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«Dentro i conflitti», per servire il Vangelo. Un libro di Roberto Fiorini

Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 04/04/2015

38071 MILANO-ADISTA. Don Beppe di Lucca, negli ultimi giorni della sua lunga e appassionante esistenza, ha deciso di essere sepolto con indosso una tuta da lavoro perché, scriveva nelle sue volontà, «è nella storia dei preti operai che io mi riconosco». Quello di don Beppe è solo uno dei tanti toccanti aneddoti che Roberto Fiorini ha inserito nella sua ultima fatica, Figlio del Concilio. Una vita con i preti operai (Paoline, Milano, 2015, pp. 232, 16€). Una sorta di autobiografia che però, a partire dall'esperienza personale del prete operaio di Mantova, si allarga a tratteggiare un importante pezzo di storia della Chiesa cattolica che si sta esaurendo insieme alla parabola esistenziale dei suoi protagonisti e che la narrazione ufficiale promossa dai palazzi rischia di mandare presto in soffitta senza i dovuti onori. Si tratta dei preti operai, nati in Francia nel periodo della Seconda guerra mondiale e la cui esperienza è stata “importata” nella Toscana degli anni Cinquanta da Bruno Borghi e Sirio Politi, fino a coinvolgere nel post-Concilio circa 300 preti che decisero di incarnare il Vangelo – viverlo e non raccontarlo – nei travagli della storia italiana. “Figli del Concilio”, appunto.

Sintetizza bene il rapporto conflittuale tra le gerarchie cattoliche e i preti operai il teologo Armido Rizzi nella prefazione al volume, quando parla della vocazione specifica dei preti operai di abbandonare le confortevoli sacrestie per vivere il Vangelo in mezzo alla gente, e per sporcarsi le mani condividendo la condizione di sfruttamento della classe operaia, e quando ricorda «il collateralismo di una religione congiunta al sistema stesso con alleanza di potere tra gerarchia e potentati economici». Una Chiesa che, negli anni caldi delle lotte per i diritti dei lavoratori, aveva di fatto compiuto la sua “opzione preferenziale per i padroni”. Preti operai che, nella trattazione di Fiorini, si configurano da sempre come «gente di confine», isolata dalle gerarchie, ma entusiasta di «abitare le periferie umane», propensione ieri osteggiata e oggi “sdoganata” da papa Francesco in una delle sue prime uscite pubbliche, che hanno rincuorato e dato maggiore forza alla stesura di questo libro. «Dio è venuto a piantare la sua tenda lontano da ogni “centro”», sottolinea lo stesso Fiorini; eppure solo «ora si parla di periferia» e ci si ricorda anche di quell'esperienza censurata dei preti operai, «ibrido impossibile tra tonaca sacerdotale e tuta da lavoro», «strana mescolanza inesistente per la grande retorica pastorale e per i faraonici progetti culturali che per più di un ventennio hanno occupato la scena cattolica», «appartenenti a una Chiesa che prima ci inviò nel mondo del lavoro» «per poi farci capire che eravamo inutili, se non dannosi, per la causa della Chiesa stessa». Come dannose erano le parole di Giovanni XXIII – anch'esse fatte proprie dal nuovo papa – sulla «Chiesa povera», parole sepolte nei decenni del post-Concilio, ma che i preti operai non solo professavano, ma vivevano sulla loro carne di lavoratori tra i lavoratori, cercando di leggere il Vangelo all'interno di una società, quella capitalistica, che andava via via togliendo valore al lavoro e alle persone.

Roberto Fiorini, oggi pensionato, ha scelto di esercitare il suo ministero con trenta anni di lavoro da infermiere, all'inizio dentro un ospedale psichiatrico, poi nei servizi territoriali della Asl e infine come coordinatore infermieristico dell'assistenza domiciliare. Nella sua vita si è occupato di formazione, di liturgia, di associazionismo cattolico, di volontariato. È stato inoltre segretario dei preti operai italiani e dal 1987 è responsabile di Pretioperai, rivista che esce quattro volte l'anno circa e che raccoglie la riflessione e il confronto sul cammino dei preti operai, con articoli, approfondimenti, testimonianze, interventi dei convegni che i preti operai organizzano ogni anno. Per la sua crescita personale e di fede, don Roberto ha attinto da diverse autorevoli fonti – come Dietrich Bonhoeffer, Etty Hillesum, don Sirio Politi, p. Ernesto Balducci, Lorenzo Milani, Simone Weil, Giovanni XXIII, Charles De Foucauld – ma anche dall'incontro con tanti compagni di strada, preti, lavoratori e gente comune con cui ha condiviso parte del suo cammino da assistente provinciale delle Acli, da infermiere e infine da “prete pensionato”, attivo nella società e nella Chiesa, sempre con tutti e due i piedi «dentro i conflitti». Nel libro Fiorini passa in rassegna gli anni Sessanta del mondo operaio, gli anni di piombo, il referendum sul divorzio; anni che crearono divisioni e spaccature non solo nel mondo politico, ma anche nel «modo di intendere e vivere la fede dentro il mondo». «Da una parte c'era la difesa di un regime di cristianità teso a tradurre in legge civile i valori derivanti dalla fede», sottolinea Fiorini, mentre «dall'altro c'era la lezione conciliare della libertà di coscienza da rispettare». Per i preti operai, coinvolti nella feroce dialettica del mondo del lavoro, furono anni duri e di grande tensione, che segnarono l'inizio di una progressiva emarginazione nella Chiesa. Da quegli anni si uscì a fatica e con le ossa rotte e per il cammino dei preti operai, che seguiva da vicino quello del mondo operaio e del lavoro in generale, iniziò una fase di declino. Ad incidere, tra l'altro, è giunta anche la grande e inarrestabile “crisi delle vocazioni”. I pochi preti più sensibili, in un contesto che ha ridotto al lumicino le lotte sindacali e il concetto stesso di dignità del lavoro, si impegnano maggiormente in ambiti differenti, come le missioni o il volontariato accanto alle persone più deboli della società (tossicodipendenti,  senza fissa dimora, immigrati e quant’altro). Sebbene quasi tutti ormai pensionati, i preti operai continuano ancora oggi la loro grande testimonianza di Vangelo nella storia, facendo tesoro delle parole di Bonhoeffer che nel 1942 ebbe a scrivere: «Resta un'esperienza di eccezionale valore l'aver imparato infine a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi, in una parola, dei sofferenti». 

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