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Più di una preoccupazione in margine al Congresso di Verona

Più di una preoccupazione in margine al Congresso di Verona

Il “Congresso delle famiglie” è diventato oggetto di polemiche sul piano politico e su quello ecclesiale (con cui non c’entra direttamente). La vicenda vede intrecciarsi esigenze, preoccupazioni e finalità molteplici, rispetto alle quali l’opinione pubblica difficilmente riesce ad operare un’adeguata distinzione e a cogliere la portata di ciò che è realmente in gioco.

Due sono i piani attraversati dal Congresso delle famiglie. Vi è certamente, con evidenza, un piano politico.

È quello che vede il coinvolgimento della maggioranza di governo, divisa sul riconoscimento da attribuire a questa iniziativa e sulla volontà di incidere sulle leggi italiane ed europee in materia di famiglia e di diritti civili e politici. La polemica fra Lega e Cinque Stelle appare accentuata dal tentativo, da parte di questi ultimi, di tracciare un distinguo nei confronti dell’alleato di governo, offrendo l’immagine di un movimento che si fa garante dei “diritti civili” rispetto al “medioevo” leghista. Si tratta di un’operazione che non esprime un reale spessore culturale, quanto piuttosto la ricerca di definire una qualche identità di un soggetto politico che l’esperienza di governo sta logorando rapidamente, a vantaggio proprio del partito di Salvini.

Eppure, sarebbe superficiale pensare che il valore politico del Congresso di Verona si riduca a questo. Nella città scaligera va in scena la rappresentazione di una realtà culturale e politica forse minoritaria, ma certamente organizzata, figlia del “Family Day” e capace di avere referenti politici, come i ministri Bussetti e Fontana e il presidente del Friuli Fedriga. Dentro una società italiana attraversata da fratture profondissime e frantumata nel suo tessuto associativo e politico, Verona segna l’emergere di una base capace di solidificarsi attorno ad un programma tanto radicale quanto netto e chiaro nei suoi propositi e proprio per questo capace di diventare un centro di gravità non solo culturale ma elettorale. Di fronte a questo la reazione delle forze di opposizione, soprattutto il Partito Democratico, è sembrata rispondere a una sorta di riflesso condizionato, che, in più di un caso, ha rispolverato argomentazioni, peraltro datate, segnate da chiusura ideologica speculare rispetto a quella dei promotori del convegno ma come questa incapace di cogliere le reali esigenze che vengono dalle persone. Occorre riconoscere che iniziative come quella di Verona sono possibili e raccolgono questa risonanza, non solo perché giocano su contenuti netti e semplificati, bensì anche perché, negli anni, la famiglia come soggetto sociale e fiscale è stata trascurata dai governi di centrosinistra e, se guardiamo i risultati, anche da quelli di centrodestra. Più  delle mobilitazioni, che rischiano di alimentare sterili polemiche e di scadere nell’ ideologico, una opposizione matura ha il dovere politico e culturale di entrare nel merito delle problematiche che ruotano attorno alla famiglia, con lo sguardo aperto al presente e senza nostalgie di un passato non più recuperabile, per avanzare proposte concrete e realizzabili, che sono l’unico mezzo di contrasto delle scorciatoie demagogiche di chi, come gli attuali partiti di governo, cavalca la questione sensibile della famiglia al solo scopo di guadagnare posizioni e voti.

Accanto al piano politico vi è poi quello ecclesiale, dove i timori e le prudenze della gerarchia sono lo specchio di una lacerazione profonda che attraversa la Chiesa italiana, le cui radici vanno cercate nei decenni in cui la linea pastorale poneva tra le priorità la difesa dei valori non negoziabili mentre si andava scolorendo la formazione cristiana di base.   Scorrendo la lista dei propositi del Congresso si riconoscono, in forma più che semplificata, concetti e idee che appartenevano a quella stagione e ad un progetto culturale che intendeva sopperire al supposto deficit etico della democrazia con un nocciolo di valori “naturali” che la Chiesa intendeva proporre e custodire.

Il DDL Pillon, le prese di posizione dei ministri Bussetti e Fontana, l’evento veronese, sono i frutti aspri, persino velenosi,  di una semina che, se aveva alla sua radice una visione lucida della fragilità del quadro politico italiano, non  è stata però in grado di fornire alla Chiesa italiana gli strumenti teologici per un’effettiva intelligenza della fede, in tempi in cui sono ancora presenti e vivono  le loro ultime stagioni,  strutture e prassi che per decenni avevano alimentato la vita del cattolicesimo italiano. D’altra parte gli estensori dei punti programmatici di Verona sono in evidente contraddizione: da un lato chiedono di abolire le norme che rendono legali unioni omosessuali in virtù di un “ordine naturale”; al tempo stesso, chiedono l’abolizione di ogni legge che promuova l’eguaglianza, che del diritto naturale è corollario imprescindibile.  Da ciò traspare tutta la fragilità culturale di quella parte di cattolicesimo che può arrivare a dare, di questi concetti, declinazioni distorte e pericolose

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