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Contro l'ansia dell'invasione: il sociologo Ambrosini chiarisce su clima e migrazioni

Contro l'ansia dell'invasione: il sociologo Ambrosini chiarisce su clima e migrazioni

“Cambiamenti climatici e migrazioni: un po’ di chiarezza” è il titolo dell’articolo pubblicato sul sito di Aggiornamento Sociali che porta la firma di Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni all’Università di Milano e all’Università di Nizza, direttore di Mondi migranti e direttore scientifico della Scuola estiva di Sociologia delle migrazioni del Centro studi Medì (CSMedì) di Genova.

Il recente rapporto dell’agenzia Onu ICCP (Intergovernmental Panel on Climate Change), spiega Ambrosini, denuncia che i cambiamenti climatici minacciano pesantemente la sicurezza alimentare e che gas serra, riscaldamento globale, desertificazione e degrado del suolo rendono inospitali numerose regioni del pianeta. Ferma restando l'emergenza della crisi climatica, avverte però il professore, il nesso tra conseguenze dei cambiamenti climatici e migrazioni forzate richiede maggior approfondimento; «sembra logico» ma «la questione è un po’ più complessa».

“Complessità” è la parola d’ordine quando si parla della mobilità umana in questi tempi difficili. Per esempio, in generale, la mobilità umana riguarda sempre più anche i Paesi ricchi e la manodopera qualificata: «Identificare le migrazioni con gli spostamenti di povera gente spinta da fame e guerre – avverte – è una grossolana riduzione della complessità dei flussi» perché, appunto, la povertà non p l'unica ragione che spinge sempre più persone a mettersi in cammino. Inoltre, aggiunge Ambrosini, migrare costa, e costa in misura proporzionale alla destinazione designata. Chi dispone di risorse economiche ha maggiore possibilità di adattarsi ai cambiamenti climatici. Allo stesso tempo, «che contadini e allevatori impoveriti del Sahel o del Corno d’Africa possano arrivare fino in Europa è un evento» raro. Ed è quindi più probabile per loro abbandonare le campagne e riversarsi nelle megalopoli più vicine in cerca di fortuna. Scrive infatti Ambrosini che «il Rapporto annuale sul tema dell’IDMC (International Displacement Monitoring Centre) stima in 17,2 milioni il numero delle persone spinte a spostarsi verso altre regioni del proprio paese a causa di disastri ambientali».

Al momento, dati alla mano, le migrazioni collegate ai cambiamenti climatici sono per lo più interne ai confini e, «anche ammettendo che una parte di questi migranti forzati prima o poi oltrepassino un confine, dovranno superare molte barriere prima di arrivare nel Nord del mondo».

Il rapporto Onu non parla molto di migrazioni climatiche, continua Ambrosini, e dare per certa una così forte correlazione tra clima e spostamenti di massa verso l'Occidente «collude con le ansie diffuse nei confronti di un’invasione d’immigrati inesistente, alimentando la cultura della chiusura. Mostrarne l’inconsistenza non significa abbassare la guardia sul cambiamento climatico o disinteressarsi delle popolazioni già fragili che ne subiscono maggiormente l’impatto. Ma sia il clima, sia i rifugiati ambientali, sia i migranti in generale hanno bisogno di buoni argomenti per essere davvero difesi».


* Foto di Alessandro Vasaturo, tratta da Flickr, immagine originale e licenza, l'immagine è stata ritagliata.

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