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Presidenziali Usa. Verso Trump 2.0?

Presidenziali Usa. Verso Trump 2.0?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 10 del 16/03/2024

Davanti ai supermercati e sui grandi incroci, dove i tempi dei semafori sono più lunghi, nuovi arrivati chiedono l’elemosina. Famigliole intere, con bambini anche piccoli, con i loro cartelli di cartone. Prima nel gelo polare, imbacuccati all’inverosimile, quasi a nascondere le carnagioni “abbronzate” che ora invece si vedono grazie a una primavera fuori stagione. Gente caritatevole porge qualche dollaro dai finestrini o compra cibo nei supermercati e lo porta ai bambini. Ma altri, molti, sono spaventati.

È un fenomeno nuovo, qui. Venezuelani, guatemaltechi – chi lo sa? – sono arrivati in 25mila solo nell’ultimo anno. Alcuni dicono molti di più. La Chicago democratica si è autodefinita “città-rifugio” e allora nel Texas repubblicano li caricano sugli autobus e li spediscono al nord. Vivono in tendopoli, nei giardini pubblici, molti vicino all’Arcivescovado. In fondo sono cattolici. E le chiese li aiutano.

Conosco un piccolo impresario edile. Ci ha raccontato di quando, diciottenne, ha attraversato il deserto. Esperienza spaventosa, da morire nel sole, simile a quella di quanti attraversano il Mediterraneo per entrare in Europa, e muoiono nel mare. Da oltre vent’anni lavora e paga le tasse, ma sin papeles (senza documenti) come molti. Ogni sera guarda sua madre su Skype, lei nel suo villaggio messicano e lui qui, ma non l’ha mai più vista in carne ed ossa, perché se esce dagli Stati Uniti, poi non può più rientrare. E per fortuna qui, nell’Illinois democratico, nessuno ti può chiedere i documenti se non infrangi qualche legge. E lui, Alfredo, le leggi non le infrange. Ha imparato bene l’inglese e parliamo anche di politica. Se mai diventasse cittadino, il suo voto sarebbe democratico. Anche per questo, chi ha veramente il potere osteggia l’integrazione, sua e di quanti come lui porterebbero voti a sinistra.

Ma se Trump ritorna, sarà anche per la presenza di Alfredo e dei nuovi immigrati.

Solo qualche giorno fa, ad un pubblico raduno ampiamente pubblicizzato, Trump ha presentato un quadro postapocalittico degli Stati Uniti (pardon, dell’America) se Biden ottenesse il secondo mandato. In particolare, secondo Trump, il sacro suolo americano sarebbe biblicamente calpestato da un’orda di 40 o 50 milioni di immigrati.

Da lungo tempo taccio, scoraggiato dalla piega (per altro prevedibile e prevista anche su queste pagine) presa dagli eventi. Ora, però, qualcosa bisogna pur dire, prima che le elezioni di novembre ci rovescino addosso i risultati, anche se confesso il mio scoramento.

Checché dicano i giornali filogovernativi, con la sua retorica Donald Trump sta raccogliento simpatie popolari e vincendo in modo travolgente le primarie repubblicane dovunque si tengano. Tutti gli antagonisti repubblicani più titolati si sono ritirati, tranne Nikki Haley, donna d’acciaio, anche lei con mascella quadrata e sorriso spietato, un’altra che vuole “salvare il Paese” (come ripete la sua campagna elettorale). Eppure non riesce ad andare oltre il 25% nelle primarie.

Il Partito Repubblicano sembra sempre più asservito al magnetismo di Trump e alla sua presa populistica, nonché legato agli interessi fianziari e politici di cui Trump si rende garante. Grandi corporations e multimiliardari come individui sono schierati con il GOP e quindi con lui. Che ora, buttatosi con foga nell’agone, guadagna sempre più simpatie, schierandosi anche contro l’aborto tardivo, così da raccattare voti fra cattolici ed evangelici antiabortisti moderati, o criticando la politica democratica a supporto di varie guerre più o meno striscianti sul nostro pianeta. Trump si presenta come l’uomo del dialogo, pronto a sedersi a un tavolo e discutere con russi e cinesi e a portare la pace.

Joe Biden incespica e a volte cade, confonde nazioni e presidenti, legge sui prompt le frasi sbagliate, interrompe le interviste e sbaglia direzione davanti alle telecamere. E tuttavia il Partito Democratico ha fatto il deserto attorno a lui. Così anche Biden, senza alternative, vince le primarie, con voti di contestazione interna che allarmano. Né un’ectoplasmatica Kamala Harris, per quanto donna e scura di pelle, sembra in grado di presentarsi come candidata credibile alla successione presidenziale. Voci circolano che il Partito Democratico voglia portare Biden come candidato unico fino alla Convention, dove lui allora rinuncerebbe alla candidatura per lasciare spazio ad altri. Ma a chi?

Sulla scena ci sarebbe l’ultimo, in ordine di tempo, dei Kennedy, quel Robert Junior che qui tutti ricordano, quattordicenne, al funerale del padre, terzo dei suoi undici figli e parte integrante di quella grande saga familiarmediatica che ancora appassiona molti americani. Si presenta come terzo incomodo, indipendente, a capo di un fantomatico partito, “We the People”. Di lui non si parla. Tacciono i media, se non per dirne male: avverso ai vaccini, complottista senza speranze, untore informatico che diffonde notizie infondate, false, tendenziose. Parla spesso contro le grandi corporations che controllano il Paese, in particolare contro Big Pharma, che impedisce a Medicare, pallida imitazione di una “mutua” pubblica, persino di contrattare i costi delle medicine con i produttori o di importarle dall’estero, dove costano molto di meno. Ecologista a modo suo, ha anche sposato in terze nozze una biondona di attrice che non dimostra i propri anni. E sembra raccogliere consensi soprattutto fra gente giovane e anticonformista. Sondaggi indipendenti lo danno al 20% rispetto a Trump e Biden. Percentuale non sufficiente a portarlo nello studio ovale, ma più che bastante per sottrarre voti agli altri e farne affondare uno.

Al Capone fu incastrato per evasione fiscale. Anche Sun Myung Moon, il quale però ribaltò la fritatta paragonando le sofferenze inflittegli dall’Internal Revenue Service (l’equivalente dell’Agenzia delle Entrate) a quelle subite da Cristo nella sua Passione. Vediamo ora come se la cava Donald Trump, da anni abituato a vivere per i suoi seguaci una vita dai tratti cristici. Al momento, infatti, nonostante tutti i milioni di dollari che dovrebbe pagare a risarcimento danni per truffe fiscali-finanziarie o per gli insulti a una scrittrice da lui violentata molti anni fa; nonostante i divieti a partecipare alle elezioni presidenziali, almeno in alcuni Stati dove ci sono ancora giudici non installati da lui, che ritengono ostativo il suo coinvolgimento nel quasi colpo di Stato e mancata epifania trumpofora del 6 gennaio del ‘21, nonostante tutto, se si votasse oggi, vincerebbe. E a poco serve piangere sul sistema elettorale assurdo, che certamente lo favorisce, costringendo l’avversario democratico a rischiare di perdere anche se ha milioni di voti popolari in più, ma non riesce a conquistare un numero sufficiente di distretti e di “grandi elettori”.

Tristemente, ancora una volta, la vittoria di una destra becera e aggressiva è il risultato dell’incapacità di una sinistra evanescente. I brandelli ideali di quelle che furono le grandi campagne del passato, per i diritti civili, per una maggiore equità sociale, sono soffocati o trasformati in pura retorica da spolverare quando fa comodo; i vertici di un partito, che dovrebbe difendere gli interessi dei deboli in una società in cui la forbice sociale neo- o postcapitalistica (poco conta l’etichetta) sta distruggendo la cosiddetta classe media, si fanno tranquillamente finanziare dai grandi centri di potere economico e intrallazzano pure loro. Il problema è che non si sente più la differenza che dovrebbe esserci fra i due partiti. Né fra i candidati. Trump si porta a casa documenti riservatissimi e pericolosi, ma pure Biden ci casca (ma non viene perseguito perché “se ne era dimenticato”...); i figlioli di Trump ne fanno di tutti i colori e si portano persino a casa dall’estero come trofei i bucranii di animali a rischio di estinzione, ma anche il figliolo sciagurato di Biden incassa contratti internazionali difficilmente giustificabili.

Se tutti “ne fanno più di Bertoldo” – come ebbe a dire a suo tempo un politico italiano che molti ricorderanno – che faremo noi elettori a novembre? Obbligati ancora una volta a turarci il naso? Perché ci riduciamo sempre al ricatto di dover votare per il male minore?

Edmondo Lupieri è professore di Nuovo Testamento e Cristianesimo delle origini alla Loyola University, Chicago. Tra gli ultimi volumi pubblicati in Italia: “I mille volti della Maddalena. Saggi e studi”, Carocci Ed., Roma 2020; “Cronache dal Trumpistan. Diario di un teologo italiano in America”, pref. di Brunetto Salvarani, Di Girolamo, Trapani 2020, in vendita presso Adista

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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