
Verso il collasso climatico. Analisi e riflessioni dopo il fallimento della Cop25
Tratto da: Adista Documenti n° 3 del 25/01/2020
DOC-3037. ROMA-ADISTA. Un'area di oltre 84mila chilometri quadrati andata in fumo – superiore a quella di Piemonte, Lombardia, Liguria e Valle d’Aosta messe insieme –, 26 vittime accertate tra vigili del fuoco e abitanti, villaggi interi spazzati via, milioni di mammiferi, uccelli e rettili uccisi direttamente o indirettamente dalle fiamme (secondo esperti dell’università di Sidney, potrebbero essere addirittuta più di 500 milioni, qualcuno parla anche di un miliardo), di cui forse il 50% della popolazione dei koala nel Nuovo Galles del Sud. È questo il bilancio del tutto provvisorio degli incendi in Australia, frutto del micidiale cocktail di siccità prolungata e dunque di assenza di umidità, di temperature oltre i 40° C, di venti forti e della presenza invasiva di specie come l’eucalipto fortemente vulnerabili ai roghi che, come è stato accertato in seguito, sono stati anche di origine dolosa. Il tutto in un Paese che, insieme agli Stati Uniti, al Brasile e all'Arabia Saudita, ha posto i maggiori ostacoli ai fallimentari negoziati della Cop25, la 25.ma Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, che si è chiusa a Madrid il 15 dicembre scorso.
Nulla è bastato a indurre la comunità internazionale a trovare un accordo: né le innumerevoli catastrofi ambientali registrate nell'anno che si è appena chiuso – prima degli incendi in Australia ci sono stati quelli in Amazzonia, in Siberia, nella Repubblica democratica del Congo e in varie altre regioni –; né lo scioglimento senza precedenti dei ghiacci della Groenlandia, né le temperature record in Europa centrale e in Alaska della scorsa estate (con il record storico assoluto di 42,6 gradi di Parigi). Neppure è stato sufficiente il clamore della società civile, con le mobilitazioni di massa promosse da movimenti come Friday for future o Extinction Rebellion. Nemmeno sono serviti i ripetuti allarmi degli scienziati, che rivedono continuamente al rialzo i dati sul riscaldamento globale: secondo le previsioni più ottimiste, al ritmo attuale delle emissioni, la temperatura globale dovrebbe aumentare di 4 o 5 gradi centigradi alla fine del secolo; secondo quelle più pessimiste, addirittura di 7 gradi, quando già una crescita della temperatura media globale di “soli” 2 gradi centigradi risulterebbe devastante. Mentre nessuno o quasi degli scenari presi in considerazione dagli studi scientifici ritiene ormai possibile un aumento di appena 1,5 gradi, vale a dire l'obiettivo indicato dall'Accordo di Parigi del 2015.
Del resto, tra gli appena 84 Paesi che si sono impegnati a presentare piani più ambiziosi nel 2020, non si incontrano né gli Stati Uniti, né la Cina, né l'India e la Russia, che, da soli, coprono circa il 55% delle emissioni di gas a effetto serra. Ma che non ci si possa attendere nulla dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico lo dimostra, come sottolinea Gerardo Honty del Claes (Centro Latino Americano de Ecología Social, Alai, 17/12) il suo stesso testo fondativo, laddove si dice che nessuna azione da adottare per frenare il riscaldamento globale deve fermare la crescita economica, come se l'obiettivo della riduzione delle emissioni fosse compatibile con quello della promozione della crescita. Si tratta, secondo le parole di Paolo Cacciari, uno dei fondatori dell'Associazione per la Decrescita (Granello di Sabbia n. 42), della «chimera della “Green Economy”»: l'ingannevole proposito «di “disaccoppiare” la crescita economica dai danni che essa provoca al funzionamento della biosfera», cioè di «continuare a perseguire un aumento della crescita economica e, contestualmente, ottenere una diminuzione degli impatti antropogenici sui cicli naturali, sul “consumo di natura”». In realtà, l'unico modo di realizzare una diminuzione efficace delle pressioni sull’ambiente è quello di ridurre drasticamente la produzione e, quindi, il consumo, «sottraendo spazi di azione al capitale: zolla per zolla, albero per albero, foresta per foresta, mare per mare». Con buona pace del «partito del Pil».
Di tutto questo, del fallimento della Cop25, dei limiti del Green New Deal europeo, del collasso climatico imminente, dell'ideologia della crescita e della conversione ecologica dell’economia, parlano gli interventi – che qui riportiamo – di Paolo Cacciari (Comune.info 21/12), del sociologo Andrés Kogan Valderrama (Iberoamérica Social, 20/12), di Dahr Jamail e Barbara Cecil, autori di una serie di articoli dal titolo "Come vivremo allora? Trovare una strada e la pace nel cuore in mezzo al collasso globale" (Rebelión, 16/11) e di Emilio Molinari (Granello di Sabbia n. 42, sul tema "Il Sol dell’avvenire e l’avvenire del Sole"), insieme al comunicato finale del Vertice Sociale per il Clima svoltosi a Madrid parallelamente alla Cop25.
* Bushfire - foto [ritagliata del 2007] di bertknot tratta da flickr, immagine originale e licenza
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