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Per cambiare tutto, c’è bisogno di tutti

Per cambiare tutto, c’è bisogno di tutti

Tratto da: Adista Documenti n° 26 del 18/07/2015

Clicca qui per leggere l'introduzione di Adista al documento

Papa Francesco, all'inizio della sua enciclica Laudato si’, scrive che questa non si rivolge solo al mondo cattolico ma a «ogni persona che vive su questo pianeta». Da ebrea laica e femminista, piuttosto sorpresa di essere stata invitata in Vaticano, posso dire che certamente parla a me.

«Non siamo Dio», dichiara l'enciclica. Tutti gli esseri umani lo sanno. Ma, circa 400 anni fa, clamorose scoperte scientifiche hanno indotto qualcuno a pensare che l'umanità fosse sul punto di sapere tutto ciò che c'era da sapere sulla Terra e che quindi fosse “maestra e padrona” della natura, come Cartesio ha mirabilmente detto. Questo, dicevano, è ciò che Dio ha sempre voluto.

Questa teoria si è mantenuta in vita per molto tempo. Ma scoperte scientifiche più recenti ci hanno rivelato qualcosa di molto diverso. Perché, mentre bruciavamo sempre più combustibili fossili – convinti che le nostre navi container e i nostri jumbo jet avessero cancellato le distanze, che noi fossimo dèi – i gas a effetto serra si stavano accumulando incessantemente nell'atmosfera trattenendo calore.

Così, ora, ci troviamo di fronte alla realtà: non siamo mai stati né maestri né padroni e stiamo scatenando forze naturali di gran lunga più potenti delle nostre macchine più ingegnose. Possiamo salvarci, ma solo se abbandoniamo il mito del dominio e del possesso e impariamo a lavorare insieme alla natura, rispettando la sua capacità intrinseca di rinnovamento e di rigenerazione.

E questo ci conduce al messaggio dell'interconnessione di tutto con tutto che è al centro dell'enciclica. Ciò che il cambiamento climatico ribadisce – per quella minoranza dell'umanità che lo avesse dimenticato – è che non esiste in natura un rapporto a senso unico di puro dominio. Come scrive papa Francesco, «niente di questo mondo ci risulta indifferente».

Per coloro che vedono l'interconnessione come una degradazione cosmica, questo è troppo da sopportare. E così – incoraggiati attivamente dagli attori politici sostenuti dalle imprese legate ai combustibili fossili – scelgono di negare la scienza. Ma questo sta cambiando, come cambia il clima. E cambierà ancora di più con questa enciclica. Potrebbero essere guai seri per i politici statunitensi che fanno affidamento sulla Bibbia come pretesto per opporsi alle azioni in difesa dell'ambiente. In questo senso, il viaggio di papa Francesco negli Stati Uniti, il prossimo settembre, non poteva cadere in un momento migliore.

Tuttavia, come sottolinea l'enciclica, la negazione assume tante forme. E ovunque, nel mondo, ci sono politici che accettano la scienza ma ne rifiutano le difficili implicazioni.

Ho passato le ultime due settimane a leggere centinaia di commenti all'enciclica. E, per quanto la reazione sia stata positiva, ho notato che c'è un argomento comune tra i suoi critici. Papa Francesco, dicono, potrà anche avere ragione a proposito della scienza e della morale, ma deve lasciare l'economia e la politica agli esperti. Sono loro, ci dicono, gli unici ad avere competenze in materia di commercio del carbonio e di privatizzazione dell'acqua e su come il mercato possa risolvere efficacemente ogni problema. 

Sono fortemente in disaccordo. La verità è che siamo arrivati a questo – pericoloso – punto anche perché molti di questi esperti ci hanno deluso, usando le loro grandi competenze tecnocratiche senza alcuna saggezza. E producendo modelli in cui il valore della vita umana, in particolare la vita dei poveri, è considerato poco o nulla, rispetto alla difesa dei profitti delle imprese e alla crescita economica.

Questo deformato sistema di valori ci ha condotto a un inefficace mercato del carbonio anziché a una forte tassazione sui combustibili fossili. E a porci come obiettivo un aumento delle temperature non superiore ai 2 gradi centigradi, benché ciò possa comunque comportare la sparizione di intere nazioni.

In un mondo in cui il profitto è costantemente messo al primo posto, prima delle persone e del pianeta, l'economia climatica ha per forza a che fare con la morale e l'etica. Perché, se siamo d'accordo sul fatto che mettere in pericolo la vita sulla Terra è una crisi morale, allora è nostro dovere agire.

Ciò non significa scommettere sui cicli di espansione e di recessione del mercato nel futuro. Significa puntare su politiche che regolino direttamente la quantità di carbonio che può essere estratto dalla terra. E che conducano al 100% di energie rinnovabili in 20-30 anni, non entro la fine del secolo. E significa condivisione di risorse comuni – come l'atmosfera – sulla base della giustizia e dell'equità, in modo che non siano i vincitori a prendersi tutto.

RENDERE IL POSSIBILE REALE

Ecco perché un nuovo tipo di movimento per il clima sta rapidamente emergendo, sulla base di quella che è la verità più coraggiosa espressa nell'enciclica: il fatto che il nostro attuale sistema economico sta alimentando la crisi climatica e ci impedisce di adottare i provvedimenti necessari per contrastarla. Un movimento fondato sulla consapevolezza che, se non vogliamo che il cambiamento climatico ci sfugga di mano, dobbiamo necessariamente cambiare il sistema. E poiché il nostro attuale sistema sta anche alimentando disuguaglianze crescenti, abbiamo la possibilità di risolvere nello stesso momento molteplici crisi sovrapposte. In breve, possiamo passare a un'economia allo stesso tempo più sostenibile e giusta.

Questa crescente consapevolezza è alla base delle sorprendenti e improbabili alleanze cui stiamo assistendo. Come, per esempio, la mia presenza in Vaticano. Come il fatto che sindacati, indigeni, gruppi di fedeli e ambientalisti lavorino insieme a stretto contatto come mai era accaduto prima.

All'interno di queste coalizioni non siamo d'accordo su tutto – neanche per idea! – ma ci rendiamo conto che la posta in gioco è così alta, il tempo così poco e l'impegno così grande che non possiamo permetterci che queste differenze ci dividano. Quando 400mila persone hanno marciato per la giustizia climatica a New York lo scorso settembre, lo slogan era “Per cambiare tutto, abbiamo bisogno di tutti”.

Tutti significa anche i leader politici, naturalmente. Ma, avendo partecipato a molti incontri con i movimenti sociali in vista della Cop21 di Parigi, posso dire questo: non possiamo tollerare che un altro fallimento venga presentato ai media come un successo, per poi vedere, a distanza di una settimana, quegli stessi politici tornare a estrarre petrolio nella regione artica, a costruire altre autostrade e a firmare nuovi accordi commerciali che rendono più difficile contrastare chi inquina.

Se non si riesce a ottenere un'immediata riduzione delle emissioni provvedendo a reali e sostanziali aiuti per i Paesi poveri, allora lo si dovrà presentare come un fallimento. Perché tale sarebbe.

Ciò che dobbiamo sempre ricordare è che non è troppo tardi per invertire la rotta, quella che ci sta portando verso un aumento della temperatura di 4 gradi centigradi. È ancora possibile limitare il riscaldamento entro la soglia del grado e mezzo se facciamo di questo obiettivo la nostra priorità collettiva.

È difficile, questo è certo. Difficile quanto il razionamento e le riconversioni industriali in tempo di guerra. Ambizioso come i programmi di lavori pubblici e di lotta alla povertà lanciati in seguito alla Grande Depressione e alla Seconda Guerra Mondiale. Ma difficile non significa impossibile. E rinunciare a svolgere un compito che potrebbe salvare molte vite e prevenire molta sofferenza solo perché è difficile, è costoso e richiede sacrifici da parte di chi più può permettersi di fare a meno di qualcosa, non è pragmatismo. È la resa più vile. E non c'è analisi costi-benefici nel mondo capace di giustificarla.

«Non lasciate che la perfezione sia nemica del bene». Sono 20 anni che sentiamo ripetere queste parole, ogni volta che una nuova conferenza delle Nazioni Unite manca l'obiettivo di politiche coraggiose, vincolanti e basate sulla scienza, lanciando vuote promesse di aiuti economici. «Sicuramente non è abbastanza ma è un passo nella giusta direzione». «Faremo il lavoro più difficile la prossima volta». E ancora: «Non lasciate che la perfezione sia nemica del bene». 

Questo, va detto dentro queste sacre mura, è puro non senso. La “perfezione” non è più di questo mondo dalla metà degli anni '90, dopo il primo Vertice sulla Terra di Rio.

Oggi abbiamo solo due strade davanti a noi: una difficile ma giusta e l'altra facile ma riprovevole.

Ai nostri cosiddetti leader che si stanno preparando per la Cop21 di Parigi, imbellettando un altro pidocchioso accordo, voglio dire questo: leggete l'enciclica di papa Francesco, non il suo sommario ma proprio tutta. Leggetela e lasciate che pervada i vostri cuori. Il dolore per ciò che abbiamo già perso e la celebrazione di ciò che possiamo ancora proteggere e aiutare a prosperare.

Ascoltate, poi, le voci delle centinaia di migliaia di persone che durante la conferenza percorreranno le strade di Parigi e di tante città del mondo. Questa volta diranno qualcosa di più di “dobbiamo agire”. Diranno: stiamo già agendo. Siamo la soluzione: con le nostre richieste alle istituzioni perché disinvestano dalle compagnie di combustibili fossili e investano invece in attività che riducano le emissioni. Con i nostri metodi di coltivazione ecologica, che fanno meno affidamento sui combustibili fossili, fornendo cibo sano e lavoro. Con i nostri progetti di energia rinnovabile controllati a livello locale, che stanno riducendo le emissioni, abbassando i costi e definendo l'accesso all'energia come un diritto. Con la nostra richiesta di mezzi pubblici affidabili e convenienti, se non gratuiti, che ci farebbero rinunciare alle automobili che inquinano le nostre città, congestionano le nostre vite, ci isolano gli uni dagli altri. Con la nostra insistenza, senza compromessi, sul fatto che non ci si può definire leader in materia climatica mentre si apre la via a nuove trivellazioni, al fracking e alle miniere negli oceani o sulla terra. Con la nostra convinzione che non ci può definire una democrazia se si è legati a multinazionali inquinanti.

Ovunque, sul pianeta, il movimento per la giustizia climatica sta dicendo: guardate il bellissimo mondo che sta al di qua di queste politiche coraggiose, i cui semi stanno già dando frutti che chiunque abbia voglia di guardare può vedere. Smettete di fare del difficile il nemico del possibile. E unitevi a noi per rendere il possibile reale.

* Immagine di Alejo, tratta da Flickr, licenzaimmagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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