Nel mondo, 91 miliardi di euro per le armi nucleari: una settimana di mobilitazioni
È iniziata ieri l’annuale settimana di azione globale contro le armi nucleari, con eventi e attività – anche in Italia grazie all’impegno di Rete italiana Pace e Disarmo e della campagna Senzatomica! – per denunciare lo spreco di 91 miliardi di dollari investiti per la gestione, l’ammodernamento e l’aumento di ordigni di distruzione di massa che, al contrario, società civili e numerosi governi stanno cercando di mettere definitivamente al bando promuovendo l’adesione al Trattato TPNW. La settimana, quest’anno dal titolo “No money for nuclear weapons! Niente soldi per le armi nucleari”, è promossa dalla International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN), insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2017, per diffondere una cultura della pace e per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su «quanto sia inaccettabile sperperare oltre 91 miliardi di dollari all’anno per mantenere arsenali di armi di distruzione di massa».
I dati sono forniti dalla stessa Campagna ICAN, che ha recentemente diffuso il report “Surge: 2023 Global nuclear weapons spending”. Con un incremento di 10,7 miliardi di dollari in più rispetto all’anno precedente, nel 2023 i Paesi detentori di armi atomiche (in ordine alfabetico Cina, Corea del Nord, Francia, India, Israele, Pakistan, Russia, Regno Unito, Usa) hanno speso complessivamente 91.4 miliardi dollari per mantenere o rinnovare i loro arsenali nucleari. A conti fatti la cifra ammonta a 173.884 dollari al minuto, o a 2.898 dollari al secondo (v. Adista Notizie n. 24/24).
Un così alto bilancio di spesa pubblica, dilapidato per le armi nucleari, potrebbe essere investito in iniziative ben più utili per l’economia e per la società. Per esempio, si legge nella nota della Rete italiana Pace e Disarmo del 13 settembre, «con un anno di spesa per le armi nucleari si potrebbe convertire più di 16,5 milioni di case all’energia solare; assicurare un anno di acqua pulita e servizi igienici a 1,2 miliardi di persone; assumere 1,5 milioni di insegnanti di scienze nelle scuole superiori; vaccinare 2 miliardi di persone contro il coronavirus; pagare un terzo dei costi per l’adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo».
Spiega la Rete che la Settimana di azione globale si pone proprio l’obiettivo di «diffondere queste informazioni e soprattutto far sentire la voce di chi si oppone al mantenimento (anzi, all’ampliamento) degli arsenali nucleari». La spesa militare, e in particolare quella per il nucleare, riguarda la vita di tutti i cittadini dei Paesi coinvolti, «per cui spetta a tutti noi reagire alle assurde somme di denaro sprecate per costruirle e mantenerle». E la questione non è solo di finanza pubblica ma anche etica, spiega la Rete: «Le armi nucleari sono gli unici dispositivi mai creati che hanno la capacità di distruggere tutte le forme di vita complesse sulla Terra. Basterebbe meno dello 0,1% della potenza esplosiva dell’attuale arsenale nucleare globale per provocare un devastante collasso agricolo e una carestia diffusa». Sembra dunque paradossale e assurdo che gli Stati spostino risorse pubbliche da settori come la sanità – peraltro sempre in crisi un po’ ovunque – a ordigni che invece sono letali oppure «producono conseguenze sulla salute che si estendono per generazioni».
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