
Il Sudan tra repressione militare e crisi economica. Transizione sempre più lontana
Le dimissioni del premier Abdallah Hamdok (v. Adista online) a due mesi dal colpo di Stato militare in Sudan hanno provocato una battuta d’arresto del processo di transizione democratica. E mentre l’Onu cerca una mediazione tra le forze in campo, proseguono le manifestazioni di piazza, duramente represse dai militari, attualmente soli al potere, «anche con l’uso di tattiche e armi letali». «Le tensioni tra militari e società civile», commenta un articolo di Nigrizia pubblicato ieri sul sito dei missionari comboniani, «aumentano dopo l’uccisione di altri sette manifestanti il 17 gennaio». Sono solo gli ultimi di una lunga lista di «71 giovani oppositori» uccisi dall’esercito nelle ultime 12 settimane (e 2mila feriti).
«Dopo i morti di lunedì anche la protesta ha cambiato passo», spiega Nigrizia, raccontando le iniziative di «disobbedienza civile» messe in campo dagli opositori al regime militare. Si tratta di medici che hanno deciso di non lavorare negli ospedali delle forze di sicurezza e dell’esercito; e poi «insegnanti, ingegneri e piloti, così come i comitati di resistenza al di fuori della capitale. Chiuse anche banche, negozi e aziende private». Dopo le recenti uccisioni, anche l’Onu e l’Unione Europea hanno condannato l’uso brutale della forza e le detenzioni arbitrarie di oppositori e giornalisti.
E mentre «il dialogo appare un’eventualità sempre più remota», conclude Nigrizia, si aggrava di giorno in giorno la crisi economica nel Paese africano.
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