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Sinodo dei vescovi: vince l’equilibrismo. Parola d’ordine «discernimento»

Sinodo dei vescovi: vince l’equilibrismo. Parola d’ordine «discernimento»

«Discernimento» è la parola chiave del Sinodo dei vescovi sulla famiglia che ieri ha approvato la Relazione finale e che si conclude oggi con la messa a San Pietro presieduta da papa Francesco.

Dai 265 padri sinodali che ieri sera hanno votato uno per uno i 94 paragrafi della Relazione finale (in 5 non hanno partecipato al voto) quindi, non è arrivata nessuna proposta netta sui temi spinosi dei divorziati risposati e delle coppie conviventi o sposate solo civilmente – più chiare invece, in senso negativo, quelle su coppie omosessuali e contraccezione –, ma una sorta di delega ai vescovi diocesani e ai preti a valutare e a decidere caso per caso. Il risultato è una evidente mediazione – resa necessaria per evitare che qualche paragrafo della Relazione non ottenesse il quorum dei 2/3, come era accaduto al termine dell’assemblea straordinaria di ottobre 2014 (v. Adista Notizie n. 38/14) – che non apre e non chiude, perlomeno su alcune questioni, e che non scontenta nessuno perché in fondo non accontenta nessuno.

In ogni caso l’ultima parola spetterà al papa, sia perché il Sinodo è un organismo solo consultivo, sia perché sembra che i vescovi, con l’indeterminatezza e la genericità di molti paragrafi, gli abbiano voluto lasciare il cerino in mano.

Papa Francesco: non condanne ma misericordia

Qualcosa Francesco l’ha già detta, nel suo discorso conclusivo di ieri sera. Ha ribadito – e non c’erano dubbi in proposito – la dottrina tradizionale sul matrimonio, «tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità». Ma ha anche pronunciato alcune parole che potrebbero assumere una sorta di bussola per il «discernimento» affidato ai vescovi e ai preti, oppure il preludio ad una possibile Esortazione postsinodale che interpreti del conclusioni del Sinodo. «Il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri», ha detto Bergoglio. «Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio», «i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito, non le idee ma l’uomo». E ancora: abbiamo «spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite». La strada potrebbe essere quella del «decentramento», più volte invocato da Francesco: «Aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – ha detto il papa –, abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato».

Divorziati risposati: approvazione all’ultimo voto

La relazione finale, interamente approvata dal quorum dei due terzi dei 265 partecipanti al voto (ovvero 177) – ma su alcuni punti solo per un soffio –, conferma ovviamente i principi cattolici sul matrimonio «naturale» ed «indissolubile». Ed evidenzia i fattori di crisi del matrimonio e della famiglia: cause culturali e antropologiche («esasperata cultura individualistica», «femminismo», «ideologia del gender»), ma anche economico-sociali («povertà», «migrazioni forzate», «conflitti», «sistema economico che produce diverse forme di esclusione sociale», a cominciare dalla mancanza di lavoro).

Quindi passa in rassegna alcuni punti particolarmente dibattuti e divisivi, a partire dalla questione dei divorziati risposati. I tre paragrafi ad essa dedicati sono quelli che hanno ottenuto il numero più basso di consensi; uno dei tre, il numero 85, è passato solo per un voto in più rispetto al quorum. L’ammissione all’eucaristia non è menzionata – come invece viene fatto per i divorziati non risposati (paragrafo 83, approvato con 248 sì e 12 no) – ma nemmeno negata. La via da seguire è quella del «discernimento» caso per caso – distinguendo le responsabilità di ciascuno – affidata alla responsabilità dei vescovi, dei preti e, solo in minima parte, alla coscienza dei singoli.

Riportiamo gli interi tre paragrafi, indicando il risultato della votazione.

«84. I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità». (187 sì, 72 no)

«85. San Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido” (Familiaris Consortio, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno.

Inoltre, non si può negare che in alcune circostanze “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate” (Catechismo della Chiesa cattolica, 1735) a causa di diversi condizionamenti. Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla “imputabilità soggettiva” (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi». (178 sì, 80 no)

«86. Il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. Familiaris Consortio, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa». (190 sì, 64 no).

Coppie conviventi: da orientare verso il matrimonio

Sul tema delle coppie conviventi e sposate solo civilmente, la Relazione finale è sorprendentemente aperta. Non le approva ovviamente e tende ad indirizzarle verso il matrimonio cattolico, ma nemmeno le condanna severamente (e non a caso sono i due paragrafi che, dopo i divorziati risposati, ottengono meno consensi, comunque superiori a 200): anche qui la parola d’ordine è «discernimento».

Ecco i due paragrafi dedicati alla questione, con i risultati della votazione.

«70. La pastorale proponga con chiarezza il messaggio evangelico e colga gli elementi positivi presenti in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso. In molti Paesi un crescente numero di coppie convivono, senza alcun matrimonio né canonico, né civile. In alcuni Paesi esiste il matrimonio tradizionale, concertato tra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. In altri Paesi invece è in crescita il numero di coloro che, dopo aver vissuto insieme per lungo tempo, chiedono la celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto diventano sempre più numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma anche per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino di conversione verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo». (213 sì, 47 no)

«71. La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti. In molte circostanze, la decisione di vivere insieme è segno di una relazione che vuole realmente orientarsi ad una prospettiva di stabilità. Questa volontà, che si traduce in un legame duraturo, affidabile e aperto alla vita può considerarsi un impegno su cui innestare un cammino verso il sacramento nuziale, scoperto come il disegno di Dio sulla propria vita. Il cammino di crescita, che può condurre al matrimonio sacramentale, sarà incoraggiato dal riconoscimento dei tratti propri dell’amore generoso e duraturo: il desiderio di cercare il bene dell’altro prima del proprio; l’esperienza del perdono richiesto e donato; l’aspirazione a costituire una famiglia non chiusa su se stessa e aperta al bene della comunità ecclesiale e dell’intera società. Lungo questo percorso potranno essere valorizzati quei segni di amore che propriamente corrispondono al riflesso dell’amore di Dio in un autentico progetto coniugale» (218 sì, 42 no).

Contraccezione e coppie omosessuali: chiusura totale

Il criterio del «discernimento» non vale invece per le coppie omosessuali e la contraccezione.

Su quest’ultimo punto viene ribadito quanto prescritto dalla Humanae Vitae di Paolo VI: la contraccezione artificiale non è ammessa, l’unica lecita resta quella basata «sui ritmi naturali di fecondità».

Sulle coppie omosessuali la chiusura è assoluta, come indicato al paragrafo 76 della Relazione, che ha incassato 221 sì e 37 no. «Nei confronti delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4). Si riservi una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale. Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (Ibidem). Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso». Sono le posizioni espresse anni fa dalla Congregazione per la dottrina della fede, quando era guidata dal card. Ratzinger.

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