
La battaglia del clima
Tratto da: Adista Documenti n° 3 del 25/01/2020
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I negazionisti non hanno mai attaccato i numerosi rapporti dell’Onu sul riscaldamento climatico. Non hanno nemmeno attaccato frontalmente papa Francesco sull’enciclica Laudato Si’. Attaccano invece con virulenza Greta Thunberg, e per alcune ragioni molto di fondo.
Perché dopo 50 anni, senza alcun parallelo, milioni di ragazze e ragazzi in tutto il mondo, si sono messi in moto. Perché Greta Thunberg ha detto, da una tribuna mondiale e colossale per dimensioni di comunicazione, di smetterla di parlare di soldi e di fantasticare teorie sulla crescita economica, perché il mondo è da salvare e il tempo è scaduto.
Ha toccato il tabù della crescita, che più nessuno osa mettere in discussione. Questo è il punto. Consumare di meno, produrre di meno?
Nel quesito c’è la centralità dei combustibili fossili: i gas serra, la CO2, il petrolio, il riscaldamento globale e la crisi climatica in corso, che nessuno può più negal'attivista re nel gioco dei numeri e dello scontro tra scienziati: il disastro idrico, con l’acqua inquinata, il mare di plastica e l’accesso negato dalla proprietà, che metteranno in discussione la vita di 3 miliardi di persone e creeranno 300 milioni di emigranti nel 2050; il disastro dei rifiuti tossico-nocivi, che non sono smaltibili né riciclabili, vengono dispersi nei mari e bruciano nei roghi vicino a casa, avvelenando l’aria e le falde; l’agrochimica, che avvelena con il glifosato il nostro cibo e che, in Europa, è presente nel 67% dell’acqua di superficie e nel 30% delle falde.
Grande è la confusione sotto il cielo
I giovani nelle piazze del mondo hanno determinato un primo chiaro spartiacque. La destra è contro di loro ed è contro la natura. Da Trump a Salvini, da Bolsonaro che brucia la foresta Amazzonica a Putin che brucia la foresta siberiana. La destra esiste, purtroppo è proletaria e non abita i centri cittadini.
È nel fronte alternativo alla destra che c’è la più grande confusione.
Molti non negano in apparenza, ma affermano che si deve crescere, basta dipingere le produzioni di verde e diventano un’opportunità di sviluppo… e poi abbiate fiducia nelle nuove tecnologie.
Cementifichiamo pure le città, consumiamo territorio… si può fare! Basta mettere il verde sui tetti dei grattacieli e sui balconi.
Le api muoiono per i pesticidi delle campagne? Mettiamo le arnie sulle terrazze in città.
Inventiamoci il carbone pulito.
Facciamo agricoltura idroponica geneticamente modificata in casa, nei laboratori in verticale.
E se l’Africa, che ci sta di fronte piena di risorse e forza lavoro, ha fame e sete e scappa?
Aiutiamola nello sviluppo, portando fabbriche e colture inquinanti, deforestiamola, estraiamo risorse e petrolio, deviamo i fiumi alzando dighe per assicurare acqua a industrie e a immense “fabbriche” agricole 4.0 dove, si dice, si risparmierà acqua, energia, pesticidi.
Dove prima vivevano centinaia di migliaia di persone, oggi 10 “contadini” stanno dietro ad una consolle, manovrano macchinari da Transformer e droni e si fa conto di aumentare i raccolti del 260%. Proponiamo all’Africa lo stesso modello di sviluppo che ci ha portato sull’orlo dell’abisso climatico e idrico.
L’Africa è una polveriera
In Africa vivono 1,3 miliardi di persone. Negli ultimi 90 anni la sua popolazione è aumentata di 9 volte e saranno 4 miliardi nella seconda metà del secolo. Età media 20 anni.
Il 60% della popolazione è impegnata in agricoltura, di cui il 40% in agricoltura di sussistenza.
Un modello agricolo che sarà spazzato via determinando un abbandono biblico dalle campagne.
Stiamo esportando in Africa le tre rivoluzioni agricole che hanno determinato in Europa lo spopolamento delle campagne e le emigrazioni, ma in un tempo molto più rapido e in nome dello sviluppo. Senza una radicale inversione di rotta, ciò a cui oggi assistiamo dalle nostre coste è solo una avvisaglia di una massa enorme di esclusi, esuberi e potenziali schiavi in arrivo.
Salvare il mondo, il tempo è scaduto
Sembra un facile slogan, ma è invece un nuovo paradigma, impegnativo e che cambia tutto; che chiama giovani e vecchi, donne e uomini a correre per salvare la casa comune, il genere umano.
Come ci ricorda Noam Chomsky: «Non possiamo ignorare che siamo in un momento unico della storia umana. Per la prima volta le decisioni che prenderemo determineranno la sopravvivenza o meno della specie. Non era così nel passato. Oggi lo è».
E cambia tutto. Ci chiede di mettere in disparte il personale e aprirsi alla dimensione politica.
Non siamo di fronte ad una situazione risolvibile solo con la cultura delle buone pratiche individuali che si sommano tra loro; tutte necessarie ed auspicabili, ma che rischiano di tranquillizzare, invece di suscitare la giusta inquietudine. E rischiano di focalizzare sul personale, invece che portare alla riscoperta del collettivo.
Le buone pratiche servono a costruire una necessaria coscienza: vado in bici, risparmio acqua, mangio meno carne, ecc.; tutto sacrosanto, ma non può esimere nessuno dall’organizzazione collettiva, dal rapporto con l’altro, dalla mobilitazione, dalla partecipazione diretta, fisica.
Non possono esimere dal fare i conti con i tempi ravvicinati della conversione ecologica, né dal forzare in direzione della fuoriuscita dai combustibili fossili e per una società sobria nei consumi.
Non ho certezze, ma penso sia necessario un salto dalle pratiche individuali ad obiettivi comuni, che ci facciano lottare assieme, in sede locale, nazionale, europea, mondiale. Che ci portino davanti al Comune come davanti alla sede della Commissione Europea o all’ONU. Reti e organizzazioni di persone nei luoghi di lavoro, di studio, di quartiere…
Cose vecchie? Non so!
Ma non sta forse avvenendo tra i giovani? Lo spero. Ma non abbiamo fatto così con il movimento dell’acqua diritto umano? Non sono battaglie che fece il movimento operaio per la giornata di 8 ore? E c’è una storia di appuntamenti mondiali fino al Forum Sociale Mondiale.
Obbiettivi globali sono già dentro il dibattito mondiale: far smettere le trivellazioni, mettere fuori legge il carbone, chiudere la partita con il glifosato. Obiettivi per i quali lottare e promuovere leggi di iniziativa Europea, referendum.
Assieme come umanità che si difende e propone, non contro la natura matrigna, ma con la natura: umanità e natura contro le multinazionali.
Natura e mondo del lavoro
Conversione ecologica dell’economia, qui nasce il vero nodo ed è quello del lavoro. Natura o lavoro? Non c’è centralità dell’uno sull’altro e finora c’è stato solo l’oggettivo interclassismo della centralità del lavoro in nome della crescita. Per il lavoro si fanno crimini orrendi contro la natura e contro l’umanità. Eppure la crisi dell’una o dell’altro ci portano di fronte allo stesso abisso. È un difficile equilibrio da tenere assieme nella transizione. Diventa necessario coinvolgere il mondo del lavoro e formare un nuovo lavoratore. Occorre interrompere la divaricazione fra chi chiede la chiusura del nucleare, dell’Ilva, il cambio delle produzioni e dei consumi e chi si pone contro aggrappandosi al posto di lavoro. Non dobbiamo stare a guardare i giovani, giudicarli, né tanto meno tentare di portarli dentro le nostre ambizioni. C’è un mondo del lavoro (e delle periferie) da rendere cosciente di ciò che si produce dalle sue fabbriche e dai suoi laboratori. Un mondo di persone da rendere di nuovo protagoniste nella storia che ha un unico nome: riconversione. E questo è il compito dei non più giovani e dei sindacati, a partire da quelli di base, che possono tornare a formare nuclei di lavoratori militanti, capaci di rischiare “per la schiava umanità” e “per salvare il mondo”.
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