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Non ci rassegniamo. Intervista a Kenarik Boujikian e a Letícia Sabatella

Non ci rassegniamo. Intervista a Kenarik Boujikian e a Letícia Sabatella

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 28/05/2016

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Siete due donne con un lungo percorso di militanza sociale. Qual è il cammino che vi ha condotto fin qui?

Letícia Sabatella: Fin da piccola mi sono sempre interrogata sul perché le cose funzionino in questo modo. E poi, come attrice, ho iniziato ad avvertire una nuova responsabilità, dal momento che un personaggio pubblico assume inevitabilmente un ruolo nella dinamica di formazione delle opinioni. Nel momento in cui iniziai a fare televisione, nel 1991, conobbi Betinho, mossa dalla volontà di fare qualcosa per aiutare i bambini di strada che vendevano dolci di fronte alla Globo, dove lavoravo. Nel corso degli anni, sono  passata attraverso diverse esperienze di formazione: ho voluto conoscere da vicino la vita delle comunità indigene (attraverso il documentario “Os palhaços sagrados da tribo krahô”); sono entrata in contatto con i movimenti impegnati nelle favelas e nella questione della terra, identificandomi con la lotta e con i valori del Movimento dei Senza Terra; ho partecipato al Movimento Humanos Direitos di p. Ricardo Rezende, un grande punto di riferimento nella lotta contro il lavoro schiavo. Sono convinta che l'organizzazione dei poveri rappresenti una soluzione per la società intera.  

Kenarik Boujikian: Il mio coinvolgimento nelle questioni sociali è iniziato già negli anni della gioventù, quando studiavo dai salesiani. Credo di essere stata facilitata anche dalla mia origine armena, dal fatto che mia nonna fosse una sopravvissuta al genocidio. Dopo il mio ingresso in magistratura, ho dato vita insieme ad altri colleghi all'Associazione dei Giudici per la Democrazia, con l'obiettivo di favorire il processo di democratizzazione del Paese, ancora incompleto (era stata appena approvata la Costituzione del 1988), e di contribuire  alla democratizzazione del potere giudiziario, la cui funzione è quella di garantire il rispetto dei diritti fondamentali al centro della nostra Costituzione e dei vari trattati internazionali sottoscritti dal Brasile. La mia attività si è sviluppata nell'area dei diritti umani, a fianco dei movimenti. In particolare, ultimamente, mi sono impegnata nella questione indigena, specialmente in relazione ai Guarani Kaiowa nel Mato Grosso do Sul, e nella questione carceraria. E tutto ciò nel quadro della difesa della democrazia, che è alla base di tutte queste lotte. 

Quale messaggio avete portato a papa Francesco?

L. S.: Abbiamo espresso al papa tutta la nostra preoccupazione per l'immediato futuro. Quando si verifica una rottura dello Stato democratico, tutto diventa molto confuso. Siamo tutti spaventati dall'assoluta mancanza di etica alla base dell'attuale processo di impeachment, dal fatto che a guidarlo sia stato un criminale, dalla presenza di un leader fascista come Bolsonaro, dal rischio assai concreto che la corruzione non venga affatto combattuta. Non c'è nessuna reale volontà di contrastare la corruzione, non si vede alcuno sforzo per migliorare la situazione del Paese: tutto quello che sta succedendo è alimentato da una grande ondata di odio, dall'intenzione di mettere a tacere le forze di resistenza e di cambiamento, quelle che combattono per una migliore distribuzione della ricchezza. E ora che il golpe è quasi consumato, coloro che ne sono responsabili parlano di pace per nascondere i loro intenti oppressivi, usando Dio e la religione in maniera superficiale e impropria e rivelando, nei loro accenti omofobici e misogini, nel loro totale capovolgimento dei valori, un'assenza completa di tolleranza e di rispetto per le differenze, un disprezzo per la vita e per ciò che c'è di più sacro. Quello a cui stiamo assistendo è un crimine politico, commesso nel nome di Dio. 

K. B: L'incontro con papa Francesco è stato un momento di forte emozione. Gli abbiamo portato  tutta la preoccupazione dei movimenti popolari per quello che sta succedendo in Brasile e che avrà conseguenze in tutta l'America Latina. Non ci sono dubbi sul fatto che ci troviamo di fronte a un golpe, per quanto senza violenza fisica. Quella fase - quella dei colpi di Stato violenti che abbiamo conosciuto nel nostro continente - è ormai superata. La rottura della legalità istituzionale non avviene oggi tramite la violenza, ma attraverso la violazione della Costituzione e del progetto di uguaglianza, di giustizia e di dignità che ne rappresenta l'essenza. Non posso accettare l'idea che qualcuno voglia rovesciare un governo democraticamente eletto. Né avrei mai immaginato di dover vivere una situazione come questa, soprattutto venendo da un periodo di conquiste costituzionali. Chiaramente, si vuole rovesciare l'attuale governo non per ciò che di quel progetto non è riuscito a concretizzare, ma, al contrario, proprio per quanto ha saputo realizzare. Ho espresso al papa questa mia preoccupazione, evidenziando quanto il popolo brasiliano abbia bisogno di una parola di conforto e di amore. Come Letícia ha sottolineato, si pone con molta forza la questione della tolleranza, perché stiamo oltrepassando ogni limite in relazione alla mancanza di rispetto dell'alterità.

E il papa come ha reagito?

L. S.: Ci ha ascoltato con molta attenzione. E ci ha assicurato che sta pregando per il Brasile e che continuerà a farlo.

K. B.: Il papa si è mostrato preoccupato. Gli abbiamo chiesto come vede la questione del dialogo nell'ottica della democrazia e ci ha ripetuto ciò che aveva appena detto durante la cerimonia per il conferimento del premio Carlo Magno 2016: che, cioè, il dialogo è un modo di costruire ponti e abbattere muri, assicurando così il rispetto della democrazia. Che poi è lo stesso pensiero espresso in relazione a varie questioni, compresa quella dell'intolleranza religiosa, e ribadito anche durante il suo incontro con i movimenti popolari, quando ha parlato della necessità di mantenere un dialogo con i movimenti per la costruzione di un mondo migliore. E questo è proprio il motivo per cui ci ha ricevuto.

Dal clima che si respira in Brasile, pensate che la società sia maggioritariamente a favore o contro l'impeachment? I movimenti stanno riuscendo a disinnescare il discorso veicolato dall'élite, spiegando all'opinione pubblica come un processo di impeachment in assenza di qualsivoglia reato si configuri necessariamente come golpe?

K. B.: Esiste una forte campagna sui mezzi di comunicazione a favore dell'impeachment e questo gioca inevitabilmente un ruolo importante. Ma in realtà il conflitto avviene all'interno di un Parlamento che è assai distante dalla popolazione. Si registra uno scollamento molto forte tra il popolo brasiliano e quanti sono chiamati a decidere sulla messa in stato di accusa della presidente. Così, per esempio, stando a tutti i sondaggi, il vicepresidente Temer, che, in caso di destituzione di Dilma, assumerà la presidenza, non gode di nessuna legittimità, contando su un'infima percentuale di consensi. C'è realmente uno scarto tra il potere legislativo e la volontà popolare. È per questo che si registrano tante proteste, come, per esempio, quella degli studenti, che stanno promuovendo occupazioni di scuole ed esigendo il rispetto del diritto allo studio riconosciuto nella nostra Costituzione. 

L. S.: Si stanno risvegliando forze che erano sopite. Il governo del Pt ha svolto un ruolo fondamentale, ma, allo stesso tempo, ha seguito un'agenda per vari aspetti compatibile con il programma neoliberista. Tuttavia, anche chi critica il governo da sinistra si è schierato contro la rottura della legalità istituzionale, con tutta l'esplosione di odio che l'accompagna e che ho sperimentato di persona: non per niente, dopo aver espresso il mio appoggio alla presidente Dilma, il mio profilo Facebook è stato bloccato in seguito a una valanga di messaggi d'odio. E sono stata vittima di calunnie di ogni tipo (per fortuna ha ricevuto anche molto sostegno, attraverso la campagna SomosTodosSabatella). È chiaro che ci sono persone che legittimamente protestano contro la corruzione e sono deluse dalla politica seguita dal governo negli ultimi anni, basti pensare agli studenti che si stanno mobilitando contro i tagli del governo destinati a ridurre la possibilità di accesso alle mense scolastiche, denunciando l'appropriazione di denaro pubblico relativamente ai programmi di alimentazione scolastica. Ma quello che io vedo è che c'è stato un sequestro ideologico di un'indignazione legittima ad opera di chi, in perfetto stile fascista, si muove nell'ombra per alimentare pregiudizi, canalizzando l'odio verso un capro espiatorio, che è il partito più relazionato con le rivendicazioni popolari. 

Quali sono stati i principali meriti e i limiti più gravi del governo del Pt?

K. B.: Il merito più grande, a mio giudizio, è quello di aver cancellato una popolazione gigantesca - 40 milioni di persone - dalla mappa della miseria: un'impresa portata a termine in appena un decennio. Perché è qualcosa di assolutamente inaccettabile il fatto che in questo momento esatto vi siano persone che stanno morendo a causa della miseria. Si tratta sicuramente della conquista principale. Ve ne sono altre, per esempio in relazione agli investimenti in campo educativo e culturale, o rispetto alla politica di integrazione latinoamericana. Ma quello che realmente ha fatto la differenza, in Brasile, è il fatto che 40 milioni di persone al di sotto della soglia della povertà siano uscite dalla miseria in soli 10 anni. Questo per me significa tutto. Anche al di là del fatto che, nel compiere questa impresa, gli interessi oligarchici non siano stati toccati. Anche al di là del fatto che si sia garantita una certa continuità con il modello economico promosso dalle élite. La realtà è che queste non accettano neanche cambiamenti minimi. 

L. S: E un altro merito da evidenziare è quello della lotta contro il lavoro schiavo, una questione trascurata da tutti i governi precedenti. 

E gli errori?

K. B.: Non è facile parlarne in questo momento. Ciononostante, è importante farlo. Il governo, ma più in generale lo Stato brasiliano, ha evidenziato gravi limiti soprattutto in relazione alla questione indigena, con una paralisi del processo di demarcazione delle aree indigene, e alla questione della riforma agraria, per quanto si noti ora un'involuzione anche sul terreno dei diritti del lavoro e della previdenza sociale. E poi c'è la questione energetica: tutto quello che si investe in quest'area passa sopra la testa delle persone. E questo crea conflitti che non sono molto presenti mediaticamente, a parte forse il disastro ambientale causato dal cedimento di due dighe di contenimento dei rifiuti tossici della società mineraria Samarco – avvenuto il 5 novembre scorso nel comune di Mariana – o la lotta contro la centrale di Belo Monte.  

L. S.: Dal punto di vista ambientale, i risultati non sono positivi. Il modello di sviluppo è rimasto inalterato. Ma qui entra in gioco anche il discorso della governabilità possibile nel quadro di un Congresso come quello brasiliano e di una politica come quella brasiliana: di quella necessità di allearsi a un partito come il Pmdb e di cercare accordi con una quantità di partiti esistenti che rende difficile una reale politica di trasformazione. Quando Lula è stato eletto, la speranza delle forze popolari era enorme. Ma non vi sono state rotture: è stato cambiato qualcosa – qualcosa di grande, con 40 milioni di persone uscite dalla miseria -ma non tutto quello che si sarebbe dovuto cambiare. Eppure, anche quel cambiamento senza strappi ecco cosa ha prodotto: un colpo di Stato. Possiamo immaginare cosa sarebbe successo se quelle rotture fossero state portate a termine. Tutto quello che è stato fatto di buono viene ora presentato come un errore, addossando al Pt l'intera responsabilità della corruzione esistente, come se prima non si fosse mai rubato. È il sistema che è corrotto, non un singolo partito. 

Nell'ultimo periodo Dilma ha adottato, finalmente, misure di segno progressista, come l'espropriazione di terre per la riforma agraria e la demarcazione di aree indigene. È forse il riconoscimento, benché giunto troppo tardi, di essersi alleata con la parte sbagliata?

K. B.: Immagino che si stia assumendo l'impegno di fare quello che avrebbe dovuto fare prima. In qualche modo si sta rivolgendo alle forze a fianco delle quali avrebbe sempre dovuto trovarsi. Perché alcune cose non si negoziano. Ci sono questioni negoziabili, ma ci sono anche questioni di principio – quelle che hanno a che fare con il nostro progetto di Paese - su cui non si può transigere. E invece Dilma l'ha fatto, principalmente con l'agrobusiness. Malgrado ciò, Dilma non ha mai perso l'appoggio dei movimenti, soprattutto durante la campagna per il secondo turno. Il fatto è che tutto è stato molto rapido: già all'indomani delle elezioni, sono iniziate le manovre per rompere la legalità istituzionale da parte di chi era stato sconfitto alle urne. 

Come immaginate il futuro della sinistra? Sarà possibile costruire un fronte comune che vada oltre quelle che oggi appaiono le macerie del Pt, magari partendo dalle coalizioni di movimenti già esistenti, come il Fronte Povo Sem Medo e il Fronte Brasile Popolare?

K. B.: Non credo che la sinistra sarà rilanciata dai partiti. Non vedo altra alternativa che quella di una ricostruzione a partire dai movimenti. Non è che i partiti non siano importanti. Ma non saranno loro i protagonisti di questa sfida, anche a causa della perdita di credibilità provocata dalla questione della corruzione, che è un problema serio in Brasile come in altri Paesi, Italia compresa. Un problema che va affrontato seriamente, ma che nessun processo a rappresentanti di partito o dirigenti di impresa potrà mai risolvere (e non parlo di impeachment, che non ha nulla a che fare con la corruzione). Perché così si potrà punire la singola persona, ma strutturalmente tutto continuerà come prima.  

L. S.: Credo che quello che ci attende, in caso di destituzione di Dilma, sarà così sconfortante da richiedere urgentemente una reazione. I diritti dei lavoratori saranno seriamente compromessi. 

Il rappresentante del Mst Alexandre Conceição ha annunciato che i movimenti sono già pronti a paralizzare il Paese. Sono previste grandi proteste?

K. B.: Se quello che temiamo accadrà – io non posso ancora rassegnarmi a questa idea, perché è inaccettabile – sarà inevitabile la reazione di chi ha votato Dilma con una ben determinata finalità. Non sappiamo cosa avverrà, ma già esiste un'indignazione generale che, è inevitabile, si tradurrà in azione. 

In caso di destituzione, sarebbero allora preferibili elezioni anticipate?

L. S.: Se questo sequestro venisse consumato, penso che bisognerebbe lottare per ottenere elezioni anticipate. Sarebbe impossibile andare avanti con un governo senza legittimità in un Paese con la storia che ha avuto il Brasile. Un governo dai tratti dittatoriali che opererà una fortissima repressione. 

La cosiddetta bancada BBB (boi, bala, bíblia, cioè la lobby ruralista, quella dell’industria delle armi e quella degli evangelici fondamentalisti) avrebbe in questo modo la strada completamente spianata...

K. B.: È già così. La linea conservatrice si sta già imponendo in tutte le aree, dai diritti civili a quelli sociali per finire con quelli economici, dalla questione dell'imputabilità del minore alla revisione delle demarcazioni delle aree indigene fino all'impiego dell'esercito contro i senza terra. Si sta già facendo terra bruciata. A livello legislativo si stanno già succedendo vari progetti di legge che vogliono spazzare via tutti questi diritti. 

L. S.: Non ci rimane che sperare che la gravità delle misure che adotterà un eventuale governo Temer possa unire tutte le forze popolari, pur nel rispetto delle differenze.

* Nella foto Kenarik Boujikian e Letícia Sabatella, dopo l'incontro con il papa

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