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Partito democratico e cattolicesimo sociale

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 41 del 22/11/2014

Nel periodo immediatamente precedente alla nascita del Partito democratico fui invitato ad un dibattito ad una festa dell’Unità sul rapporto tra Chiesa cattolica e politica. Dopo una serie di premesse garbate sul fatto che non spettava a me – anche per il mio ruolo pastorale – definire chi fosse dentro o fuori un partito e ribadendo che la divergenza di opinioni non inficia il rispetto delle persone, dissi che in un partito in cui militasse Paola Binetti non avrei mai messo piede, dal momento che l’aggettivo “democratico” e l’Opus Dei sono incompatibili. In sala risuonò un lungo applauso. Il segretario dell’area metropolitana del partito che mi ospitava spiegò che la loro intenzione era creare un nuovo soggetto politico aperto a tutti e che la concordanza sul progetto era quanto occorreva per accedervi. Binetti in effetti fu eletta nelle file del Pd, fino a quando ne uscì per trasferirsi in altre formazioni politiche più centriste. Le posizioni che assunse per esempio nei confronti dell’identità omosessuale la posero in contrasto con buona parte della base del Pd stesso, nonché con quella componente del mondo cattolico che non si sognerebbe mai di definire questa identità «una devianza della personalità». Tutto ciò forse rende ragione della mia affermazione non tanto sulla democraticità di un aderente all’Opus Dei, quanto piuttosto sulla possibilità che tali personalità riescano a militare in una formazione politica che si proponga un autentico pluralismo interno.

Sono partito da questo aneddoto perché in quella circostanza ho focalizzato una volta di più che in Italia un partito che non chiarisca alcuni elementi di fondo della propria identità in relazione al rapporto con la Chiesa cattolica difficilmente metterà a proprio agio i suoi membri laici e quelli cattolici che non accettano di essere schematizzati. In realtà la sinistra italiana non ha mai tenuto conto che nei rapporti con il cattolicesimo non si trovava di fronte ad un soggetto univoco e monolitico. Una Chiesa non è un partito a cui iscriversi con una tessera da stracciare se non se ne condivide più la linea: prescrive un’appartenenza complessa, che deve tener conto di una sensibilità sociale articolata; vi convivono tradizioni politiche e sensibilità teologiche molto diverse. Se le differenze di impostazione teologica producono sensibilità sociopolitiche diverse e legittime, le diversità di orientamento politico non dovrebbero condurre a differenze dottrinali. La teologia fondamentale prevede il dogma, la teologia morale no. Se un partito ha al proprio interno una componente che non accetta questo pluralismo, facendosi forte della forza ricattatoria del sostegno della gerarchia cattolica ad una linea piuttosto che ad un’altra, non riuscirà mai ad essere accogliente verso quella parte della Chiesa cattolica che non si è mai assimilata alla visione ruiniana del consenso garantito al berlusconismo, come a qualsiasi linea predeterminata per qualsivoglia interesse di parte.

Quanto sta emergendo ora è di altro segno, ed è legato più ad una questione sociopolitica. La sensibilità indicata dal Magistero di papa Francesco, ben radicata nella dottrina sociale tradizionale, consente di sentirsi al proprio posto in un partito in cui è così difficile sentir parlare di lotta alla povertà, all’evasione fiscale, ai delitti ambientali, alle mafie? La strada percorsa insieme a realtà associative laiche per la tutela dei diritti, l’antifascismo, il contrasto al razzismo e all’omofobia rientrano nel patrimonio culturale del Pd? Dove sono finiti i riferimenti a figure come Dossetti, La Pira, Milani, Balducci, la migliore tradizione del cattolicesimo, che è stato anche di governo, ma capace di vera opposizione alle forze reazionarie? Si può pensare un partito di cultura social-cattolica, ideato come sintesi tra linee culturali diverse ma comunque riconducibili ad un vero umanesimo, in contrasto con i sindacati sulle politiche sul lavoro, con molte associazioni sulla tutela della giustizia, in taluni casi schierato persino in contrappunto alle indicazioni della Cei?

È  andata a finire che per almeno quattro anni non mi hanno più chiamato alle iniziative del partito di cui stiamo trattando: hanno ripreso a farlo da quando sono diventato referente regionale di Libera, ma sono stato convocato per parlare di altri temi. Di recente ho fatto riferimento più volte all’esigenza di un partito che si dice di sinistra di dichiarare l’incompatibilità tra l’iscrizione nelle sue file con quella alla massoneria. E anche ad altro. Che dite, continueranno a chiamarmi?

*Parroco a Sant’Andrea in Percussina (Fi), giornalista, fa parte del direttivo della rivista Testimonianze e del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione “Ernesto Balducci”

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