
Deportazioni. Brasile e America Latina oggi
(dalla corrispondente, San Paolo, Brasile) Il 5 gennaio 2025 l’interprete Fernanda Torres del film brasiliano Ainda estou aqui / Sono ancora qui del regista Walter Salles riceveva il premio internazionale dei Globi d’oro come migliore attrice di cinema/dramma. Al di là del significato economico e culturale del riconoscimento, questa premiazione ha una importanza politica per la Federazione brasiliana. Infatti il film ha riportato all’attenzione pubblica una pagina della dittatura militare (1964-1985), l’arresto e la scomparsa nel gennaio 1971 del deputato cassato Rubens Paiva del PDT/Partito Trabalhista Brasileiro e l’instancabile azione dei famigliari e dei comitati degli scomparsi che fino ad oggi e fino a domani non rinunciano a imporre allo Stato di assumere la responsabilità dei crimini perpetrati e a continuare a cercare e trovare i resti mortali. Attraverso un caso singolo, dunque, si riporta alla distratta memoria collettiva la devastazione prodotta dalla lunga dittatura militare e questo in un momento in cui destra e militari, che non accettano né rispettano la Costituzione del 1988, intendono rialzare la testa sia con colpi di Sato (8 gennaio 2023), sia arrogandosi privilegi non giustificati (opposizione alle riforme tributarie e pensionistiche).
Per il resto in questo inizio di anno i problemi sul tappeto nel Paese sono la riforma tributaria che il governo (o almeno una parte di esso) vuole portare a termine fra mille ricatti; è un punto di scontro di classe duro, ma esso non è sostenuto da una necessaria lotta che mobiliti la società e rimane quindi nelle stanze parlamentari in cui la destra prevale. Crea molta preoccupazione l’emergere di una infiltrazione significativa della criminalità organizzata nelle forze di polizia, l’aumento del prezzo degli alimenti, l’altissimo numero di focolai di incendio che ha caratterizzato il 2024 in Amazzonia e nel cerrado. Tutto questo riduce i margini di consenso del governo mentre le reti sociali di destra, estrema destra, evangelicali ecc. lavorano senza sosta e con competenza nella loro opera antisociale di moltiplicare informazioni deformate. Continua l’azione giudiziaria relativa al colpo di Stato dell’8 gennaio 2023, avvicinandosi a quello che si profila come il nucleo dirigente dello stesso, mentre nel parlamento gruppi presentano proposte di improbabile amnistia.
Ma nel gennaio 2025 l’urgenza maggiore, che non riguarda solo il Brasile, ma l’insieme di America Latina, concerne la deportazione di massa degli immigrati irregolari scaricati con decisione unilaterale fuori dai confini statunitensi decisa e attivata con grande rapidità dalla amministrazione Trump. All’interno degli USA gli arresti sono brutali e con invasione di spazi tradizionalmente di rifugio come gli edifici religiosi. Questo crea gravi difficoltà ai singoli paesi iberici e intralcia le relazioni regionali negli organismi di coordinamento come la Celac/ Comunidade dos Estados Latinoamericanos e Caribenhos che ha convocato una riunione di emergenza. Sebbene lo stato più frontalmente colpito sia il Messico, tutti gli Stati sono coinvolti. La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha preso alcune misure, chiudendo le frontiere e accettando l’accesso dei soli cittadini del Paese, contestando l’uso di aerei militari e attivando contatti con capi dell’esecutivo del continente ed in particolare con Lula. Ha anche ricordato a Trump che il nome Golfo del Messico (modificato in Golfo dell’America in Google) deriva dalle norme del diritto del mare che collega denominazioni e geologia, in questo caso la piattaforma continentale. Il presidente colombiano Gustavo Petro ha assunto posizione ferma impedendo l’atterraggio di aerei militari e, dopo momenti di reciproche minacce di vario tipo con l’amministrazione statunitense (dazi, blocco dei visti ecc.), trattando le condizioni dei rimpatri (ad es. impedendo le manette, le catene ai piedi e altro) (v. anche l'articolo di Claudia Fanti su il manifesto, ndr). Il Brasile cerca di aprire vie diplomatiche.
Quello che, almeno fino ad ora si nota, è un pusillanime silenzio internazionale delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, del Gruppo di esperti sulla Standardizzazione dei Nomi Geografici GENUNG/UNGEGN, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni OIM ecc. ecc. Certo la deportazione è nel codice genetico della modernità dell’Occidente dalla tratta in avanti, il disprezzo per i trattati internazionali sottoscritti è ormai fatto banale, ma il processo in corso ha qualche cosa di nuovo nella sua impudicizia e ostentazione, indica un lungo passo sulla strada del caos volutamente costruito per imporre i propri interessi. Far finta di niente non è una buona idea, meglio leggere e rileggere la lontana e sempre viva voce profetica del pastore Martin Niemöller: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare» (1946, ma la data è dubbia).
*Foto ritagliata di Gage Skidmore tratta da Flickr
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