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"Rispettate Catalogna e catalani": preti baschi e comunità cristiane popolari scrivono ai politici

Non sorprende che i baschi siano a fianco di quel popolo della Catalogna che chiede l’indipendenza dallo Stato spagnolo. In occasione delle elezioni politiche che il Paese iberico sta per affrontare (domenica prossima, il 10 novembre; v. Adista online del 31/10/19), sono cattolici i baschi che pubblicano in data 5/11 una dichiarazione con la quale invitano i partiti a risolvere il conflitto politico catalano attraverso il dialogo e a riconoscere il diritto dei popoli a essere sovrani.

I firmatari – si tratta dei collettivi delle Comunità cristiane popolari, di Herria 2000 Eliza (rivista ormai quarantennale alla cui fondazione parteciparono gruppi cristiani impegnati nel processo di liberazione della loro terra e della loro Chiesa, seguendo i dettami del Concilio Vaticano II) e del coordinamernto di sacerdoti Euskal Herria – sottolineano innanzitutto che la Spagna deve affrontare nuove elezioni generali «a causa dell'inettitudine politica di coloro che hanno ricevuto il mandato di maggioranza per gestire un governo statale». È per questo, assicurano, che un «ampio settore» della popolazione «si sente demotivato» e ha paura di «un indietreggiamento della democrazia», crisi che «le forze più conservatrici del Paese cercano di sfruttare a loro vantaggio».

Nell dichiarazione denunciano i «continui abusi e la violenza del potere da parte del governo», le «ingiuste condanne politiche contro i promotori del processo per la sovranità catalana», le pene «totalmente sproporzionate» inflitte ai giovani di Alsasua, in Navarra (condannati nel marzo scorso a 13 anni di carcere per un’aggressione a due poliziotti nel quadro delle violenze innescate dalla lotta per l’indipendenza)  e la «politica penitenziaria repressiva». «È urgente – ritengono – far sentire la voce della democrazia».

Chiedono quindi ai partiti di riconoscere «tutti i diritti individuali e collettivi di ??una democrazia partecipativa», incluso «quello della Catalogna, dell'Euskal Herria e di altri popoli di essere sovrani, per esercitare il loro pieno autogoverno e autodeterminazione». Ma chiedono anche un'amnistia per i prigionieri “politici” – quelli che lavorarono al referendum per l'indipendenza celebrato nell'ottobre 2017 (v. Adista Notizie n. 37/19 e Adista online del 30/10/19) – e per gli esiliati (con riferimento a Puigdemont), un'equa distribuzione della ricchezza, con salari equi e pensioni decenti, una politica di  contrasto alla disoccupazione e di incremento delle pari opportunità, nonché l’impegno per «un'Europa accolgiente verso immigrati e rifugiati».

La secessione è anticostituzionale

Risponde, indirettamente, anche a questa dichiarazione il principale artefice della politica spagnola, il socialista capo del governo Pedro Sánchez, con un articolo che è stato pubblicato oggi,, a un tiro di schioppo dal voto di domenica, su 17 fra i maggiori quotidiani europei (in Italia pare comparirà domani su Il Sole 24 Ore), intitolato “Catalogna, Spagna, Europa: meglio unite”. In merito alla questione catalana, Sánchez scrive: «Non sono mai stato contrario al dialogo quando entrambe le parti sono disposte ad agire nei limiti della Costituzione e delle leggi». Per il presidente, la sfida principale è «assicurare che tutti comprendano e accettino la verità che il percorso unilaterale verso l'indipendenza è un insulto diretto ai principi democratici fondamentali». «Nessun Paese permetterebbe la secessione unilaterale del territorio che è parte integrale del suo ordine costituzionale».

*Manifestazione per l'indipendenza della Catalogna, 2017. Foto di Theklan, tratta da Wichipedia, immagine originale e licenza

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