
Messa in latino: papa Francesco archivia la controriforma liturgica di Benedetto XVI
Forse è una lettura un po’ grossolana, ma nella sostanza è così: papa Francesco manda in soffitta la controversa riforma liturgica del suo predecessore, qul motu proprio Summorum Pontificum che nel 2007 tante polemiche aveva suscitato perché liberalizzava la messa in latino secondo l’antico rito precedente alla riforma liturgica del 1970, seguita al Concilio Vaticano II.
Il provvedimento era nell’aria da tempo, anche perché mesi fa la Congregazione per la dottrina della fede aveva promosso un sondaggio tra i vescovi per comprendere l’impatto che la liberalizzazione del rito pre conciliare voluto da papa Ratzinger aveva avuto nelle diocesi del mondo
Il 16 luglio scorso, papa Francesco ha pubblicato un motu proprio “Traditionis custodes”, per ridefinire le modalità di utilizzo del messale preconciliare.
Nella lettera di accompagnamento al documento, Papa Francesco spiega che le precedenti norme per l’uso del messale antico erano state soprattutto motivate “dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre”. In particolare, nel promulgare il Summorum Pontificum, papa Benedetto XVI aveva più volte ribadito che il Motu Proprio non ha sminuito le riforme liturgiche del Concilio Vaticano II. Lui – scrive papa Francesco – riteneva infondato il timore di spaccature nelle comunità parrocchiali. Pensava anzi che i due riti avrebbero potuto rinsaldare l’unità nella Chiesa. Ma le risposte date dai vescovi al sondaggio della Congregazione per la dottrina della fede rivelano, scrive Francesco, una situazione che “addolora” e “preoccupa”, “confermandomi nella necessità di intervenire”, in quanto il desiderio di unità è stato “gravemente disatteso”, e le concessioni offerte con magnanimità sono state usate “per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni”. Il Papa si dice soprattutto rattristato per “un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’ ”. Dubitare del Concilio, afferma Francesco, “significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel Concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa”. “È sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la ‘vera Chiesa’. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione”. Così, “per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori”.
Passando al merito del Motu Proprio, le principali novità sono queste. Anzitutto, "i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano". La responsabilità di regolare eventuali celebrazioni secondo il rito preconciliare torna – come era prima di Summorum Pontificum – al vescovo del luogo: “È sua esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica”. Inoltre, spetta al vescovo accertare che i gruppi che già celebrano con il messale antico “non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici”.
Inoltre, le messe con il rito antico non si terranno più nelle chiese parrocchiali, il vescovo stabilirà la chiesa e i giorni di celebrazioni. Le letture dovranno essere “in lingua vernacola” usando le traduzioni approvate dalle Conferenze episcopali. Il celebrante sarà un sacerdote delegato dal vescovo. Ancora al vescovo spetta il compito di verificare l’opportunità di mantenere o meno le celebrazioni secondo il messale antico, verificandone la “effettiva utilità per la crescita spirituale”. Non potrà comunque “autorizzare la costituzione di nuovi gruppi”.
I preti ordinati dopo la pubblicazione dell’odierno Motu proprio, che intendono celebrare con il messale preconciliare “devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica”. Mentre quelli che già lo fanno dovranno chiedere al vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare a usarlo. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, “a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei” passano sotto la competenza della Congregazione per i Religiosi. I Dicasteri del Culto, e dei Religiosi vigileranno sull’osservanza di queste nuove disposizioni.
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