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La libertà relativa in un sistema teleguidato

La libertà relativa in un sistema teleguidato

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 14/09/2024

Ferragosto 2024, 38°C anche nei Parchi. A sera il verde procura ristoro, dopo cena si esce volentieri, non c’è nessuno, vicino al fiume. Appoggiata a un muretto, una ragazza – top scollato, calzoncini – fuma una sigaretta e canta. Come mai, se si profila un uomo che si avvicina e rallenta, lei smette di cantare? Se sul ponte cantasse e fumasse “un ragazzo” lo scenario cambierebbe: lui è un uomo, libero. Fine del quadro ambientale. Però all’altro capo si può arrivare al femminicidio.

Il femminismo storico – quello che è passato dall’idea della differenza sessuale di Luisa Muraro al Manifesto Cyborg di Donna Haraway e alla trasversalità dei nuovi gruppi – ha posto molti semi, ma non è mai riuscito a esprimere una politica di genere a presidio della libertà femminile sul piatto del potere. Che è l’arma dell’egoismo proprietario che ha informato tutti i sistemi. Non si dice, ma si sa bene che la riproduzione è il potere più grande di tutti, che le donne non hanno mai rivendicato. Intenderebbero, semplicemente, cambiare il potere esistente. Che non fa bene a nessuno, che agli uomini può costare la vita in guerra, ma che piace.

Le generazioni succedutesi nel capitalismo moderno sono rimaste segnate dagli stigmi patriarcali originari: uomini e donne debbono ancora lottare contro disuguaglianze e conflitti, privatizzazioni, diritti negati alla sanità e alla scuola, agli stranieri, ai più vulnerabili, ai giovani che senza diritti futuri dovrebbero fare figli per pagare le pensioni dei nonni. Per le donne, in aggiunta, ostacoli alle carriere, squilibri salariali, la famiglia, i ricatti, le molestie. Il corpo resta “merce”, oggetto di mercato, sopravvive la prostituzione, cresce la violenza sessuale e domestica. Per finire, le nuove tecnologie e l’IA tentano di abusare del neutro escludente.

Le donne si fanno sentire, a partire dal Sud dei Paesi poveri: i problemi sono gli stessi. Nel Nord ricco, partiti e sindacati oggi parlano ai lavoratori “e alle lavoratrici”, ma l’organizzazione sociale e la stessa polis – che sono comuni a tutti – non possono restare neutri. La vecchia “forma/partito” non ha mai scelto gli obiettivi a misura di accordi “di genere”: oggi nulla è cambiato e neppure le donne, quando diventano leader, sentono il bisogno di ottenere il consenso del 52% dell’elettorato che è donna e ha i loro stessi interessi. Peccato che l’istituzione sia segnata dal “modello unico”. Le francesi si sono trovate l’aborto scritto in Costituzione, ma la violenza sessuale senza consenso non è diventata reato di stupro per tutta l’Europa, perché negato dal loro governo: i maschi facciano come credono e le signore si rivolgano alla Costituzione. Così succede che le donne della République – a cui batte lo stesso cuore dei compagni cantando la Marsigliese – lavorano per Macron o Mélanchon senza alcun confronto sugli interessi femminili. E l’Europa delle patrie seduce le nazionaliste, anche loro, poverette, fiduciose in una nazione che – basta l’etimologia: dal latino natio, nascita – nasce dai loro corpi, forniti di volontà non sempre libera.

Eppure la libertà ha fatto la storia dei diritti democratici dell’Occidente, sempre strumentalizzati dai poteri economici che hanno perfino finalizzato la guerra al profitto delle armi: pazienza se uccidono, devastano l’ambiente, impoveriscono chi lavora e producono inflazione. Solo che, ormai, la gente, esausta, sta abbandonando il potere democratico del voto con cui difende i propri interessi e il “suo” libero Parlamento. Paola Cortellesi, con un film di successo, ha invitato a ricordare che «c’è ancora domani»: le donne che avevano vissuto la discriminazione di genere ai tempi del fascismo – che le voleva madri di carne da fabbrica o da cannone – non potevano immaginare che “la parità” si sarebbe così evoluta da vedere l’Italia governata da due donne. Giorgia Meloni è l’erede di quella dittatura ed è capo del governo, Elly Schlein è capo dell’altro potere che è, secondo democrazia, l’opposizione, purtroppo come sempre divisa: in veste femminile, confermano il modello unico. Che sembra neutro ed è tranquillamente maschile, gerarchico, patriarcale. Altre donne in Europa sono capi di Stato o di governo e la Commissaria Ursula von der Leyen forse è contenta di essere considerata “come un uomo”. Saranno dunque le stesse donne a ritrasmettere il patriarcato?

L’antropologia ha aiutato a capire l’evoluzione e l’invenzione dei ruoli sociali: la femmina delle origini aveva gli stessi problemi di sopravvivenza del maschio con il quale aveva rapporti, alcuni per lei gradevoli, altri molesti (e probabilmente se ne liberava); solo da lei nascevano piccoli esseri che solo lei poteva allattare.

Per questo, per un po’, fu sacralizzata, poi il maschio comprese che la cosa lo riguardava, rifiutò la cooperazione e, stabilito che “questa donna è mia”, “questi figli sono miei”, inventò la famiglia, a carico della sua compagna. Il Diritto romano – fonte della giurisprudenza occidentale – attestava che la familia, comprensiva anche dei servi privi di diritti, era “proprietà” del “capofamiglia”, titolare del patrimonium. Alle donne, non necessariamente tutte subalterne, spettava il matrimonium, con qualche complicazione di latente libertà femminile: quando le spese di guerra indussero il Senato a chiedere alle matrone la consegna dei gioielli, le brave signore si ribellarono, difese in aula da Ortensia, figlia del più celebre Ortensio, con l’argomentazione che, «se lo Stato non dava alle donne le cariche pubbliche, il sacerdozio, l’autonomia, loro si tenevano i loro ori».

Era strana la procedura per il riconoscimento dei figli: solo un pensiero maschile poteva imporlo su base gerarchica e discriminatoria: “legittimi” (i bastardi potevano continuare a stare “in famiglia”), “primogeniti” (a prescindere da ogni validità) e, in particolare, “maschi”, anche se le bambine erano le cocche del babbo che, poi le dava in sposa contro il loro volere. A nessuna donna poteva venire in mente questa classificazione, che tuttavia fece e, poiché mater semper certa, pater un po’ meno, l’adulterio è stato in Italia “reato solo per la donna” fino al 1969. Sempre, comunque, in ogni epoca aleggiava il fantasma di Filomena Marturano: i figli son piezz’e core.

Le religioni monoteistiche consacrarono il patriarcato: per quanto se ne sa, anche nelle lingue che posseggono il neutro il nome di Dio è sempre maschile e contro la barriera del linguaggio – che è fondativo – le donne non hanno avuto rimedio. Infatti le Chiese, mentre benedicevano il sangue degli eroi di guerra, aborrivano il sangue femminile e vietarono alle donne di toccare l’altare. L’Olimpo pagano era stato paritario, ma Zeus si era definito padre e re degli uomini e degli dei. Oggi ai cristiani dovrebbe essere chiaro che “fanno peccato” se non riconoscono la dignità autonoma delle donne e non liberano la fede dal sessismo.

La Bibbia ha opposto alla lettura della creazione dell’essere umano, uomo e donna, a sua immagine e somiglianza, che invita a partire dal Due e non dall’Uno aristotelico, la lettura jhavista che fa uscire Eva dalla costola di Adamo (che sarebbe pur sempre materiale biologico, meglio del fango). Ma i Vangeli mostrano che il Maestro evitava i peccati “originali” e consegnava il messaggio teologico più alto alla samaritana.

Papa Francesco – nelle contraddizioni (volute) di una prudenza eccessiva sulle riforme (sicuramente giudicate eretiche dai nemici che ha in casa) – rinvia instancabilmente la questione della parità all’altare. Che comunque non trova le cattoliche concordi: la crisi del presbiterato non rende ansiose di diventare “questo” prete neppure le aspiranti al diaconato (si contentino del lettorato e pretendano di tenere l’omelia!), mentre tutte sono critiche sia della consacrazione maschile, offensiva nei confronti delle consacrate che hanno pronunciato gli stessi voti, sia dello stesso celibato originato dal ripudio del femminile.

Eppure, nonostante le trasformazioni sistemiche rilevanti, la libertà oggi non è così amata né dagli uomini né dalle donne che – entrambi indifferenti, passivi, forse ignari – la mettono a rischio se, dopo aver lavorato tutto il giorno al computer, la sera si fanno un gioco elettronico o si perdono nella chat e nei social, incuranti dei dati personali ceduti, del tributo regalato alle multinazionali della comunicazione, degli imput occulti ricevuti e subiti.

Una libertà non astratta implica interesse, partecipazione, ma anche politiche all’altezza dei desideri umani il cui benessere non è il consumismo, non è l’aumento delle disuguaglianze, non è la guerra. Dipenderà dalla volontà umana, se l’IA darà a uomini e donne del futuro maggior libertà e creatività o li renderà insensibili componenti di un sistema teleguidato. Per fortuna ci sarà sempre chi non si sottomette e i giovani vorranno vedere che cosa c’è davvero dentro le macchine e, senza spaccarle, capiranno che bisogna tornare a fare i conti con “il sistema” che trova sempre i poteri forti pronti, in qualunque fase dell’evoluzione, a insidiare i diritti del popolo – cioè i loro diritti di uomini e di donne – e romperanno le scatole. 

Giancarla Codrignani è attivista femminista, per la pace e per la laicità. Giornalista, scrittrice, già parlamentare della Sinistra Indipendente.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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