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Umani di serie A e umani di serie B.

Umani di serie A e umani di serie B. "Nigrizia": giù la maschera sul "decreto (in)sicurezza bis"!

“Decreto (in)sicurezza bis. Gettiamo tutti la maschera”: così titola l’editoriale di luglio-agosto della rivista comboniana Nigrizia, una sorta di lettera aperta per lettori e non lettori. Scriviamo anche a te, dicono i missionari, «che non leggi, a prescindere. Che non vuoi ascoltare», «non per convincerti, ma per lasciarci scuotere dentro».

Nel mondo occidentale, ricordano i comboniani, si sono fatte lunghe e faticose battaglie per i diritti umani, diritti certo «nostri e non degli altri». L’invito – amaro – è alla «franchezza», all’onestà intellettuale, a gettare la maschera, a una sorta di “operazione verità” antropologica: «Qualcuno sulla terra è più importante di altri. Al mondo ci sono cittadini di serie diverse».

Diversi sono anche i migranti che riescono ad arrivare in Italia dopo la traversate del mare: chi arriva da solo «lo ha fatto senza le luci dei riflettori», mentre chi arriva perché messo in salvo da una ong «è più visibile, più mediatico, più strumentale alla retorica dei porti chiusi».

Su questo tema «il decreto (in)sicurezza bis, firmato dal presidente della Repubblica il 15 giugno scorso, parla chiaro: inasprire le pene alle navi che approdano con migranti e mettere tutto sotto il controllo del Viminale». Una norma che parla della “sicurezza”, ma di chi sta a terra, non di chi fugge da guerre e persecuzioni, di chi rischia la vita in mare, di chi è costretto a subire la gogna mediatica e gli insulti nella terra d’approdo. La “sicurezza”, sembra denuncia il periodico missionario, è un concetto pensato per chi sta nel fortino, e non per chi cerca di mettersi in salvo.

«Ma se ci pensiamo un attimo – aggiunge Nigrizia – non viene prima la sicurezza di chi è minacciato nella vita? Perché non diciamo forte e chiaro che questo decreto è contro la Costituzione e contro il vangelo? Contro sicuramente l’umano che ancora, speriamo, abbiamo in noi».

Oggi, sottolineano i comboniani, «siamo chiamati a schierarci tutti. Da umani prima che da cristiani. Per riconoscere fratello, sorella chi è nel ventre di una madre in attesa, ma anche chi ne è uscito, è debole ed è minacciato nell’esistenza. Grande o piccolo che sia. Battaglie sul tema dell’aborto ne facciamo tante. In nome della vita. E cosa facciamo per chi, questa vita, ce l’ha in balia delle onde? L’umanità naviga in acque molto agitate. Questo sistema non funziona più. Ripartiamo dall’umano che è rimasto in noi. Che sa cogliere nell’altro noi stessi. Se affoga, anche noi andiamo a fondo».

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