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Nemmeno il cemento degli antichi romani...

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 16/11/2013

Si dice cementificazione del territorio e si pensa ai palazzinari abusivi che per riciclare denaro sporco costruiscono case scadenti ed energivore divorando il verde là dove piani urbanistici decenti non permetterebbero costruzioni oppure là dove piani urbanistici dementi le permettono. Vero. Ma il consumo smodato di suolo ha molti altri aspetti. Potremmo dire: «A ogni luogo il suo asfalto». Con tanti danni per il paesaggio, il regime delle acque e lo stesso clima.

Per esempio in Amazzonia la cementificazione si chiama strade. In tre anni, nella sua sola parte brasiliana si sono snodati 50mila chilometri in più, riferisce l’istituto di ricerca Regional Environmental Change (riportato dal sito mongabay.com); in totale il bacino amazzonico ha ormai un reticolo di quasi 100mila km di strade, un terzo dei quali asfaltati. Il problema è che questa viabilità aiuta matematicamente la deforestazione. In quegli stessi  tre anni, infatti, 70mila chilometri quadrati di foresta sono caduti sotto i colpi dei commercianti di legname, dei minatori, degli allevatori.

In Italia, aumentare il numero di strade – che fanno già del nostro Paese un enorme e assurdo piatto di spaghetti grigi – significa chiamare più traffico. Ma ovviamente nel consumo di suolo all’italiana fanno la parte del leone le costruzioni: palazzine e centri commerciali, capannoni di poli logistici e stalle.

Secondo il recentissimo rapporto dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) Qualità dell’Ambiente Urbano – IX rapporto, scaricabile dal sito dell’Ispra – l’Italia perde ogni giorno settanta ettari di verde. Milano e Napoli hanno cementificato il 60% del proprio territorio. Sono 35mila gli ettari cancellati a Roma, che è il più grande Comune agricolo d’Europa (chi lo direbbe?). Non parliamo di Napoli e del Vesuvio, e del rischio che al cemento si sovrapponga in un futuro la lava.

Le norme che potrebbero salvaguardare il territorio da ulteriori scempi, come la Vas (Valutazione Ambientale Strategica), non sono applicate come si dovrebbe. Delle 60 principali città italiane oggetto del monitoraggio, solo 20 hanno adottato piani urbanistici preventivamente sottoposti a Vas.

Cementificare fa male. Al paesaggio più bello del mondo, sfregiato e impermeabilizzato quasi ovunque e per sempre. Al regime delle acque, che viene stravolto. E al clima che è in grande pericolo: alla vigilia della conferenza Onu annuale sui cambiamenti climatici, che si tiene in Polonia, il nuovo rapporto degli esperti Onu per i decisori politici, Climate Change 2014. Impacts, Adaptation and Vulnerability, dà i brividi. Ebbene la produzione di cemento e il suo successivo impiego provocano una enorme emissione di gas serra (e nelle foreste tropicali l’asfalto, facilitando il disboscamento, ammazza i polmoni del mondo. Allora, quale rimedio?

Leggiamo sul Messaggero e su Repubblica (fra gli altri) che gli scienziati stanno studiando il cemento degli antichi romani, fatto di calce e cenere vulcanica, meno energivoro nella produzione e più duraturo, come tutti possono vedere.

Ma per il Forum nazionale Salviamo il paesaggio, una rete di associazioni e singoli alla quale tutti possiamo aderire attivamente (http://www.salviamoilpaesaggio.it/), semplicemente non bisogna più costruire: solo riparare, valorizzare, ricostruire. E occorrono leggi precise.

Tutti possiamo partecipare a una delle campagne nazionali del Forum, quella che propone un censimento capillare, in ogni Comune italiano, per mettere in luce quante abitazioni e quanti edifici produttivi siano già costruiti ma non utilizzati, vuoti, sfitti. È per evitare che i piani urbanistici siano realizzati lontano dai bisogni effettivi delle comunità locali e prevedano nuovo consumo di suolo nonostante l’ampia disponibilità edilizia già esistente.

È bello e possibile; e già fatto qui e là: Cassinetta di Lugagnano (Mi), Solza (Bg), Camigliano (Ce), Ronco Briantino (Mi), Ozzero (Mi), Pregnana Milanese (Mi) hanno già nuovi Piani urbanistici a “crescita zero”. Chiediamo a loro come hanno fatto.

* Saggista e giornalista, impegnata sui temi socio-ambientali

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