
Profezia
Tratto da: Adista Documenti n° 19 del 17/05/2025
Qui l'introduzione a questo testo.
Biblicamente profetico
Il tempo presente richiede un papa profetico, che pratichi lo stile dei profeti anticotestamentari. Purtroppo, la profezia non può non essere scomoda. Non può non urtare i disegni umani. I profeti che si presentano ai capi di Israele o che si rivolgono al popolo dicono cose spesso sgradite e, soprattutto, non enunciano princìpi generali, ma parlano di fatti concreti. Si pronunciano su quanto accade, su cosa si sceglie e su come si agisce in una determinata situazione. Parlano nella e della storia, senza farsi imprigionare dalle logiche cogenti del momento, dal senso dell’opportunità. Introducono il punto di vista di Dio laddove gli uomini ragionano secondo categorie mondane che spesso, paradossalmente, appaiono più “sagge”, più “equilibrate”, meno sconvolgenti. Quando Isaia critica certe alleanze con gli stranieri, quando Geremia subisce l’ostracismo a causa del suo parlare o quando Amos mette in guardia contro le ingiustizie perpetrate da ricchi e potenti, il loro parlare non può non contrastare e il loro linguaggio non può dirsi tenero. Proprio Gesù avverte che la vera profezia è segno di contraddizione: «Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché i padri loro facevano lo stesso con i falsi profeti» (Lc 6,26).
Sarebbe, in questa chiave, un fraintendimento parlare di Francesco come di un papa divisivo e auspicare conseguentemente l’avvento di un papa mediatore: «Non pensate che io sia venuto a metter pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada […] e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua» (Mt 10,34.36). Con questa affermazione il profeta Gesù non invita certo alla guerra, ma ci avverte che la sua parola e la nostra sequela non compongono facili e tranquillizzanti irenismi, soprattutto fra “quelli di casa”. Troppo semplicistico e ingiusto, infatti, sarebbe dividere il mondo in “quelli di dentro” che seguono la retta via e in “quelli di fuori” che camminano sulla strada sbagliata.
Eb 4,12 dice che «la parola di Dio è vivente e efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla». Questa Parola che divide come spada affilata, ma non fa violenza alla stregua delle spade e delle armi inventate e usate dagli esseri umani, è quella parola profetica di cui abbiamo assoluto bisogno e che sta al cuore del ministero di Pietro.
Una profezia che chiama per nome i mali della storia
Una parola profetica che si propone come critica del reale guarda ai mali concreti. Nell’omelia dell’1 gennaio 1968 per la I Giornata mondiale per la pace l’arcivescovo di Bologna, il cardinal Giacomo Lercaro, affermò: «La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia»1.
Queste parole, pronunciate nel contesto della guerra in Vietnam, ancor prima degli eccidi compiuti dai soldati degli Stati Uniti come quello di My Lai e della conoscenza dell’uso dell’agente arancio da parte dello stesso esercito, negavano giustificazione sia alla cosiddetta dottrina della “guerra giusta” sia al principio di equidistanza che ha costituito per molto tempo l’ispirazione di una spiritualità che, pur con buone intenzioni, rischiava di scivolare nell’indifferenza anche di fronte al male assoluto della guerra.
Ancora oggi l’indifferenza resta la più subdola delle tentazioni, contro la quale la forza dirimente della profezia dimostra quanto sia necessario schierarsi con le vittime di ogni guerra e di ogni persecuzione, con i calpestati da ogni potere inteso come dominio e contro produttori e commercianti di armi. La profezia poggia sulla parresia: restituisce a ogni azione il proprio nome, senza eufemismi e calcolate diplomazie. Papa Francesco ha ispirato alla profezia tutto il suo magistero, fatto di azioni, di parole e di scritti2. Chiunque sarà il suo successore potrà trovare in Evangelii gaudium un testo di ispirazione profetica per la Chiesa del XXI secolo, raccogliendo l’invito a dire no alla mondanità spirituale alimentata da gnosticismo e neopelagianesimo (cf. EG 94) che conducono alla perdita di «contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele» (cf. EG 96). Infatti nessuna autentica profezia può prescindere dalla realtà, la quale spesso è accuratamente evitata con mille pretesti, per garantirsi l’immobilità e il non coinvolgimento. La profezia non scansa la realtà, ma la assume su di sé rinunciando ad ogni garanzia e privilegio. Una profezia che è innanzitutto richiesta ripetuta di giustizia e di vita lì dove esse sono negate, come, per esempio, nella deportazione di esseri umani:
Sto seguendo da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità3.
Una richiesta che prende le distanze da antiche e nuove forme di dipendenza delle Chiese dal potere politico, rompendo i regimi delle vecchie alleanze, delle pericolose complicità e del collateralismo. Come sostiene Matteo Prodi sviluppando Gaudium et spes 76, «la profezia della Chiesa ha autorevolezza solo se slegata dai potenti della terra»4. Profezia come smascheramento della mondanità spirituale, con la sua pretesa unanimità che tranquillizza molti cattolici:
Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza. Ha ripiegato il riferimento del cuore all’orizzonte chiuso della sua immanenza e dei suoi interessi e, come conseguenza di ciò, non impara dai propri peccati né è autenticamente aperto al perdono. È una tremenda corruzione con apparenza di bene. Bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri (EG 97).
Senza paura nella scia del concilio
Sono scelte da compiere, per il futuro del papato, della Chiesa e dell’umanità. Le conseguenze di questa profezia sul mondo – dobbiamo esserne consapevoli – sono quelle forme di martirio di cui la storia della Chiesa già ci ha offerto ampia, quanto sovente poco conosciuta e talvolta rimossa, testimonianza. Il martirio mina alla radice le alleanze con ogni potere rinunciando a beneficenze e concessioni, ma anche al calcolo che sembra appoggiarsi più sull’editto di Tessalonica o sulla logica del concordato di Terracina che sulla fede nella forza nonviolenta e liberatrice di Cristo.
Di questo impegno prioritario era consapevole papa Giovanni XXIII quando, l’11 settembre del 1962, a un mese dall’avvio del Concilio Vaticano II, affermò: «Di fronte ai Paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri»5.
Si tratta di una dimensione non aggiuntiva ma costitutiva, diremmo l’unica a rendere la profezia possibile. Lo compresero anche i padri conciliari quando il 20 ottobre dello stesso anno mandarono un messaggio al mondo intero:
Rivolgiamo continuamente il nostro animo verso tutte le angosce che affliggono oggi gli uomini; perciò innanzi tutto le nostre premure si volgono verso i più umili, i più poveri, i più deboli; sull’esempio di Cristo sentiamo pietà per la folla che soffre la fame, la miseria e l’ignoranza; costantemente rivolti verso coloro che, sprovvisti degli aiuti necessari, non sono pervenuti a un modo di vita degno. Per questi motivi nello svolgimento dei nostri lavori terremo in gran conto tutto quello che compete la dignità dell’uomo e quello che contribuisce alla vera fraternità dei popoli6.
Quelle dichiarazioni trovarono sviluppo nei lavori del gruppo del Collegio belga “Gesù, la Chiesa e i poveri” e nel conseguente Patto delle catacombe, il cui testo Hélder Câmara definì lo “schema XIV” del Vaticano II. Esso rappresenta una profezia che non ha trovato a oggi pieno compimento e i cui temi papa Francesco ha indirettamente più volte rilanciato sia nel discorso degli auguri natalizi alla curia del 20147, sia nei discorsi ai movimenti popolari, sia nelle due encicliche Fratelli tutti e Laudato si’, sia in azioni di condivisione profonda con i poveri.
È da lì che la Chiesa deve ancora ripartire, certa che per mantenere lo spirito di profezia occorre parlare dalla «cattedra ineccepibile che è la povertà. Unica cattedra da cui si potrebbe ancora dire al mondo sociale e politico qualche parola nostra in cui nessuno ci abbia preceduto né ci potrebbe precedere»8.
Note
1. G. Lercaro, Non la neutralità ma la profezia, Zikkaron, Marzabotto 2018.
2. È totalmente sbagliato – sia detto per inciso – sostenere che Francesco ci avrebbe lasciato «più gesti che testi», come si leggeva all’indomani della sua morte in alcune banali interviste e “sintesi” giornalistiche.
3. Francesco, “Lettera ai vescovi degli Stati Uniti”, 10 febbraio 2025.
4. M. Prodi, “Profezia e scelte concrete. ‘La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male’: sfide urgenti”, in Istituto di Storia del cristianesimo “C. Naro” (ed.), Mediterraneo di Pace, il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2025, 33.
5. Giovanni XXIII, “Ecclesia Christi lumen gentium”, in Id., Discorsi, Messaggi, Colloqui, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1963, IV, 524.
6. “Patres Concilii ad universos homines”, in Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani apparando, I/1, 230-232.
7. Cf. A. Carfora - S. Tanzarella, Il cristiano tra potere e mondanità. 15 malattie secondo papa Francesco, il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2015, 402.
8. L. Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1958, 202.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!