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SU ISRAELE O TACI O ACCONSENTI. POLEMICHE NELLA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA

Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 25/01/2014

37472. ROMA-ADISTA. Se alla fine si giungerà ad una scissione – come ipotizzato da qualcuno – non è dato sapere, ma quel che è certo è che il clima all’interno della Comunità ebraica di Roma non può dirsi pacifico. A dimostrarlo sta quanto avvenuto la sera del 14 gennaio scorso a Roma, durante la presentazione del libro di Fabio Nicolucci Sinistra e Israele. La frontiera morale dell’Occidente, organizzata dall’associazione di cultura ebraica Hans Jonas e dall’European Jewish Call for Reason, presso il Jewish Community Center di via Cesare Balbo.

Già, perché a dispetto del programma – che prevedeva gli interventi, oltre che dell’autore, di Lucio Caracciolo (direttore di Limes), Emanuele Fiano (deputato del Pd e segretario di Sinistra per Israele), Lucia Annunziata (direttrice Huffington Post Italia), Tobia Zevi (di Hans Jonas) e Giorgio Gomel (rappresentante di JCall Italia, la sezione italiana del movimento European Jewish Call for Reason) –, una quarantina di persone, su un totale di 200 circa, ha di fatto impedito a Gomel – che tra l’altro era tra gli organizzatori della serata – di prendere la parola.

Stando al racconto di due giornalisti di Confronti presenti all’incontro (www.confronti.net), il clima sin dall’inizio è stato di «forte tensione», con «interruzioni continue e aggressioni verbali», e «si è sfiorata più volte la rissa».

Un blitz da addebitarsi con tutta probabilità al fatto che Gomel è da anni accusato di essere più dalla parte del popolo palestinese che di quello ebraico, come dimostra lo striscione srotolato nel corso della presentazione, sul quale campeggiava la scritta «Torna a Gaza, Giorgio», con tanto di foto del famoso cane Lassie.

«Quando ho visto sul fondo della sala lo striscione ho capito che non era serata», ha spiegato Gomel (brogi.info, 15/1). «E così con Tobia Zevi abbiamo rinunciato ad introdurre lasciando alla conduzione di Lucia Annunziata la gestione della discussione. Che ha registrato un intervento tollerato di Emanuele Fiano, seguito dall’intervento del direttore di Limes Caracciolo, decisamente contestato e interrotto, tanto che Annunziata ha dovuto dare la parola a tre contestatori che hanno fatto le loro domande». «Tobia ed io – conclude – siamo stati poi scortati fuori della sala dal servizio di sicurezza della Comunità…».

Sdegnata la reazione di Gad Lerner che sul suo sito commenta: «Chi si accanisce contro il portavoce dell’associazione europea JCall, Giorgio Gomel, così come in passato su Moni Ovadia, giungendo a togliergli la parola e a minacciarlo fisicamente, deturpa i valori fondamentali dell’ebraismo». Troppo a lungo questi atteggiamenti «sono stati tollerati, se non incoraggiati. La reticenza, quando non la complicità dei rappresentanti delle istituzioni comunitarie, ha finito per incoraggiare chi rifiuta il confronto. Personalmente – racconta – tale incapacità di svolgere la propria missione di testimonianza mi aveva già indotto alla dolorosa decisione di uscire silenziosamente dalla Comunità ebraica di Milano cui ero iscritto da oltre mezzo secolo».

Raggiunto telefonicamente da Adista, Fabio Perugia, membro della Comunità ebraica di Roma, nonché suo coordinatore della comunicazione, presente alla serata del 14 gennaio, ha dichiarato che le critiche mosse a Gomel «dalla maggioranza dei presenti» sono state determinate dalle sue posizioni politiche su Israele specificando però che «le persone che l’altra sera hanno dissentito, con la parola e con uno striscione, fanno sì parte della comunità ebraica di Roma», ma che, essendo questa formata da circa 15mila persone, «dire che rappresentano in una qualche misura la comunità nella sua interezza non è corretto. Possiamo affermare – ha proseguito – che, al di là della forma della protesta, chi dissentiva si faceva portavoce di un malessere nei confronti del personaggio Gomel condiviso anche da molti non presenti alla serata». Quanto al clima rissoso e intimidatorio che alcuni dei presenti hanno riferito, Perugia commenta che è un’affermazione che «confligge con la verità dei fatti: se così fosse stato, ci sarebbe stato l’intervento della polizia, qualcuno si sarebbe fatto male… insomma nessuno ha minacciato di morte nessun altro». E conclude: «Penso che l’emotività dei presenti abbia lasciato spazio alla fantasia».

Mentre all’interno della sala le manifestazioni di dissenso ostacolavano il procedere del dibattito, all’esterno Marco Ramazzotti Stockel, della Rete ebrei contro l’occupazione, veniva spintonato, colpito alla tempia e fatto cadere a terra – come ci ha raccontato egli stesso – da alcuni membri della Comunità (con conseguente intervento di due poliziotti in borghese). Il problema, ha detto ad Adista, è che non si comprende che «quando un ebreo prende una determinata posizione politica lo fa per difendere anche e fondamentalmente il mondo ebraico», perché, ha proseguito, «io ho coscienza che Israele sta creando un’ondata di antisemitismo», che «le politiche sioniste nuocciono a noi ebrei». «I sionisti – ha proseguito – dicono che gli arabi sono i nostri nemici atavici. Beh, questa è una menzogna storica perché quando gli ebrei furono cacciati dall’Europa trovarono rifugio proprio presso i popoli arabi».


Trascorsi

Che Gomel non goda del favore di una parte della Comunità ebraica di Roma non è una novità. Due anni fa il suo nome fu al centro di una forte polemica scatenatasi a seguito di alcune sue dichiarazioni.

Era il 2011 e a pochi giorni dalla strage commessa da due palestinesi nell’insediamento illegale di Itamar, in Cisgiordania (fu uccisa un’intera famiglia, padre, madre e tre figli), la Comunità ebraica di Roma aveva annunciato, dopo una prima visita organizzata dalla Comunità ad Itamar, un secondo appuntamento con un evento chiamato: “Happening e barbecue con i nostri fratelli di Itamar”.

Gomel scriveva quindi in una lettera pubblicata sul mensile Shalom che «Itamar non è un posto da barbecue e i suoi abitanti non sono sentimentalmente i “nostri fratelli”. Itamar è un insediamento in Cisgiordania», «uno dei più assurdi per la sua geografia e la sua storia, quasi un emblema della follia del conflitto israelo-palestinese e degli ostacoli immani che si oppongono alla sua soluzione pacifica con la costituzione di due Stati in rapporti di almeno decente vicinato». «I coloni che vi si sono insediati – proseguiva Gomel – non sono innocentemente e sentimentalmente i “nostri fratelli”; sono persone che, mosse da motivazioni diverse, molti di loro militanti dell’estremismo nazional-religioso, si sono insediate a Itamar così come in molte altre località su terreni di proprietà di palestinesi o espropriati dallo stato di Israele come “State land”».

La lettera di Gomel non passa inosservata. Prima compare sui muri di Portico d’Ottavia, nel ghetto di Roma, una frase offensiva contro Gomel, coperta il 19 maggio e poi cancellata il 20 maggio su iniziativa del presidente Riccardo Pacifici. Pochi giorni dopo, sempre a Portico d’Ottavia, appare uno striscione stampato e attaccato a un muro del Palazzo della Cultura (rivendicato, stando a quanto si legge sul sito della Comunità di Roma, dal Circolo I Ragazzi del ’48) che recita: «Ogni ebreo è nostro fratello… Moni Ovadia e Giorgio Gomel no» rimosso il giorno seguente da Pacifici, il quale interviene sulla questione nella newsletter dell’Unione comunità ebraiche italiane (Ucei) sottolineando che nella Comunità c’è spazio per la pluralità di opinioni. «La protesta – scriveva – non è sul legittimo, anche se non condivisibile politicamente da parte mia, diritto di dissentire sugli insediamenti, ma sul fatto che abbia scritto che “Non sono nostri fratelli”. Gomel, persona intelligente e non sprovveduta, sapeva di colpire nel segno e sapeva, ad arte, di creare una profonda lacerazione, difficilmente risanabile. È riuscito con abilità e godendo delle simpatie degli pseudo intellettuali ebrei italiani, a trasformare il suo strappo e patto di fratellanza ebraica in una “aggressione” alla sua libertà di opinione». «Mi dispiace», proseguiva, ma «rivendico il diritto di dissentire da Gomel come da Moni Ovadia, reo spesso di illustrare all’opinione pubblica italiana una realtà distorta di cosa sia Israele, sconfinando in alcuni casi al suo diritto di esistere». (ingrid colanicchia)

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