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Breve storia della normativa italiana sulle migrazioni

Breve storia della normativa italiana sulle migrazioni

Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 15/06/2019

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La condizione giuridica dello straniero, nel dopoguerra, era rimasta regolata, salvo poche eccezioni, dalle norme del Testo Unico di pubblica sicurezza del 1931. L'immigrazione cominciò a prevalere sull'emigrazione all'inizio degli anni '80, e due leggi intervennero, nella seconda metà di quel decennio, a regolarne alcuni aspetti.

La Legge 943/1986 disciplinò l'ingresso per lavoro subordinato e il ricongiungimento familiare; la Legge Martelli stabilì norme relative al riconoscimento dello status di rifugiato (allargando la platea di potenziali beneficiari ai cittadini di Paesi extra-europei), contemplò la possibilità di soggiornare in Italia anche per studio e per lavoro autonomo, introdusse la nozione di programmazione dei flussi (con la possibile definizione annuale di contingenti di lavoratori stranieri ammessi al mercato del lavoro italiano) e regolò in modo estremamente garantista la procedura di espulsione.

Nel 1992 fu anche varata la riforma della normativa in materia di acquisizione della cittadinanza, che rimase però incentrata sullo ius sanguinis, come è tipico dei Paesi di emigrazione. Durante il primo governo Prodi, nel 1998, fu approvata la Legge Turco-Napolitano. Per un verso, la procedura di espulsione fu resa molto più rigida ed efficace, con la previsione del trattenimento in centri di detenzione (chiamati, con molta ipocrisia, Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza). Per altro verso, furono regolati in modo accurato, e in genere positivo, l'accesso all'assistenza sanitaria (gratuito e anonimo per gli stranieri in condizione di soggiorno illegale), il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno (con l'introduzione di un permesso a tempo indeterminato: la carta di soggiorno), l'accesso al mercato del lavoro (anche per lavoro stagionale) e allo svolgimento delle professioni regolamentate, il godimento delle misure assistenziali, il diritto allo studio per i minori, l'accesso allo studio universitario, il contrasto della discriminazione. Fu confermato il principale meccanismo di ingresso per lavoro subordinato, sottoposto a due condizioni basilari: l'esistenza di una richiesta di assunzione presentata, per il lavoratore residente all'estero, da un datore di lavoro residente in Italia (un'assunzione, quindi, "a distanza") e il fatto che la richiesta rientri nei limiti numerici definiti dal governo con la programmazione annuale.

Accanto a questo meccanismo ne furono però introdotti altri due: la sponsorizzazione e l'autosponsorizzazione; entrambi prevedevano la possibilità di ingresso di lavoratori in cerca di occupazione, con mezzi di sostentamento garantiti, per la fase di ricerca, da un privato ("sponsor") o dal lavoratore stesso. In entrambi i casi, l'ingresso poteva avvenire solo all'interno di un apposito limite numerico fissato dal governo; nel caso dell'autosponsorizzazione era richiesta anche la previa iscrizione del lavoratore in una lista tenuta dalla rappresentanza diplomatico-consolare italiana. I governi di centrosinistra di allora amavano poco la prospettiva di consentire l'ingresso di lavoratori stranieri disoccupati, e ammisero contingenti omeopatici di lavoratori sponsorizzati; l'autosponsorizzazione poté poi essere utilizzata solo da lavoratori provenienti da Albania, Tunisia e Marocco: gli unici Paesi per i quali le liste fossero state predisposte.

A dispetto di quanto consentito dalla legge, si continuò a fingere che l'incontro tra domanda e offerta di lavoro potesse avvenire da lontano; col risultato di rendere indispensabile, per il lavoratore straniero, un periodo di soggiorno illegale in cerca di lavoro, dal quale uscire a seguito di una richiesta di assunzione camuffata da assunzione a distanza o di una delle tante sanatorie di quegli anni.

La legge di bilancio per il 2001, poi, sotto il governo Amato, tentò di ridurre drasticamente i diritti degli stranieri in materia assistenziale, limitando l'accesso alle prestazioni di invalidità ai soli titolari di carta di soggiorno (limitazione che verrà, negli anni successivi, smantellata da numerose sentenze della Corte Costituzionale).

Una riforma in senso restrittivo (spesso impropriamente enfatizzato) fu varata con la Legge Bossi-Fini, nel 2002, durante il governo Berlusconi. Le modifiche apportate alla normativa vigente furono più di carattere quantitativo che qualitativo: fu ampliato il novero dei casi che portavano all'espulsione con accompagnamento coattivo, fu prolungata la durata massima della detenzione nei centri per espellendi, fu dimezzato il periodo di disoccupazione tollerata per lo straniero che avesse perso il lavoro. Sul piano qualitativo, furono cancellate le disposizioni relative a sponsorizzazione e autosponsorizzazione (quasi per nulla utilizzate, però – come si è detto – dai governi di centrosinistra). Fu, all'opposto, affrontato in termini positivi il pro- blema dei minori stranieri non accompagnati, consentendo loro la stabilizzazione del soggiorno al compimento della maggiore età. Furono recepite, poi, nell'ordinamento italiano, tre direttive dell'Unione europea, con altrettanti decreti legislativi, in tema di protezione temporanea di profughi, accoglienza dei richiedenti asilo e divieto di discriminazione. Di solito (e fu questo il caso) il recepimento di direttive UE in materia di immigrazione o asilo conduce a un rafforzamento dei diritti degli stranieri, anche a dispetto dell'orientamento politico del governo chiamato ad effettuarlo.

Gli anni del secondo governo Prodi (2006-2008) furono caratterizzati ancora dal recepimento di diverse importanti direttive UE (su diritti dello straniero soggiornante di lungo periodo, ricongiungimento familiare, diritto alla protezione internazionale e relative procedure di riconoscimento, libera circolazione di cittadini dell'Unione Europea). Si tentò anche di procedere ad una vasta e positiva riforma dell'intera normativa in materia di immigrazione, ma il disegno di legge (voluto dai ministri Amato e Ferrero) morì prematuramente, come la Legislatura. Il ritorno al governo di Berlusconi (con Maroni al Viminale), vide il varo in tempi brevissimi del cosiddetto "Pacchetto Sicurezza". Accanto a un inasprimento delle sanzioni per chi avesse favorito o sfruttato l'immigrazione illegale, furono approvate diverse misure "bandiera": l'introduzione di un reato contravvenzionale di soggiorno illegale, il divieto di matrimonio in Italia per lo straniero irregolarmente soggiornante, la previsione di una circostanza aggravante di soggiorno illegale, l'innalzamento del limite massimo per la durata della detenzione degli espellendi, l'obbligo di sottoscrivere un accordo di integrazione all'atto del rilascio del primo permesso di soggiorno e la possibilità di istituire ronde di volontari per la segnalazione delle situazioni di disagio sociale. Alcune di queste misure (divieto di matrimonio, soggiorno illegale quale aggravante e ronde) furono poi dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale. Altre misure incisero negativamente sul processo di integrazione della popolazione straniera: previsione di una tassa di non meno di 80 euro sul rinnovo di ogni permesso di soggiorno e di 200€ per le istanze di acquisizione della cittadinanza, inasprimento dei requisiti per l'ottenimento della carta di soggiorno, per il ricongiungimento familiare e per l'acquisto della cittadinanza. A fronte di questo approccio di tipo punitivo nei confronti dello straniero, qualche miglioramento fu introdotto in relazione alla condizione degli stranieri che frequentino in Italia master o dottorati. Miglioramenti ancora più sensibili furono introdotti, sotto certi aspetti, nel 2011, in materia di espulsione, in attuazione della direttiva UE sulla disciplina del rimpatrio. In particolare, fu prevista la possibilità di revoca del divieto di reingresso per lo straniero espulso che ottemperi all'ordine di lasciare l'Italia volontariamente entro un certo termine. All'opposto, fu ridotta la protezione rispetto all'espulsione dei familiari stranieri di cittadino italiano.

I governi successivi vararono decreti legislativi di attuazione di ulteriori direttive europee, in materia di soggiorno di lavoratori altamente qualificati e di contrasto al lavoro nero (Monti), protezione delle vittime di tratta e lavoro stagionale (Renzi), oltre ad altre modifiche di minor rilievo. Né Renzi né Gentiloni ebbero, invece, la determinazione necessaria per far approvare in via definitiva un'ottima riforma delle norme in materia di cittadinanza, che avrebbe permesso ai ragazzi stranieri di acquisirla al termine di un ciclo scolastico. Il forte incremento degli sbarchi di profughi sulle coste italiane, anche favorito dalla generosa operazione Mare Nostrum (Letta), e il deciso incremento dei controlli dell'Unione Europea sul rispetto delle disposizioni che impongono allo Stato membro di arrivo di registrare i profughi (per non eludere le norme del Regolamento di Dublino) hanno determinato gli interventi legislativi degli ultimi anni (Gentiloni e Conte). Pur differenziandosi per stile e linguaggio, i rispettivi artefici della politica migratoria – Minniti e Salvini – hanno perseguito lo stesso obiettivo (già delineato, per altro nel Migration compact di Renzi): limitare al massimo gli arrivi di potenziali richiedenti asilo (i cui diritti, una volta in Italia, sarebbero garantiti dalla normativa europea) delegando il compito di aggravare gli ostacoli che deserto e mare già pongono ad autorità libiche di incerta civiltà giuridica. Quanto a quelli che riescono, comunque, ad imbarcarsi e ad avvicinarsi alle coste italiane, i due gemelli del Viminale hanno pensato a misure di diversa asprezza: Minniti si è limitato ad esigere, dalle ONG impegnate nei soccorsi in mare, la sottoscrizione di un Codice di Condotta, finalizzato, di fatto, a ostacolare l'attività di ricerca e soccorso di profughi in mare; Salvini ha preteso (arrogandosi competenze di altri ministri) la completa chiusura dei porti italiani. Per chi poi in Italia sbarchi comunque, il decreto Minniti ha limitato fortemente i diritti del richiedente asilo che ricorra contro il diniego della protezione; il decreto sicurezza (Salvini) ha smantellato il sistema di accoglienza diffusa per richiedenti asilo (lo SPRAR) e ha cancellato le disposizioni che prevedevano la possibilità di riconoscere, oltre alla protezione internazionale, anche la cosiddetta “protezione umanitaria” in tutti i casi in cui questo fosse giustificato dalla necessità di tutelare un diritto garantito dalla Costituzione italiana (e, quindi, di dare attuazione all'articolo 10 della Costituzione).

Cosa sopravviverà delle riforme salviniane dipenderà molto dai giudici e dalla Corte Costituzionale. Perché le politiche di Minniti e Salvini diventino un orribile ricordo sarà invece necessario che l'elettorato italiano recuperi ragione e memoria. 

Fisico, esperto di politiche dell'immigrazione, Sergio Briguglio cura il blog “Immigrazione, asilo, cittadinanza” (briguglio.blogspot.com) che raccoglie documentazione in materia di immigrazione e asilo in Italia dal 1992.  

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