
Paesi arabi: cresce la religiosità perché cala la speranza
Secondo un nuovo sondaggio dell'Arab Barometer Network realizzato per la BBC, si registra un grande cambiamento, nel mondo arabo, nel rapporto che i giovani sotto i 30 anni con la religione e la pratica dei riti religiosi. Il questionario, somministrato a circa 23mila persone di vari Paesi rispettando le stesse tipologie di parametri di un sondaggio effettuato fra fine 2018 e primavera 2019, ha rilevato una diminuzione di persone che si definiscono “non religiose”.
Meno di 4 anni fa, riferisce BBC/Afrique, il sondaggio concludeva che un numero crescente di arabi voltava le spalle alla religiosità: un terzo dei tunisini e un quarto dei libici si definivano non religiosi, e in Egitto i risultati del sondaggio del 2018 indicavano che il numero delle persone non religiose era raddoppiato, mentre in Marocco era quadruplicato. Notevole era il dato che l'aumento maggiore del numero di persone non religiose riguardava i giovani di età inferiore ai trent'anni, la cui percentuale aumentava del 18%.
Secondo l'indagine del 2022, il Marocco ha registrato una diminuzione di “non religiosi” del 7% in tutte le fasce d'età, seguito dall'Egitto, con una diminuzione del 6%, e Tunisia, Palestina, Giordania e Sudan, con un calo del 4 per cento.
Nella categoria dei giovani al di sotto dei 30 anni, la Tunisia ha visto il maggior calo del numero di giovani che si dichiarano non religiosi. Oggi, circa due terzi dei giovani tunisini partecipanti all'indagine si definiscono religiosi, un calo significativo rispetto all'indagine del 2018, in cui circa la metà dei giovani tunisini partecipanti all'indagine si descriveva come non religiosa.
Il docente di sociologia all'Università di Tunisi, Mohamed Gouili, spiega l'aumento del numero di giovani religiosi tunisini, affermando che dal 2010, 2011 e 2018 la religiosità sulla scena in Tunisia era la rigida religiosità salafita. Il ritiro degli "estremisti" dallo spazio pubblico ha incoraggiato i giovani a praticare la propria religione in modo aperto e libero, come si riflette nei dati dell’indagine di 4 anni fa. La seconda ragione del ritorno dei giovani tunisini ai rituali religiosi, secondo Gouili, è la pandemia di Coronavirus, che ha gettato un'ombra sulle persone e sollevato interrogativi sull'esistenza, la morte e il rapporto dell'uomo con la natura e gli altri esseri.
Il ricercatore egiziano Nabil Abdel-Fattah, consigliere del Centro Al-Ahram per gli studi politici e strategici, intervistato dalla BBC, ha aggiunto che la ragione di questa trasformazione e dell'elevata percentuale di giovani religiosi «è l'aggravarsi della crisi economica» e «il grave deterioramento dell'istruzione». «Sulla scia della cosiddetta Primavera Araba», ha aggiunto, «sono emerse ondate di speranza tra i giovani che si sarebbero verificati cambiamenti sociali, politici ed economici su larga scala», e quindi questi giovani hanno creduto di «poter realizzare i loro sogni con le proprie mani e con mezzi democratici». A questi giovani, rimasti delusi dal fallimento dei loro sogni, non resta che l'adesione alla religione e all'invisibile, magari compiendo per loro un miracolo, perché non c'è speranza di salvezza se non attraverso un miracolo».
Concorda, riferendosi alla Tunisia, Mohamed Gouili, secondo il quale l’«incertezza economica, incertezza democratica e incertezza su ciò che potrebbe accadere nel presente e nel futuro», inducono le persone ad aggrapparsi alla religione perché dà loro speranza in un futuro migliore e quindi dà loro la possibilità di desiderare la vita e la continuità.
*Il Corano. Immagine di falco da Pixabay
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