scelto una metafora letteraria: «La mia tesi – spiega – è che la famiglia naturale ha una radice classica, mentre quella sintetica ha una radice romantica», precisando però «che lo spirito romantico è uno spirito malato». «Il classicismo infatti – ha argomentato D’Agostino, che insegna anche alla Pontificia Università Lateranense di Roma, facendo ricorso a una serie di immagini ormai ampiamente superate anche dai manuali di storia della letteratura utilizzati dagli studenti delle scuole superiori – è amore per la luce, la serenità, l'ordine, il logos, la compostezza, l'autocontrollo, l’impegno, la fedeltà, la bellezza; non subisce il fascino, né meno che mai la tentazione dell’orrido; odia l'irrequietudine, la sproporzione, l'oscurità, la contraddizione, ogni forma di patetismo, l'irrazionalità, la stravaganza, il tradimento». Il romanticismo, ovviamente, l’esatto contrario. E di conseguenza la «famiglia sintetica», che è «intrinsecamente romantica», «non si fonda su di un progetto, ma sull’immediatezza dei sentimenti», ha detto il presidente dei giuristi cattolici. «Pensa al futuro come orizzonte indiscriminato di possibilità. E quando essa entra in crisi, non assume la crisi come negatività da fronteggiare e da riparare, bensì come apertura di nuove possibilità. La famiglia sintetica non percepisce la scansione dei tempi, né ama modellare o prendersi cura dei ruoli familiari», «le sue passioni si accendono improvvisamente e altrettanto improvvisamente si spengono. Esse hanno il fascino che possiede la sperimentazione pura, non vincolata a finalità predeterminate, completamente cangiante nelle forme e nelle tecniche. La sua identità è analogabile a quell’identità di genere, di cui tanto oggi si parla, che si determinerebbe attraverso impulsi interiori e che si manifesterebbe all’esterno solo nelle modalità, assolutamente non predeterminabili, che il soggetto decide occasionalmente di adottare».

Se questo è il quadro, la «famiglia sintetica non ha futuro e non può averlo», sentenzia D’Agostino che, dopo aver attraversato il ‘700 e l’800, si avventura anche nell’età classica: «Si hanno rapporti con le prostitute, sosteneva Demostene, per soddisfare i propri bisogni sessuali; si hanno rapporti con le etere, per soddisfare le proprie esigenze relazionali; ma ci si sposa, egli concludeva, per avere figli». E «la famiglia sintetica non è in grado di elaborare né di essere espressiva di alcunché di analogo, per la semplice ragione che non tematizza l’esperienza della relazione uomo-donna né come strutturata, né come caratterizzata da durata, ma solo come mera evenienza fattuale». La famiglia sintetica, conclude D’Agostino – che come Paglia si preoccupa di chiudere ad ogni possibilità di riconoscimento giuridico –, coltiva «una duplice pretesa: quella di restare ai margini di ogni sistema ordinamentale e quella, ancor più radicale, di non costituire in nessun caso, essa stessa, un sistema».

La sintesi – ed è l’ultimo riferimento letterario del professore di diritto della Lateranense – è l’affermazione del conte di Suffolk nell’Enrico VI di Shakespeare: «“Beh, a scuola di diritto io sono sempre stato un allievo svogliato; non ho potuto mai piegare la mia volontà alla legge; e perciò piego la legge alla mia volontà”. Di qui il paradosso insolubile della famiglia sintetica: la sua pretesa di essere riconosciuta istituzionalmente, ma non come vincolo, bensì come espressione di libertà arbitraria e insindacabile. Riuscirà il diritto, che è nella sua struttura classicismo antiromantico, a difendere la naturalità della famiglia?». (luca kocci)

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