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Perdono e riconciliazione:

Perdono e riconciliazione: "Credere" intervista mons. Carlassare, aggredito in Sud Sudan

Il settimanale dei paolini Credere, diretto da don Antonio Rizzolo, pubblica sul numero del 2 maggio un articolo-intervista a Christian Carlassare, classe ‘77, della provincia di Vicenza, missionario comboniano, da due mesi vescovo della diocesi di Rumbek in Sud Sudan, vittima nella notte tra il 25 e il 26 aprile di un agguato presso la sua abitazione. Ferito a una gamba è stato soccorso da alcuni medici del Cuamm a Rumbek ma poi, a causa della forte perdita di sangue, è stato trasferito a Juba e poi in Kenya a Nairobi. Ora è fuori pericolo e già pensa al futuro nella sua diocesi.

«Ho pensato che il messaggio del perdono è l’unico che in questa situazione può portare alla giustizia», ha detto il vescovo di Rumbek alla giornalista esperta d’Africa e di mondo missionario Anna Pozzi. E mentre si indaga sulle ragioni dell’aggressione, probabilmente riconducibili alle divisioni tribali all’interno della stessa Chiesa locale, il vescovo è convinto «che il Vangelo ci insegna il perdono e da questo può nascere davvero una trasformazione».

L’intervista ricostruisce la vicenda dell’agguato al comboniano, riflesso della più grande crisi che attanaglia il Paese sin dai suoi primi mesi di vita, dopo l’indipendenza ottenuta nel luglio 2011. Nel Sud Sudan martoriato dalla guerra civile e dall’instabilità politica, spiega la giornalista, «la nomina di padre Carlassare ha un grande valore simbolico: è un giovane tra i giovani con i suoi 43 anni, in un Paese dove l’età media è di 18 e la maggior parte dei pochissimi preti locali è della sua generazione; è un missionario comboniano e questa terra, la “Perla nera” di Daniele Comboni, ce l’ha nel Dna; è un vicentino, cresciuto nel mito di Josefina Bakhita, l’ex schiava sudanese canonizzata nel Duemila». Inoltre, la diocesi di Rumbek, guidata fino al 2011 da mons. Cesare Mazzolari, «è rimasta vacante per dieci lunghi anni ed è evidentemente molto travagliata al suo interno». La sfida è grande, ammette lo stesso missionario, che si augura di «fare da ponte» tra dinka e nuer, le principali etnie del Paese che in quelle terre si confrontano e molto spesso si scontrano, anche per il controllo delle importanti risorse del territorio. «Paradossalmente», spiega p. Christian a Credere, «il popolo sudsudanese era più unito quando combatteva» contro il Sudan di Omar al Bashir. «Con l’indipendenza sono emersi tutti i problemi e le divisioni interne. Oggi la sfida più grande è guarire le tante ferite che il conflitto civile ha ulteriormente approfondito, dividendo la popolazione e accentuando il senso di appartenenza alla tribù o al clan, spesso in contrapposizione con gli altri». Servirebbe una classe politica all’altezza, ha suggerito ancora: «Ci sarebbe bisogno di passare da queste figure legate alla vita militare del passato a una leadership nuova fatta di civili e di veri uomini politici. Altrimenti la gente, che ha già perso completamente fiducia nelle istituzioni, si rifugerà ancora di più nel clan». Fomentando i conflitti tribali locali.

Dopo l’aggressione, papa Francesco ha assicurato la sua preghiera al vescovo non ancora insediato, che auspica una visita del pontefice in quelle terre: «Sappiamo che ci tiene moltissimo, che questa terra e il suo popolo sono nel suo cuore. Conosciamo anche le diffcoltà. Ma abbiamo visto che è stato persino in Centrafrica e recentemente in Iraq. Sono certo che, appena potrà, verrà anche qui».

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