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Quel nome sussurrato tra le montagne

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 36 del 19/10/2013

Gionata è un progetto che intende far conoscere il cammino che i credenti omosessuali percorrono ogni giorno nelle loro comunità e nelle loro Chiese, anche per fare in modo che queste esperienze possano aiutare la società e le Chiese ad aprirsi alla comprensione e all’accoglienza delle persone omosessuali. “Le nostre storie” sono una raccolta di testimonianze di credenti omosessuali e della loro fatica di vivere la fede che nei prossimi giorni verranno pubblicate sul sito del progetto Gionata (www.gionata.org). Adista anticipa la storia di Patti.

 

Sono milanese, di genitori milanesi e nonni pure. Ho 38 anni ben portati, sono sportiva. Trascorro i miei fine settimana in montagna, dove amo praticare i cosiddetti sport estremi. Ho un curriculum di studi da ragazza perbene: dopo il liceo classico mi sono laureata in Filosofia e poi, non sazia di approfondimento, mi sono iscritta ad un secondo corso di laurea, in Teologia. Ho una buona posizione in una multinazionale americana, dove trascorro intense giornate di lavoro. Non di rado sono in trasferta, in Italia o all'estero. Tutti mi considerano una single determinata e piuttosto soddisfatta di sé.

Sospetto che alcune colleghe mi guardino con invidia, quando la mattina parcheggio il mio scooter ed entro in ufficio sorridendo. Sul lavoro quasi nessuno sa che sono omosessuale, ma suppongo che alcuni lo abbiano pensato almeno una volta. Certamente tutti quelli che insistentemente mi hanno chiesto come mai non avessi un uomo al mio fianco.

Tra gli amici, quelli di vecchia data sono ormai pochi. I legami intensi ma fragili dell'adolescenza sono stati spazzati via dagli impegni crescenti e dalle mie contrastanti scelte di vita.

Tra gli amici più recenti, quasi tutti cattolici, pochi sanno. Gli altri forse intuiscono, forse no. Ho trovato negli ambienti cattolici grande ignoranza in relazione alla condizione omosessuale, che spesso viene confusa con situazioni che nulla hanno a che vedere. O, molto semplicemente, l'apparente assenza di conflitti interiori e il contesto sociale circoscritto in cui le persone vengono “allevate” (penso a certi movimenti che ti “includono” sin dalla scuola, impedendoti ogni sbandamento e distrazione) permettono il sedimentarsi di una esperienza umana limitata, protetta. Semplicemente non sanno, perché non hanno mai incontrato. L’omosessualità è una cosa strana e lontana, che certamente non può riguardare né loro né i loro conoscenti.

Tornando alla mia ottima biografia iniziale, e varcando la soglia dell'apparenza in cui il mondo stempera usualmente i suoi colori, posso raccontare, con altre parole, che la mia serenità di bambina è stata spesso turbata da intuizioni e sensazioni che mi tagliavano fuori dal contesto degli “altri”. Amicizie troppo forti, un'attrazione ineffabile e non corrisposta verso una compagna di classe, un senso di solitudine interiore che mi attanagliava.

Sono stata una bambina complessa, incapace di una vera immersione nel mondo dei bambini. La famiglia ricca di affetti in cui sono cresciuta mi colmava e mi bastava. Oggi so che i miei genitori hanno dato l'anima per saziare questo mio bisogno insondabile, che mi faceva diversa anche ai loro occhi.

La crepa si è aperta nel modo piu banale, a 13 anni, quando ho capito, e me lo sono detto, che la prof. di lettere dell'altra sezione mi piaceva un sacco. Aveva 29 anni, lei, una ragazza penso oggi, e io cercavo di far coincidere la mia entrata a scuola con la sua, per poterla salutare in separata sede. Lei mi diceva ciao, io le dicevo buongiorno. La voragine si è aperta e la mia infanzia è finita. Sono diventata grande in un battito di ciglia, in uno sguardo posato per caso un giorno su questa giovane donna bionda ed elegante. Chi non ci è passato non lo sa e non lo saprà mai. Non esiste alcuna scelta. Esisti tu, così come sei, cioè come non sono le tue compagne. Hai tutto il tempo di assaporare, giorno dopo giorno, la profonda solitudine dei tuoi passi. E così per lunghi anni.Non è passato molto che i miei genitori hanno notato la mia “indisposizione”. Genitori vigili a cui nulla poteva essere nascosto. La rivelazione è avvenuta prima della fine dell'anno scolastico, mentre viaggiavamo sulla Milano-Venezia. Mio padre ha fermato la macchina in una piazzola dell'autostrada, ma credo che gli si sia fermato il cuore, mia madre si è messa a piangere. La mia natura mi rende impossibile vivere mentendo. Solo con gli anni, e l'accumularsi di esperienze, ho imparato a tacere quanto è opportuno non dire, lasciando a chi lo voglia la facoltà di trarre le proprie conclusioni.

Gli anni seguenti la rivelazione sono stati piuttosto discontinui. Coltivavo le mie amicizie tra i compagni di liceo, e sbandieravo a destra e a manca la mia omosessualità. Mia madre trovava autolesionistico questo mio atteggiamento, ma io non ne potevo fare a meno. Sia perché odiavo vivere nelle menzogna abbozzando uno stile che non era mio, sia perché era l'unico modo per sapere se c'era in giro qualcuno del mio stesso “genere”.

Ho avuto due grandi amori in questi anni di ragazza. Uno corrisposto al 70%, uno al 30%: in entrambi i casi le due fanciulle hanno avuto una paura terribile ad imbarcarsi in un’avventura così difficile e socialmente sconveniente, e alla fine si sono tirate indietro. Ovviamente ne ho sofferto moltissimo, in entrambi i casi. La mia “notorietà” mi permetteva però di soffrire pubblicamente, e di condividere con le amiche il mio dolore. C'era allora una me stessa che ora ho in parte perso, e talvolta vorrei ritrovare.In quegli anni ho avuto la mia prima esperienza sessuale vera e propria, che la mancanza di amore non mi fa ricordare con piacere. Un'esperienza ormonale direi, come è capitato credo a molti in età adolescenziale.Ho avuto alti e bassi nell'adolescenza, a volte grandi solitudini e feroci dolori, altre volte mi sono sentita inclusa in un certo contesto, partecipe dello stare insieme del gruppo. Ci sono stati momenti in cui mi è parso che la mia omosessualità non fosse altro che una variante possibile tra noi amici. Non percepivo che le mie più care amiche avessero timore di attenzioni particolari da parte mia, e io viaggiavo da una casa all'altra, andavo in vacanza con loro e dormivo con loro.

La mia generazione ha vissuto forse l'ultimo scorcio di un'epoca in cui ci si poteva innamorare perdutamente e per lo più castamente. A noi, da bravi liceali classici, piacevano i lirici greci, dove la corporeità dell'amore poteva svanire in un soffio, un'eco di lontananza; o i sonetti dello stilnovo, dove il canto si perdeva nel desiderio di una donna idealizzata sino alla disincarnazione. Appartengo ad una specie ormai rara che ha letto Saffo prima di capire che la parola lesbica derivasse dalle sue poesie. Ripetevamo gli schemi che studiavamo in letteratura, adattandoci al fatto incontrovertibile che il tizio o la tizia non ci guardava. Ho molto amato e molto aspettato, e la mia vita era tutta protesa in questa ricerca. Non credevo in Dio allora o non cercavo coscientemente una via che trascendesse e realizzasse a più ampio spettro i miei umani bisogni.

Trascorrevo parte delle vacanze con i miei genitori, sulle Dolomiti. A 17 anni ho incominciato a vagare per i monti da sola, e mentre camminavo tra forcelle e canaloni pensavo e litigavo. Con chi litigassi l'ho capito anni dopo. Allora era uno sfogare i forti contrasti che sentivo in me, arrancando tra i sassi: le spossanti discussioni in famiglia, la radicale difficoltà a gestire e manifestare la mia affettività, la solitudine interiore sempre maggiore in cui mi venivo a trovare, la rabbia di non poter avvicinare liberamente le ragazze che mi interessavano, una costante sensazione di inadeguatezza e disagio ovunque andassi…

È stato avanzando verso una forcella dell'altipiano di Sennes che per la prima volta mi ha risposto. O forse dovrei dire che per la prima volta ho sentito la sua voce, ho intravisto il suo volto. Nella natura ho incontrato Dio, senza saperlo. Quel giorno la sua bellezza mi ha investito con i colori e gli odori della creazione. Il vento ha sussurrato il suo nome e il mio nome mescolati assieme e ho saputo che c'era.

In quel tempo avevo smesso di andare a messa, dove i miei genitori richiedevano la mia presenza almeno fino alla maggiore età. L'ultima volta era stata prima di Pasqua. Non me ne fregava più niente, non c'era nulla là che parlasse al mio cuore.

Quel primo incontro con Dio non mi ha riportato in Chiesa, né mi ha in alcun modo riavvicinato alla religione. Ma la porta che si era aperta non si è chiusa, Lui è venuto a cercarmi, dopo, non subito. Sono oggi convinta che siamo chiamati all'unità, alla semplicità, nella profondità di Dio.

Il percorso delle persone è tuttavia spesso assai tortuoso, una successione di fuorivia dai quali non sempre è facile riorientarsi. Credo che solo poche persone a cui viene fatto dono di una grazia speciale siano capaci di linearità, o forse la loro via appare lineare solo a noi, mentre la loro vita interiore tesse un arazzo incomprensibile a loro stessi fino a che non è concluso.

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