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Bombe ai sauditi: riviste missionarie incalzano la Banca Valsabbina. Che glissa

Bombe ai sauditi: riviste missionarie incalzano la Banca Valsabbina. Che glissa

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 02/12/2017

39157 ROMA-ADISTA. Dopo due anni di bombardamenti perpetrati dalla coalizione a guida saudita contro la popolazione dello Yemen, grazie anche alla fornitura senza sosta di bombe prodotte negli stabilimenti sardi dalla multinazionale bellica Rheinmetall Waffe Munition (RWM), il 12 luglio scorso i direttori delle tre riviste cofondatrici della Campagna di pressione alle “banche armate” – il saveriano p. Mario Menin (Missione Oggi), i comboniani p. Efrem Tresoldi (Nigrizia) e p. Alex Zanotelli (Mosaico di pace) – avevano deciso di inviare una lettera aperta al presidente Renato Barbieri, al direttore generale Tonino Fornari, al vicedirettore generale Marco Bonetti e a tutto il CdA della Banca Valsabbina di Brescia. I tre ponevano alcune questioni sulla «responsabilità sociale d’impresa di Banca Valsabbina relativamente ai finanziamenti alla produzione di sistemi militari ed ai servizi che la Banca concede alle aziende del settore per esportare materiali d’armamento, con particolare riferimento alle operazioni bancarie svolte da Banca Valsabbina per conto dell’azienda RWM Italia Spa». La risposta è arrivata solo ora, ma per i tre missionari è «insufficiente» e «inaccettabile».

Nel 2006 l'istituto bancario aveva fatto il suo debutto nella Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, che la Presidenza del Consiglio dei Ministri invia annualmente al Parlamento e che segnala l'ammontare in euro delle operazioni per le esportazioni di materiale bellico, come incassi e pagamenti. Allora sembrava poca cosa (“solo” 1.782.000 euro di materiali esplosivi), ma le manovre del 2006 non rappresentavano che la fase embrionale di un rapporto sempre più stretto e fruttuoso con la filiale italiana della multinazionale tedesca. Gli esplosivi esportati erano prodotti, infatti, dalla Società Esplosivi Industriali (SEI), Spa italiana assorbita nel 2011 dalla RWM Italia. Precisamente 10 anni dopo, quando la guerra in Yemen è nel suo pieno svolgimento, i dati della Relazione raccontano il “botto” delle operazioni di Banca Valsabbina, con 262.020.210,90 euro per “Importi segnalati” e di 107.125.423,51 euro per “Importi accessori segnalati”. Concludevano i missionari, dunque, che «Banca Valsabbina ha assunto una serie di operazioni, effettuate negli anni scorsi prima dalla SEI Spa e più recentemente da parte di RWM Italia Spa, diventando così uno degli istituti di credito di riferimento della RWM Italia Spa».

E intanto, dal 2015, sullo Yemen piovono bombe “made in Sardegna”, che non risparmiano nemmeno ospedali e scuole. «Tali bombardamenti sono espressamente vietati dalle convenzioni internazionali», denunciavano i firmatari, e pertanto, come riconosce anche il rapporto del Gruppo degli Esperti Onu dello scorso gennaio, «possono costituire crimini di guerra». Ma la tirata d'orecchi delle Nazioni Unite sembra essere caduta nel vuoto, insieme alle tre mozioni del Parlamento Europeo che invocano più rigore nell'applicazione della Posizione comune del Consiglio sulle esportazione di sistemi militari, fino ad auspicare un embargo sulla vendita di armi all'Arabia Saudita: «Le autorità italiane hanno continuato ad autorizzare l’esportazione di materiali – anche della RWM, spiegavano ancora i firmatari – e sistemi bellici alle forze armate della coalizione a guida saudita».

E che dire delle responsabilità sociale d'impresa dell'istituto bresciano? Dal 2000 in poi, grazie alla Campagna di pressione sulle “banche armate”, della quale le tre riviste erano promotrici, molti istituti hanno dato un taglio ai servizi relativi all'export di armi. Banca Valsabbina, invece, denunciava ancora la lettera, «si contraddistingue per essere uno dei pochi istituti di credito italiani a non aver emanato direttive» in questo senso: «Un fatto particolarmente grave, sia in considerazione dell’accresciuta operatività di Banca Valsabbina nel settore, sia, soprattutto, per la tipologia della Banca che, secondo lo Statuto, intende svolgere la propria attività «ispirandosi ai principi del Credito Popolare».

La missiva di luglio chiedeva alla banca più trasparenza nelle operazioni di export, un “Codice di responsabilità sociale”, la sospensione delle operazioni riguardanti materiale bellico destinato a Paesi in conflitto o irrispettosi dei diritti umani. E “minacciava” infine: «Inviteremo i correntisti di Banca Valsabbina, a fronte di una mancata risposta, a valutare la possibilità di porre termine ai rapporti con la Banca».

La risposta del top management di Banca Valsabbina, alla fine, è arrivata – si legge in un comunicato della Campagna Banche Armate del 17 novembre (sul cui sito si può ripercorrere ogni tappa del botta e risposta, www.banchearmate.it) – ma per i tre missionari è «insufficiente» e «inaccettabile, perché non presenta alcuna assunzione di responsabilità etica e sociale oltre a quanto già definito dalla legislazione vigente in Italia». La Policy resa nota dalla banca (non quindi un vero “Codice di responsabilità sociale” come richiesto nella lettera di luglio) afferma che l'istituto non supporta operazioni relative «ad alcuni tipi di armamenti già vietati dalle leggi nazionali», come le bombe atomiche, gli agenti chimici o radioattivi e generiche «armi controverse», ma si ritiene libero per quello che riguarda il commercio di armi comuni, nei limiti della legislazione italiana.

Inoltre, si legge ancora sul comunicato della Campagna, «i direttori delle tre riviste avevano chiesto a Banca Valsabbina di rendere note tutte le operazioni che la banca ha svolto dal 2006 nel settore delle esportazioni di armamenti: Banca Valsabbina non solo non ha risposto nel merito, ma la sua Policy etica non esplicita alcun impegno riguardo alla trasparenza e alla rendicontazione pubblica in questo settore». Infine, «non vi è stata alcuna risposta da parte della Banca» neanche in merito alla richiesta di sospensione delle operazioni e dei servizi relativamente alla produzione e all'esportazione dei materiali militari verso Paesi in guerra.

Ancora una volta l'istituto non chiarisce ai suoi correntisti e all'opinione pubblica in generale se intende continuare a offrire servizi anche quando la multinazionale invia bombe all'Arabia Saudita e ai suoi complici nella guerra senza mandato internazionale contro lo Yemen. «La Campagna di pressione alle banche armate rinnova pertanto le proprie richieste a Banca Valsabbina e si rende disponibile per eventuali chiarimenti. Invita, infine, tutti i correntisti, ed in particolare le associazioni del volontariato e della cooperazione internazionale, a fronte di una mancata risposta, a valutare la possibilità di porre termine ai rapporti con la Banca».

Foto di egorshitikov, tratta da Pixabay, immagine originale e licenza

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