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Che succede  a Mosul? I preti di Pax Christi sulla “guerra dimenticata” in Iraq

Che succede a Mosul? I preti di Pax Christi sulla “guerra dimenticata” in Iraq

Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 15/07/2017

39023 ROMA-ADISTA. Il grido di dolore di Mosul, l’antica Ninive, «la città percorsa dal profeta Giona “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”». Lo rilanciano in una lettera aperte don Renato Sacco (parroco della Diocesi di Novara e coordinatore nazionale di Pax Christi) e don Fabio Corazzina (parroco della Diocesi di Brescia, anni fa anche lui coordinatore nazionale di Pax Christi) che a Mosul e in Iraq sono stati decine di volte. «Prima, durante e dopo la guerra di liberazione dalla dittatura. Siamo stati accolti in molte case, abbiamo condiviso la mensa e la Messa, nella parrocchia del Perpetuo Soccorso, con il parroco Louis Sako, ora Patriarca Caldeo a Baghdad. Abbiamo incontrato lì a Mosul, in mezzo alla sua gente, il vescovo Faraj Rahho, poi rapito e ucciso il 13 marzo 2008. Ci siamo stati anche nel giugno 2003, quando Bush aveva detto che ormai la guerra era finita. Ci siamo ritornati nel novembre dello stesso anno per l’ordinazione episcopale dell’amico Louis Sako. Erano i giorni della strage di Nassiriya. Dopo quegli anni Mosul, come tutto l’Iraq non interessò molto all’Occidente, se non per i propri interessi economici e militari».

Quindi, scrivono, «Mosul è una città che abbiamo nel cuore». «Non riusciamo a pensare al dolore, alla tragedia che hanno vissuto gli abitanti di quella città durante la dittatura di Saddam e la seguente “liberazione” o esportazione della democrazia, poi sotto la folle oppressione dell’Isis e ora mentre è in corso una nuova guerra per liberare la città. Cosa sta succedendo a tutte quelle persone, al di là delle notizie abbastanza trionfalistiche tipiche dei bollettini di guerra?». Difficile saperlo con precisione, perché «l’Iraq è uscito dall’attenzione dei media internazionali. I riflettori, anche della politica e dell’opinione pubblica, erano puntati da altre parti. Eppure la realtà era tutt’altro che tranquilla, per niente in pace. Nei primi mesi del 2014 in Iraq venivano uccise circa mille persone al mese. Poi è arrivato l’Isis! Agli inizi del mese di giugno 2014 la grande città di Mosul viene occupata, e ai primi di agosto 2014, la grande fuga di centomila persone dai villaggi della Piana di Ninive».

E oggi? «In questi giorni – scrivono, avanzando dubbi, Sacco e Corazzina – pare che la città di Mosul venga riconquistata dall’esercito iracheno, cacciando definitivamente l’Isis. Noi vediamo solo immagini di distruzione, dolore, paura e disperazione. Ma tornerà presto, inesorabilmente, di nuovo il silenzio sulle persone sulle loro storie, imposto dai fasti della vittoria».

Quindi, si chiedono i due preti: «Come è stato possibile che Mosul cadesse così velocemente nelle mani dell’Isis? L’Isis non è nato dalla sera alla mattina, come la pianta di ricino per far ombra al profeta Giona. Chi lo ha sostenuto? Perché i grandi mezzi di informazione parlando di Mosul non denunciano anche le grandi collusioni dell’Occidente con l’Isis? Ancora oggi sappiamo che l’Arabia Saudita sostiene economicamente, ideologicamente e militarmente l’Isis: perchè l’Italia continua a vendere armi all’Arabia Saudita? Come le bombe della Rwm di Domusnovas in Sardegna (v. Adista notizie nn. 40 e 43/15; 6, 7, 9, 31 e 36/16; 14 e 19/17). Siamo davvero convinti di voler combattere l’Isis? E perchè non è stato fatto prima? Quali gli interessi occidentali e anche Italiani ancora sul tavolo? Con la “Operazione Praesidium” l’Italia presidia la diga di Mosul: perchè? Come ha vissuto questi anni di occupazione Isis? Come ha tutelato le persone civili? Sull’operazione il silenzio è totale. Davvero ci interessa il bene comune, la vita degli Iracheni e in particolare delle minoranze?». Se non cambiamo strada ci saranno altre Mosul, altri Isis, altri silenzi e nuovi eccidi di civili nella logica folle della guerra». 

* Foto di Mstyslav Chernov tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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