
Agli amici di Adista. Una risposta sul referendum
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 42 del 03/12/2016
Cari amici di Adista, ricevo proprio oggi il n. 40 della nostra/vostra rivista con l’articolo “Scarta la Carta? No!”, firmato dalla redazione, con un’esplicita dichiarazione per il No al referendum. Nel nome della nostra amicizia mi preme esprimervi il mio dissenso. Affettuoso ma altrettanto sincero.
La riforma che voteremo (...) è (era?) per me una buona riforma. Parto dai punti citati alla fine del vostro redazionale, dopo una premessa di carattere politico/internazionale che condivido, almeno in parte. Primo: il Parlamento, secondo voi, con la Renzi-Boschi sarebbe composto da nominati e non votati, in particolare il Senato; ma ditemi: da chi vengono eletti i consiglieri regionali, all’interno dei quali vengono scelti coloro che avranno le funzioni spettanti al Senato? Vengono eletti dai cittadini, e sarebbero nominati? Secondo: il Presidente della Repubblica dovrà essere scelto da una maggioranza anche più ampia di quella prevista dalla Costituzione vigente: al settimo scrutinio dai tre/quinti dei votanti (non degli aventi diritto) che sono, però, potenzialmente di più della maggioranza assoluta prevista dalla Costituzione attuale; perché, come fanno alcuni, si deve presumere che degli aventi diritto (730 deputati e senatori), si assenteranno in massa? E se lo facessero non sarebbe perché condividono la scelta della maggioranza e non per un raffreddore o per “impegni precedentemente presi”? Sarà perciò difficile, se l’opposizione partecipa sempre, che la maggioranza ristretta si faccia il “suo” Presidente della Repubblica. Terzo: dove si aumentano i poteri del premier grazie ai quali si sarebbe tracciata la linea dell’“uomo solo al comando?” Non vedo alcun punto specifico.
Sorvolo sui due pilastri della riforma: la velocizzazione del procedimento legislativo affidato prevalentemente alla Camera dei Deputati; secondo i dati dell’ufficio legislativo della Camera ci sono voluti nell’ultima legislatura di media 563 giorni per approvare una legge ordinaria, senza miglioramento della qualità normativa visto il vizio di inserire di tutto nei dispositivi e visti gli interventi delle lobby per i propri interessi nelle more della famosa navetta tra le due Camere; secondo: la redistribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, con un riequilibrio a favore del primo per garantire una più omogenea qualità di servizi e prestazioni al cittadino che la riforma del titolo V del 2001 aveva invece contribuito a derogare, favorendo sperequazioni da un territorio all’altro (Sanità docet).
Entro invece in alcuni dettagli importanti. È una riforma che introduce ben tre nuovi istituti di democrazia diretta (popolare, no?): i referendum propositivi e d’indirizzo (art. 71 comma 4); referendum abrogativo con un quorum più basso per la sua validità se proposto da 800mila firme (art. 75 comma 4); rafforza le proposte di legge di iniziativa popolare se proposte da 150mila firme obbligando il Parlamento a discuterle nei tempi e nei modi stabiliti dai regolamenti (art. 71); introduce il principio di equilibrio di genere nella rappresentanza parlamentare (art. 55 secondo comma); introduce i principi di valutazione dell’impatto delle leggi e della trasparenza nell’azione della pubblica amministrazione e dei suoi pubblici ufficiali (artt. 97 e 118); introduce un dettaglio che per i pacifisti dovrebbe essere importante, ma che speriamo di non dover mai veder applicato: la Camera delibera a maggioranza assoluta, non semplice, lo stato di guerra.
Davvero è (era?) una riforma “autoritaria e non democratica”? Meritava tanta feroce opposizione? Non c’è stato piuttosto una sorta di terrorismo psicologico che ha avvelenato il clima e la possibilità di un dialogo costruttivo? Si può pensare che, come se nulla fosse stato, ora ci si può rimettere a tavolino e fare con pacatezza le riforme che servono? Con chi poi? Con quelli che considerano il Parlamento da scardinare come una scatoletta di tonno, o con quelli che con il tricolore volevano fare, fino a pochi anni fa, un servizio non decoroso?
Constato che le nostre democrazie occidentali sono sotto tiro per non aver saputo dare negli ultimi anni sufficienti risposte ai problemi, per debolezza, non per autoritarismo, per incapacità di resistere ai poteri (economico, finanziario, mediatico). Rafforzare le istituzioni (non questo o quel partito), potrebbe essere la risposta giusta per evitare populismi che dalla loro debolezza traggono linfa vitale.
Questa riforma tentava un timido approccio verso questa soluzione: ora che ne sarà del futuro della politica? Dovremmo fare molta fatica adesso per tentare di recuperare un dialogo proficuo tra di diversi riformismi della sinistra e chi tenta soluzioni alternative totali (massimalisti?), che dal No facile (e deresponsabilizzante) dovrebbero, prima o poi, passare ad alcuni Sì, necessariamente concordati e concilianti. Grazie ai quali non ci si senta tutti un po’ sconfitti, ma vincitori anche se in parte, per aver trovato risposte positive nel nome degli interessi collettivi e soprattutto degli esclusi.
Con immutata stima.
Vittorio Sammarco è della Rete C3dem – Costituzione Concilio Cittadinanza (www.c3dem.it)
* Foto di Massimiliano Mariani. Immagine originale e licenza.
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!