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Tre ragioni del bullismo omofobico

Tre ragioni del bullismo omofobico

PALERMO-ADISTA.

Perché tanta “crudeltà gratuita” sui gay, come si è chiesto uno dei due turisti aggrediti alcuni giorni fa da una baby gang a Palermo (come già avvenuto in tante altre città della Penisola)?  Delle azioni irrazionali non si possono dare spiegazioni univoche.  Esse sono il risultato di una sommatoria di cause, più inconsapevoli che coscienti.

L’omosessuale (maschio o femmina, ma il maschio è più riconoscibile come tale) è una delle concretizzazioni plastiche della “diversità”: è altro, è dissimile, fuori dagli schemi a cui siamo abituati (almeno nella nostra cultura) sin da piccoli. In quanto “diverso”, inquieta. Fa un po’ paura. Va evitato o, se si può, cancellato.

Ma non ci scagliamo su ogni monstrum in cui ci imbattiamo. La diversità dei gay, però, evoca – del tutto a torto – caratteri di debolezza, di inferiorità fisica. Ci sono omosessuali atletici, persino allenati alla lotta fisica. Ma nell’immaginario rudimentale sono vulnerabili perché somigliano alle donne. Nei galletti maschilisti si risveglia, dunque, la tendenza (acquisita, non certo innata!) a mostrare i muscoli, a verificare la solidità del proprio ruolo dominante rispetto al sesso “debole”.

A queste ragioni  - se di ‘ragioni’ si può propriamente parlare – bisogna aggiungerne almeno una terza, ancora più specifica. Uno dei pedagogisti più apprezzati nel panorama nazionale, Giuseppe Burgio, l’ha sviscerata nel suo splendido Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità (Mimesis, Milano 2017). La femmina, all’arrivo delle mestruazioni, sa di esserlo; ma il maschietto vive nell’angoscia di un pene troppo piccolo o poco funzionante. Deve guadagnarsi, ai propri occhi e agli occhi dei coetanei, la certezza di appartenere al genere “maschile”. Ora, “a fondare la maschilità considerata corretta nella nostra società è innanzitutto l’eterosessualità. L’adolescenza è cioè un dispositivo non solo fortemente sessualizzato, ma proprio eterosessualizzato”. Se non si tiene conto di questo contesto – tu meriti di essere considerato ‘uomo’ non se sei più istruito o più saggio di prima, non se sei più abile nel suonare uno strumento musicale o nel riparare un’automobile, ma prima di tutto ed essenzialmente se sei sessualmente appetibile da esponenti dell’altro genere e se sei proteso verso di esse – non si capisce perché spesso ragazzi “usano fra di loro l’umiliazione e la vittimizzazione a sfondo sessuale per dimostrare il loro potere, aggrediscono altri ragazzi considerati omosessuali per garantire il proprio rango virile e per affermare la loro normalità eterosessuale”.

Se le cose stanno, almeno parzialmente, così, le dichiarazioni dei politici che – nell’occasione – si sono affrettati a chiedere l’approvazione del disegno di legge Zan (per quanto non esente da punti equivoci) arrivano puntuali, ma incomplete. Il timore della sanzione penale può senz’altro modificare alcune tendenze sociali, ma è evidente a tutti che la questione radicale è culturale. Nella società tradizionalmente patriarcale (anche in una fase come l’attuale in cui il ruolo degli uomini è in crisi) domina un modello ‘unico’ di maschilità, condiviso purtroppo dalla quasi totalità degli uomini e delle donne: l’uomo sicuro di sé, padrone delle proprie emozioni, in carriera, che “non deve chiedere mai”, tombeur de femmes…La situazione cambierà solo se, gradualmente ma progressivamente, si arriverà a un’idea “plurale” della maschilità: quando sarà riconosciuta la legittimità di vari modi di essere maschi (di orientamento eterosessuale o omosessuale, a seconda delle inclinazioni soggettive) . Dunque anche del modello del maschio gentile, affettuoso, collaborativo con la propria compagna o col proprio compagno, dedito alla cura dei piccoli, dei malati e degli anziani; capace di esprimere senza falsi pudori i propri sentimenti; sicuro della propria identità sessuale sino al punto da non doverla né sbandierare né tanto meno imporre.

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