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Il Sinodo dei paradossi... e dei paraventi

Tratto da: Adista Notizie n° 38 del 01/11/2014

Il Sinodo dei paradossi si è dunque concluso. A inanellarli tutti ci vorrebbe un volume: mi limito a quelli più eclatanti. In un’assemblea di cattolici che devono riflettere sulla famiglia e sulla sessualità la stragrande maggioranza dei convocati (quasi tutti maschi) non ha famiglia e ha rinunziato all’esercizio “normale”, legittimo, della sessualità con il voto di castità celibataria. Si è mai visto un congresso destinato a fare il punto sull’uso sociale del vino in cui i degustatori di professione sono in minoranza e la stragrande maggioranza si dichiara astemia? 

Dentro questo paradosso per così dire generico e costante nell’organizzazione della Chiesa cattolica se ne è registrato uno più specifico e originale: il papa (custode ultimo dell’ortodossia secondo il ministero petrino) vuole mettersi in ascolto del “popolo di Dio”, mentre una fetta consistente degli immediati collaboratori del papa (cardinali, arcivescovi, vescovi) vuole difendere l’ortodossia dalle derive del “popolo” e dall’eccessivo lassismo del papa. Insomma, ancora un inedito: il generale di corpo d’armata sempre più in accordo con le truppe, colonnelli e maggiori sempre più in disaccordo con le truppe e con il generale. È all’interno di questo paradosso che l’attuale vescovo di Roma è difeso da quei laici che hanno sempre attaccato i papi e attaccato da quei chierici che hanno sempre difeso il papa.

Questa sequenza di paradossi ruota e si basa, probabilmente, sul paradosso cruciale della Chiesa cattolica: promuovere il vangelo dell’universale figliolanza divina, della fratellanza, della pari dignità di ogni uomo e di ogni donna mediante una struttura verticistica, gerarchica, asimmetrica. Così che nel XXI secolo un papa che voglia meno obbedienza servile  da parte di chierici e fedeli-laici o non viene ascoltato o… lo deve chiedere per obbedienza!

Rileggere la Leggenda del grande inquisitore di Dostojevskij aiuterebbe a decifrare il momento ecclesiale molto più in profondità di tante analisi più o meno sociologiche: nella Chiesa cattolica, ma in generale nell’umanità, c’è spazio per la libertà di coscienza o – tutto sommato – la maggioranza del gregge preferisce restare tale per non condividere la faticosa ricerca della strada da parte dei pastori? E i pastori vogliono mantenere salda la guida del gregge solo per volontà di dominio (più o meno inconscio) o, in non pochi casi, sono sinceramente convinti che il miglior servizio verso i fedeli è evitare di farli pensare con la propria testa proteggendoli da dubbi inquietanti?

Due osservazioni per chiudere. I giornali dicono che questo Sinodo ha spaccato la Chiesa cattolica. Falso: ha manifestato apertamente una spaccatura vecchia, forse antica quanto la Chiesa stessa. Senza andare troppo indietro, già da decenni il filosofo cattolico Pietro Prini aveva scritto sullo scisma sommerso, invisibile, di molti (vescovi, preti e teologi inclusi) rispetto al Magistero ufficiale.

In questa spaccatura è spontaneo ritrovarsi in sintonia  con i “progressisti” ma, mi sia concesso di aggiungere per amore della sincerità, non senza disagi: tra alcuni “progressisti” dell’ultima ora e i “conservatori” irriducibili la mia stima va a questi ultimi, fedeli alla propria linea anche quando diventa scomodo sostenerla. Che in pochi mesi, fiutato il vento, molti vescovi e parroci che da decenni hanno bollato i “riformisti” di eresia si scoprano aperti e sensibili, mi provoca disgusto: questi carrieristi conformisti sono troppo abili nel saltare sul carro dei potenti di turno per poter meritare la nostra fiducia di compagni di strada.

* docente di storia e filosofia nei licei. Fra i suoi ultimi libri, “Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia” (con Francesco Palazzo e Rosaria Cascio, Di Girolamo, Trapani, 2013).

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