
Mons. Savino: votare al referendum è «un atto di resistenza civile alla logica della rassegnazione»
ROMA-ADISTA. «Mi piace guardare al referendum come a una scuola di partecipazione e di cittadinanza. Per questo parlare di astensione mi sembra un paradosso». Lo dice mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio e vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, intervisto da Famiglia Cristiana all’indomani del Consiglio permanente della Cei di fine maggio (v. Adista Notizie n. 22/25).
«Ritengo che il referendum abbia un valore civico enorme, non solo per il contenuto specifico dei quesiti, ma per il fatto stesso che chiama i cittadini a esercitare un potere sovrano. Non votare, a mio avviso, significa rinunciare a un'occasione di riappropriazione del proprio ruolo», ha dice ancora Savino, che non entra nel merito dei quesiti, ma indica alcuni elementi di discernimento. «Per quanto riguarda la cittadinanza, che significa passare dai dieci ai cinque anni per ottenerla mi sembra che occorre una riforma complessiva. Al momento la questione viene affrontata con un approccio securitario, di pregiudizio nei confronti delle nostre sorelle e dei nostri fratelli migranti, che sono, invece, una risorsa, un capitale umano. Vengo dalla scuola di don Tonino Bello che mi ha educato alla convivialità delle differenze, laddove la differenza evidentemente è una risorsa e non un problema. Parlo di diversità di ogni tipo e di ogni genere. Il mio presupposto, dunque, prima di votare, è di riflettere e documentarsi. Qui non si toccano questioni dogmatiche, che investono la nostra professione di fede, ma sono quesiti importanti per il nostro essere cittadini. Si tratta della dignità del lavoro, della sicurezza sul lavoro, dei nostri fratelli migranti. E allora non entro nel merito di quello che ciascuno vuole votare, ma, ripeto, penso che il referendum è non solo un diritto, ma è un atto di resistenza civile alla logica della rassegnazione, un gesto di cura per la democrazia. Un affare che riguarda tutti».
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