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Ecuador, la maledizione del petrolio: ucciso un altro difensore dell’ambiente

Ecuador, la maledizione del petrolio: ucciso un altro difensore dell’ambiente

Tratto da: Adista Notizie n° 9 del 11/03/2023

41395 QUITO-ADISTA. Il modello estrattivista ha fatto un’altra vittima: il dirigente indigeno cofán e padre di sei figli, Eduardo Mendúa, incaricato dal 2021 delle relazioni internazionali della Conaie, la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador. A ucciderlo, il 26 febbraio, sono stati degli uomini incappucciati, che gli hanno sparato 12 colpi mentre si trovava nella sua chakra, la sua piccola fattoria a Lago Agrio, nell’Amazzonia ecuadoriana.

Un assassinio che la Conaie ha immediatamente ricondotto alle politiche estrattiviste dominanti nel Paese: Mendúa era in prima linea nella difesa della comunità Cofán Dureno di Sucumbíos dalle mire della Petroecuador, la compagnia petrolifera statale, interessata a sfruttare i 30 pozzi petroliferi aperti nel territorio Dureno. E per questo non aveva esitato a denunciare pubblicamente il governo di Guillermo Lasso, accusandolo di iniziare «una guerra tra fratelli» nella comunità anziché promuovere una consultazione tra i suoi membri e ricordando come negli scontri con le guardie armate di Petroecuador fossero già rimasti gravemente feriti due indios cofán.

Poche ore prima di venire assassinato, Mendúa aveva postato su Facebook un messaggio rivolto alle autorità della provincia di Sucumbíos, del governo Lasso e della Petroecuador, sottolineando come la compagnia petrolifera avesse continuato «con i suoi stratagemmi per ingannare le comunità» e annunciando battaglia: «Non cederemo neanche un centimento del nostro territorio a chi intende distruggere gli spiriti della nostra foresta, dei nostri laghi e fiumi, dei nostri luoghi sacri».

Ha annunciato battaglia anche la Conaie, la quale, in risposta all’omicidio, si è impegnata a radicalizzare le proteste contro il governo Lasso, ritenendolo responsabile non solo della morte del suo dirigente – dopo ripetuti allarmi lanciati dall’organizzazione rispetto alle minacce rivolte contro la comunità – ma anche dell’aumento della violenza e della presenza del narcotraffico nella regione. «La sicurezza e la vita di quanti difendono i territori dall’estrattivismo sono in pericolo», ha denunciato il presidente della Conaie Leonidas Iza, rivolgendo un appello agli organismi internazionali a mantenersi vigili sulla situazione dei popoli indigeni nel Paese.

Né sarà sufficiente ad abbassare la tensione l’arresto, la mattina dopo l’omicidio, di uno dei cinque sospettati del crimine: David Q., indicato come il conducente dell’imbarcazione usata dagli assassini.

«È urgente un cambiamento totale nel modello di gestione delle risorse naturali», ha dichiarato Andrés Arauz, l’ex candidato presidenziale del correismo, il movimento politico dell’ex presidente Rafael Correa a sua volta avversato dai popoli indigeni proprio per essersi lanciato, durante i suoi mandati, in uno sfruttamento a larga scala delle risorse minerarie, per di più indicando «il radicalismo di sinistra, l’ecologismo e l’indigenismo infantile» come i maggiori nemici della sua “Rivoluzione Cittadina”.

Il danno e la beffa

Un modello, quello estrattivista, che appare intoccabile in Ecuador, malgrado il petrolio, più che una risorsa, sia stato piuttosto una maledizione. Il Paese, il membro più piccolo dell’Opec, produce 500mila barili di petrolio greggio al giorno, ma il governo Lasso punta a raddoppiarli, ritenendo le entrate petrolifere, oggi pari a 13 miliardi di dollari all’anno, essenziali per lo sviluppo del Paese. Eppure, da quando, nel 1967, il consorzio Texaco-Gulf ha trivellato il primo pozzo a Lago Agrio, dando il via all’era dell’oro nero e disseminando l’Amazzonia di pozzi, oleodotti, camion cisterna e raffinerie, per la popolazione l’industria petrolifera non ha significato altro che povertà e devastazione.

In 30 anni di attività la Texaco, poi acquistata da Chevron nel 2000, ha perforato 356 pozzi intorno a Lago Agrio, scaricando 60 milioni di litri di acque reflue tossiche in fiumi e pozzi, in totale disprezzo delle normative sullo smaltimento dei rifiuti, e così inquinando falde acquifere e terreni agricoli: una delle peggiori catastrofi petrolifere della storia.

Per il disastro ambientale, Texaco-Chevron era stata condannata nel 2011 dalla Corte suprema di giustizia dell’Ecuador al pagamento di un risarcimento di 9,8 miliardi di dollari (successivamente innalzato a 18 miliardi). Ma sette anni dopo la Corte permanente di arbitrato dell’Aja si era pronunciata a favore di Chevron per un presunto caso di corruzione. E intanto, se la compagnia, dopo aver ceduto le attività alla Petroecuador, ha lasciato il Paese senza versare un centesimo, gli indici di povertà delle contaminatissime province amazzoniche produttrici di petrolio oscillano tra il 44% e il 68%.

Ogni tanto, però, le comunità riescono anche a mettere a segno qualche punto. È il ca so, per esempio, della piccola comunità indigena di Sinangoe, nell’Amazzonia ecuadoriana, la cui lotta contro lo sfruttamento minerario ha indotto la giustizia a cancellare, nel 2018, 52 autorizzazioni illegali per l’estrazione di oro concesse dall’ex presidente Lenín Moreno e poi, a febbraio del 2022, a garantire il riconoscimento del diritto alla consultazione previa, libera e informata di tutti i popoli indigeni del Paese. E «non solo – recita la storica sentenza della Corte Suprema – per quei progetti che si trovino nelle terre delle comunità indigene, ma anche per quelli che, benché fuori dalle loro aree, possano danneggiarle in maniera diretta dal punto di vista ambientale o culturale» (un diritto, tuttavia, disatteso nel caso della comunità Cofán Dureno di Sucumbíos).

È una lotta, quella della comunità, che è valsa il conferimento del Premio Goldman 2022, una sorta di Nobel per l’Ambiente, a due giovani leader del popolo indigeno A’i kofan di Sinangoe: Alex Lucitante, portavoce del sapere ancestrale dei taitas (sciamani), e Alexandra Narváez, la prima donna a essersi unita alla Guardia indigena di Sinangoe, incaricata di vigilare il territorio per monitorare e frenare qualsiasi attività illegale. 

*Foto presa da Flick, immagine originale e licenza 

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