Un segno dalle catacombe
Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 29/06/2024
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Da tanto tempo aspettavamo un segno dai vertici della Chiesa, dopo che nel giugno del 2014 il coordinatore di Noi Siamo Chiesa (NSC) Vittorio Bellavite aveva lanciato un appello che raccoglieva quasi 500 adesioni individuali e quelle di tutte le associazioni e riviste di ispirazione conciliare, «per una migliore conoscenza e per la riabilitazione di Ernesto Buonaiuti». Nella cripta della cattedrale di Bologna, il 3 giugno scorso, è stata celebrata l’eucarestia per ricordarlo, presieduta dal card. Matteo Maria Zuppi con i concelebranti mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo emerito di Campobasso-Boiano, don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale della CEI per i Problemi Sociali e il Lavoro, io stesso, del Coordinamento nazionale di NSC, e il segretario del vescovo Zuppi, don Sebastiano Tori.
L’inizio del rito è stato quanto meno inusuale, però felice. Nella sagrestia ho chiesto a don Matteo di poter fare un breve intervento al termine della celebrazione. La risposta è stata l’invito insistente a intervenire subito, all’inizio della messa. Dopo l’esposizione di cinque punti precisi che più avanti saranno presentati, è scattato un applauso caloroso di tutta l’assemblea al segnale del vescovo Bregantini, che per primo ha iniziato il battimani.
Secondo Seminario nazionale dei preti operai
Per comprendere meglio uno scatto del genere è necessario dire che buona parte dell’assemblea nella mattinata aveva partecipato al Secondo Seminario nazionale dei preti operai, convocato dalla CEI, con il coinvolgimento di suore operaie e di persone amiche, alla presenza del presidente dei vescovi italiani. La riunione di circa sessanta persone ha dato vita a una comunicazione molto calda, umanamente ricchissima, carica di storie vissute. Il saluto che il card. Zuppi ha rivolto non aveva nulla di formale. Dopo aver connesso i pesanti problemi aperti sul fronte del lavoro con la parola della Costituzione italiana, in tre passaggi ha messo in luce l’esemplarità che i preti operai offrono alla Chiesa: lo stile necessario a una pastorale d’ambiente, il valore della professionalità e infine la gratuità di cui deve rivestirsi l’offerta del Vangelo. Don Claudio Suetti, infermiere presso il Centro di cure palliative pediatriche dell’ospedale “Bambino Gesù”, con una serie di slide ha messo in luce quella che papa Francesco chiama la rapidation, l’accelerazione dei ritmi di vita richiesti sul fronte del lavoro come nella vita sociale, con relativi processi di disumanizzazione. Il secondo relatore, Gianni Tognoni, medico ricercatore e segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli, ha riletto la storia dei preti operai come una discontinuità necessaria alla fedeltà.
Cosa quanto mai necessaria alla Chiesa di oggi. Altri interventi hanno insistito sulla necessità che la giustizia, in particolare la giustizia sociale, sia «una dimensione costitutiva della predicazione del vangelo». Si fa riferimento a Gesù di Nazareth con i suoi trent’anni vissuti in perfetta adesione alla condizione di operaio, come ispiratore dei preti operai. Le parole che si sono condivise portavano in sé il tessuto di un’intera vita vissuta per tanti anni con i compagni e le compagne di lavoro. In chiusura don Matteo ha ripreso la parola confermando la necessità della dimensione sociale della giustizia - aspetto sottolineato anche da don Bruno Bignami.
In questo milieu la densità umana ha respirato a pieni polmoni. Ci si è sentiti insieme. Ecco il contesto a monte che ha sollecitato mons. Bregantini a lanciare l’applauso, raccolto immediatamente e con entusiasmo dalla nutrita assemblea presente nella cripta della cattedrale di Bologna.
I cinque punti: una sintesi della figura di Buonaiuti
Questi i cinque punti da me enunciati in apertura della celebrazione eucaristica in memoria di Ernesto Buonaiuti, per tratteggiarne la figura:
1. Giusto europeo tra le Nazioni allo Yad Vashem a Gerusalemme, dove un albero è a lui dedicato. «Chi salva una vita salva il mondo intero» (Talmud). Salvò, nascondendolo a casa sua a Roma, un tredicenne ebreo, Giorgio Castelnuovo, rischiando la propria vita, anche per la notorietà, per essere scomunicato e per avere rifiutato il giuramento al fascismo.
2. Rifiuto del giuramento per motivazioni evangeliche. Nel 1931 il “regime fascista” imponeva ai docenti universitari il giuramento di fedeltà al regime. Al rettore dell'università La Sapienza Buonaiuti scrisse: «A norma delle prescrizioni evangeliche (Mt 5, 34) alle quali, allo stato attuale delle mie disposizioni di spirito, intendo attenermi il più possibile aderente, reputo mi sia vietata qualsiasi forma di giuramento». «Questo so, che io sono perfettamente tranquillo, che anzi sono straordinariamente ilare e lieto, con la coscienza libera e fiera e lieve come se liberata da un incubo e da una minaccia». In contrasto con questa posizione, si legga quanto mons. Tardini nel 1935 scriveva del clero nelle note che passava a papa Pio XI1.
3. Testamento: il perdono a tutti coloro che lo avevano perseguitato. «Posso aver sbagliato. Ma non trovo nella sostanza del mio insegnamento materia a sconfessione o a ritrattazione. E in questa consapevolezza tranquilla, affronto il mistero incombente. A tutti coloro – e sono purtroppo legioni – che hanno ostacolato, non rifuggendo da complicità innaturali, lo spiegamento della mia attività pubblica, perdono».
4. Amore alla Chiesa. Dalla prefazione all’autobiografia di Buonaiuti Pellegrino di Roma. La generazione dell’Esodo: «Mi sono costantemente sforzato di non dimenticare che la Chiesa romana è la mia madre e che le mie parole di rampogna potevano e dovevano sgorgare, sempre e unicamente, dall’amore fin troppo acceso che le ho portato e le porto».
5. Giustizia rispetto al passato. Il nostro impegno per far uscire dall’oblio e dall’abbandono la figura negativizzata di Buonaiuti è ispirata dalla convinzione che la giustizia deve essere esercitata anche sulla memoria. Come scrive J.B. Metz: «Non c’è soltanto una solidarietà “in avanti” con le generazioni future, ma anche una “olidarietà «all’indietro”, con gli ammutoliti dalla morte e con i dimenticati; per essa non c’è soltanto una “rivoluzione in avanti”, ma in certa misura anche una rivoluzione all’indietro, in favore dei morti e delle loro sofferenze» (AA.VV., “Redenzione ed emancipazione”, Giornale di teologia 88, Queriniana 1975, pp. 168-169).
ll futuro della Chiesa è più che mai legato all’esercizio penitenziale della giustizia riguardo al passato. Pensiamo che lo spirito che pervade l’enciclica Fratelli tutti debba investire anche l’intera vicenda del nostro fratello don Ernesto Buonaiuti. Il mio intervento si è chiuso evocando la communio sanctorum, la “comunione dei santi”, una categoria che coinvolge ma sovrasta la nostra condizione storica.
Un evento che indica una discontinuità
Il card. Zuppi nella sua omelia ha riletto e commentato le parole di Buonaiuti sopra citate ai numeri 3. e 4., quelle del testamento e dell’amore alla Chiesa. Poi ha insistito sul compito di approfondire culturalmente e teologicamente la figura di Ernesto Buonaiuti. Durante la preghiera del canone è stato lasciato a me il suo ricordo, con l’invocazione di «renderlo partecipe della sua (di Cristo) resurrezione». Alla celebrazione erano presenti anche il nipote e il pronipote.
“Un segno dalle catacombe” è il titolo che abbiamo dato a queste pagine (in fondo la cripta si prestava bene come contesto adeguato). Evoca il silenzio che ha circondato questo evento a cui attribuiamo un valore grande. Per NSC rappresenta un passaggio importante in ordine alla piena riabilitazione di questo nostro fratello nella fede, che rimane il nostro obiettivo. Perché questo evento è stato circondato di silenzio? Non siamo in grado di dare una spiegazione, però accenniamo a un ambiente tossico che rumoreggia sui social, con una militanza anticonciliare, politicamente schierata a destra. Nonostante il silenzio, alcune testate ultraconservatrici sono perfettamente informate ed esercitano un killeraggio da cecchini. Qualche esempio: «25 maggio: La curia arcivescovile di Bologna a seguito di alcune polemiche sorte in margine alla commemorazione che si terrà il 3 giugno veniente, ha precisato stamane che dopo Buonaiuti, l’Em.mo Cardinale arcivescovo Zuppi ricorderà in altrettante “celebrazioni eucaristiche” Simon Mago, il conte Cagliostro, Landrù e il mostro della Salaria». E ancora: «Innanzitutto la celebrazione dovrebbe essere per la salvezza della sua anima, che come minimo sarà per qualche migliaio di anni nel purgatorio, sempre che da scomunicato non sia finito dritto agli inferi». E c’è anche di peggio. Sono minoranze rumorose, ma che godono di informazioni di prima mano e ricamano tessiture false e in fondo stupide, che però di fatto possono interferire sulle persone prese a bersaglio, ostacolando i processi di rinnovamento. Un proverbio russo dice: «Una goccia di catrame rovina un barile di miele». Questo è lo stile. Ecco, noi arriviamo fin qui. Certo avremmo desiderato che quanto è avvenuto il 3 giugno scorso nella cripta della cattedrale di Bologna, che oggettivamente segna una discontinuità rispetto al passato, avesse una diversa pubblica presentazione.
Comunque noi ripartiamo da questo evento e proseguiamo «per una migliore conoscenza e per la riabilitazione di Buonaiuti». Dopo aver concorso alla ristampa del suo libro La Chiesa romana, che abbiamo presentato pubblicamente, ora è in cantiere una nuova ristampa. Inoltre è in programma un’intera giornata a lui dedicata. Si terrà Il prossimo 23 novembre all’Università “la Sapienza” di Roma, dove ha svolto il suo ministero come docente.
Note
1. «Sembra che in Italia tutti han perduto la testa. I Capi conducono ciecamente il Paese verso la rovina, mettendolo contro tutto il mondo. Il popolo si esalta al pensiero della guerra e, educato alla violenza, pensa di poter vincere tutto il mondo. E il clero? Questo è il disastro più grande. Il clero deve essere calmo, disciplinato, obbediente ai richiami della Patria; è chiaro. Ma invece questa volta è tumultuoso, esaltato, guerrafondaio. Almeno si salvassero i Vescovi. Niente affatto. Più verbosi, più eccitati, più... squilibrati di tutti. Offrono oro, argento puri: anelli, catene, croci, orologi, sterline. E parlano di civiltà, di religione, di missione dell’Italia in Africa... E intanto l’Italia si prepara a mitragliare, a cannoneggiare migliaia e migliaia di Etiopi, rei di difendere casa loro... Difficilmente poteva compiersi nelle file del clero un confusionismo, uno sbandamento, un disquilibrio più gravi e più pericolosi... E non è in parte una conseguenza della Conciliazione? Senza di questa il clero non avrebbe preso l’atteggiamento di oggi». (L. Ceci, “Il fasicsmo manda l'Italia in rovina. Le note inedite di monsignor Domenico Tardini (23 settembre-13 dicembre 1935)”, in Rivista Storica Italiana, Napoli 2008, pp. 313-367).
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