
Israele: edifici della Chiesa greco-ortodossa assegnati a gruppo estremista grazie a frodi e a corruzione
GERSUALEMME-ADISTA. «Ateret Cohanim starebbe cercando di “minare alla base” la presenza cristiana in Terra Santa, impadronendosi di beni e proprietà. Dietro lo scontro, l’assegnazione al gruppo radicale di tre edifici nella città vecchia di proprietà del patriarcato. Che rivela prove di brogli e annuncia una nuova azione in tribunale». Così sintetizza AsiaNews (6/8/19) il grave conflitto giuridico che sta coinvolgendo in particolare la Chiesa greco-ortodossa a Gerusalemme, come risulta da una nota emessa dal Patriarcato greco-ortodosso.
Il «gruppo estremista» ebraico Ateret Cohanim, riferisce la nota, sta cercando di «minare alla base» la presenza cristiana in Terra Santa, attraverso vari tentativi di impadronirsi di beni e di immobili. Ne è esempio la causa intentata presso la Corte suprema «per ottenere il controllo» di tre proprietà della Chiesa, nei pressi della porta di Jaffa e al-Mu’athamiyah, a Gerusalemme. Le «modifiche allo Status Quo» nella città vecchia, afferma la nota, minacciano «il centenario mosaico e gli equilibri» che hanno regolato «la vita degli abitanti di tutte le religioni».
Il patriarcato ricorda che le proprietà sorgono «all’interno delle mura della città vecchia di Gerusalemme» e sono utilizzate «per i pellegrini e i turisti» nell’area, soprattutto per quanti «devono recarsi al Santo Sepolcro». Da qui la scelta di continuare la battaglia legale e «far valere il dritto-dovere di difesa» dell’istituzione, dei luoghi santi e del patrimonio cristiano. Ricordando il «sostegno» delle altre Chiese e denominazioni cristiane di Terra Santa, il patriarcato afferma inoltre di avere «prove inequivocabili» a sostegno del legittimo possesso dei beni.
Al centro della controversia, ricostruisce AsiaNews, l’acquisizione di tre edifici appartenenti alla Chiesa greco-ortodossa e oggi di proprietà – secondo quanto hanno stabilito i giudici – del «gruppo estremista» ebraico Ateret Cohanim. A giugno, con una sentenza a sorpresa per rapidità e modi, la Corte suprema aveva respinto il ricorso del Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme, perché la transazione è avvenuta attraverso intermediari stranieri e non si registrerebbero irregolarità.
Le strutture si trovano nella zona palestinese di Gerusalemme, occupata e annessa da Israele. In passato i leader cristiani di Terra Santa avevano già denunciato le iniziative dell’associazione ebraica, che promuove da tempo una campagna di occupazione e acquisizione di immobili nella parte cristiana della città vecchia. La Ateret Cohanim vuole “giudaizzare” la città santa e, attraverso intermediari e società terze, si è già impossessata di diverse proprietà immobiliari nell’area.
Il patriarcato greco-ortodosso afferma inoltre di avere prove di «atti di corruzione» perpetrati nel tempo dal gruppo ebraico e dal suo direttore generale Mati Dan verso le istituzioni locali, fra cui la municipalità di Gerusalemme, per «indebolire» la posizione dei cristiani. La causa intentata in tribunale da Ateret Cohanim si baserebbe proprio su questi «documenti contraffatti» o «falsificati»; inoltre, nel 2004 la stessa associazione avrebbe corrotto un funzionario del patriarcato [tale Nicholas Papadimas] per ottenere false prove inerenti la cessione delle proprietà.
A dispetto dell’onerosità che richiedono le cause in tribunale, a livello economico e di tempo, il patriarcato considera la città vecchia di Gerusalemme una «linea rossa» e il «cuore del cristianesimo», per questo intende «difendere i principi, reclamando le sue proprietà». Un obiettivo da raggiungere «per via diplomatica o giudiziale» e «in collaborazione» con quanti intendono davvero «promuovere la pace e la convivenza» nella regione. Da qui, conclude la nota, la decisione – resa effettiva lunedì 5 agosto – di «depositare una nuova azione legale» contro Ateret Cohanim e ottenere un «ribaltamento» della decisione dei giudici della Corte suprema secondo la quale «tre proprietà strategicamente collocate nella Città Vecchia di Gerusalemme erano state legalmente vendute dalla Chiesa all’Ateret Cohanim».
La causa afferma che «nuove prove dimostrano che la vendita delle proprietà è stata compromessa dalla corruzione da parte dei rappresentanti dell’Ateret Cohanim» – che lavora per rafforzare la presenza dei coloni nella Gerusalemme Est occupata – e che il suo «comportamento equivale a quello di un organizzazione criminale».
La nuova azione legale mira a riaprire un verdetto di tribunale distrettuale, alla luce di nuove prove, a seguito di una decisione di giugno della Corte suprema israeliana che ha confermato la sentenza precedente.
La sentenza originale, ricorda il quotidiano israeliano Haaretz, «ha riscontrato problemi nella vendita della proprietà, ma ha stabilito che la Chiesa non aveva dimostrato che le transazioni fossero il prodotto di corruzione».
Ateret Cohanim ha già «richiesto di entrare in possesso dei tre edifici, inclusi due grandi edifici alberghieri, il New Imperial Hotel ed il Petra Hotel, che si affacciano sulla Porta di Jaffa, e lo sfratto dei palestinesi attualmente in possesso dei locali».
Secondo i rapporti, la nuova causa cita la testimonianza di un ex-manager di due hotel di Gerusalemme, che ha ammesso di aver accettato denaro da Ateret Cohanim «per convincere gli inquilini palestinesi a vendere i loro diritti sulle strutture all’ONG israeliana».
Tale testimonianza riflette azioni da parte di Ateret Cohanim che sono, secondo Haaretz, «straordinarie nella loro gravità» e che includono «frode, falsificazione di documenti presentati in tribunale e corruzione, incluso il presunto tentativo di corruzione sessuale».
La denuncia rileva inoltre che Ateret Cohanim «ha ostacolato la giustizia attraverso lo spergiuro ed il deliberato occultamento dei documenti».
*Basilica del Santo Seplolcro. Foto tratta da Pixabay, immagine originale e licenza
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