
Senz'acqua, senza aiuti e a rischio epidemie: appello di Oxfam per Gaza
In una nota di questa mattina, l’organizzazione umanitaria Oxfam Italia denuncia la situazione a Rafah e nel governatorato di Gaza Nord, quasi completamente raso al suolo e diventato invivibile per la popolazione. Secondo l’associazione, a differenza di altre zone della Striscia, dove acqua e aiuti tornano lentamente a disposizione della popolazione stremata, a Gaza Nord e Rafah la situazione «resta disperata»: Con la distruzione delle infrastrutture e lo stop degli aiuti, «il conflitto ha ridotto la disponibilità idrica del 93%».
Secondo Oxfam i bombardamenti israeliani «hanno distrutto 1.700 chilometri di reti idriche e igienico-sanitarie, ma Israele continua a bloccare l’ingresso dei materiali necessari alle riparazioni da cui dipende la sopravvivenza della popolazione».
Secondo Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia, «mentre il fragile cessate il fuoco in vigore resta in bilico, le parti in conflitto e la comunità internazionale devono avere ben chiaro che qualsiasi nuova escalation del conflitto potrebbe generare una catastrofe sanitaria su vasta scala. Nelle aree di Gaza Nord e Rafah le persone devono sopravvivere con appena 5,7 litri di acqua a testa, ossia quanto noi ne consumiamo in meno di un minuto facendo la doccia o tirando una sola volta lo scarico del bagno. In tale condizione il rischio di epidemie è altissimo. Le storie che ascoltiamo ogni giorno soccorrendo la popolazione sono strazianti: bambini che devono camminare per chilometri per raccogliere una tanica d’acqua, genitori che non bevono per dissetare i figli...».
Dall’inizio del conflitto il 7 ottobre 2023, a Gaza Nord «quasi tutti i pozzi d'acqua sono stati distrutti dall'esercito israeliano», ma la situazione non è ottimistica nemmeno sul resto del territorio della Striscia: «Oltre l'80% delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie in tutta la Striscia sono state parzialmente o interamente distrutte», afferma Oxfam; «l’85% delle stazioni di pompaggio delle acque reflue (73 su 84) e delle reti sono state distrutte»; «l’85% dei piccoli impianti di desalinizzazione dell’acqua in funzione prima del conflitto (85 su 103) sono stati parzialmente danneggiati o completamente distrutti»; «Il 67% dei 368 pozzi comunali è stato distrutto». La grave carenza di acqua pulita, insieme alla cattiva gestione delle acque reflue, «sta aumentando il rischio di una catastrofe sanitaria in tutta Gaza», provocata dalla diffusione di malattie infettive.
«Siamo di fronte a un mix letale che sta creando tutti i presupposti per lo scoppio di nuove epidemie», denuncia ancora Pezzati. «Anche se c’è stato un aumento degli aiuti dopo il cessate il fuoco, Israele continua a impedire l’ingresso dei materiali necessari ad avviare la ricostruzione, a partire dalle tubature e dai generatori che consentirebbero di garantire l’accesso all’acqua pulita alla popolazione. Ad esempio, ci è stato impedito per 6 mesi di far entrare a Gaza 85 tonnellate di tubature e serbatoi per l'acqua (per un valore di oltre 480.000 dollari) perché la fornitura era ritenuta “sovradimensionata” e gli articoli catalogati come a “doppio uso”, ossia potenzialmente utilizzabili anche per scopi militari. Le autorità israeliane hanno finalmente approvato la spedizione solo questa settimana, anche se deve ancora arrivare a destinazione».
In chiusura Pezzati lancia un «appello urgente affinché il cessate il fuoco sia mantenuto in vigore e sia resa possibile al più presto la ricostruzione delle infrastrutture essenziali, consentendo l’ingresso degli aiuti necessari ad accompagnare la popolazione di Gaza verso un po' di normalità. Verso una pace duratura e giusta sia per i palestinesi che per gli israeliani».
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