
Un pessimista con speranza
Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 21/06/2025
Qui l'introduzione a questo testo.
Quali sono le tue prime impressioni sul nuovo papa?
Non ci si può fare ancora un'opinione chiara su Leone XIV: la sua identità come papa è ancora in costruzione. Io penso che sia un moderato, ma non è chiaro se guarderà più a destra o più a sinistra. Tutta questa enfasi che pone sulle questioni dell'unità e della verità, però, mi fa un po' paura: si tratta di due temi fortemente manipolabili. Non a caso, i gruppi della destra cattolica in Brasile sono contenti per la sua elezione, perché dicono che sta reintroducendo i concetti di unità e di verità. Non era questa, però, la linea di Francesco, il quale sosteneva che i dogmi e la dottrina, per quanto positivi, non toccano il cuore umano, come fanno invece l'amore, la solidarietà, la compassione, la cura per la terra, un'apertura totale al Dio di infinita misericordia. I valori, insomma, del Gesù storico. Gesù è venuto, diceva Francesco, ed è una frase importantissima, per insegnarci a vivere. E non si sono colti questi accenti nel primo discorso di Leone XIV, orientato piuttosto ad intra.
D'altro canto, spero che tutti gli anni passati in Perù lo abbiano segnato. L'ho visto a cavallo, in mezzo agli indigeni, con gli stivali nel fango. È statunitense di nascita, ma con un'anima latinoamericana. Credo che anche lui possa essere un papa che viene dalla fine del mondo, in continuità con papa Francesco. La mia paura, però, è che il suo discorso sia talmente equilibrato da far contenti tutti, mentre la situazione del mondo è così grave da esigere una precisa presa di posizione. Non si può stare da entrambi i lati. Bisogna andare in soccorso della vita, salvaguardare le condizioni ecologiche che la rendono possibile, rivolgere una critica durissima all'attuale sistema di morte. E farlo provoca conflitto. Se il papa non segue questa strada, se si pone fuori dall'eredità di Francesco, non sarà all'altezza delle immani sfide che abbiamo di fronte. La verità che deve portare avanti non è tanto quella sulla natura divina di Gesù quanto quella dello sfruttamento, della fame, della povertà, dell'aggressione agli ecosistemi, della gravità del riscaldamento globale, che può provocare milioni di morti. Spero che Leone XIV punti su questa verità storica, reale, più che sulla verità dogmatica.
Dal punto di vista teologico, in effetti, alcune affermazioni di Leone XIV hanno destato non poca perplessità. Per esempio ha dichiarato che chi nega la natura divina di Gesù vive in un «ateismo di fatto» e che «la mancanza di fede porta drammi quali la perdita del senso della vita, l'oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco». Non sembra la linea di Francesco...
Francesco diceva di preferire un ateo preoccupato per i poveri e per la giustizia che un cattolico che va a messa e fa la comunione tutti i giorni ma volta le spalle a chi ha necessità. Meglio atei che cristiani ipocriti, diceva. Quello che conta non è la dottrina, ma la pratica, non l’ortodossia, ma l’ortoprassi. Non importa che una persona sia atea, importa che sia solidale con gli ultimi, che stia dalla parte non del sistema dominante, del grande capitale speculativo, ma delle vittime. A Dio non interessa che uno sia credente o meno, ma che creda nella giustizia e nella misericordia, che sono le caratteristiche di Dio.
Leone XIV appare molto impegnato sul versante della pace. Pensi che anche in campo ambientale porterà avanti lo stesso discorso di Francesco?
La questione ecologica non è stata finora per lui un tema centrale, ma dovrà esserlo, perché è in gioco il futuro della vita. Lo spirito del capitalismo è la crescita illimitata ma la Terra non può sostenerla. Su questa strada, andremo necessariamente incontro all’abisso. Il papa dunque non può ignorare l’importanza della Chiesa nella formazione delle coscienze, la sua responsabilità nel richiamare l’attenzione sulla salvezza del creato. Lula ha invitato Leone XIV alla Cop 30 che si svolgerà a Bélem a novembre. Ma, se accetterà l’invito, dovrà andare non alla Cop ufficiale, dove i giochi sono già fatti, perché le lobby del carbone, del gas e del petrolio imporranno i loro interessi, ma tra le forze che resistono, che fanno opposizione.
Quali sono per te i tratti più importanti dell’eredità di Francesco?
Le principali caratteristiche del pontificato di Francesco sono state la bontà, la cura della natura, un ecumenismo oltre le religioni e, più di ogni altra cosa, la centralità dei poveri e degli ultimi. Il suo professore, Juan Carlos Scannone, esponente di quella teologia argentina nota come teologia del popolo, mi ha raccontato di persona che, quando il 21enne Bergoglio era entrato nella Compagnia di Gesù e lo aveva sentito parlare, aveva deciso che era quella la teologia che avrebbe seguito: una teologia del popolo oppresso e della cultura silenziata. E aveva fatto un voto: che, se fosse diventato sacerdote, sarebbe andato una volta a settimana in una favela, da solo, per poter stare in mezzo alle persone e conversare con loro. E così ha fatto. Durante il suo pontificato, del resto, ha voluto incontrare Gustavo Gutiérrez, Jon Sobrino, José María Castillo. Per tre volte avrebbe voluto incontrarsi anche con me, ma non abbiamo avuto fortuna. Pensavo di poterlo fare ora, ma purtroppo non ho fatto in tempo. Ci siamo però scambiati varie lettere e l’ultima è stata la più bella. Avevo inviato al papa una copia del mio libro in spagnolo San José: la personificación del Padre celestial e lui mi aveva risposto condividendo con me la preghiera, che recitava da quarant’anni dopo le Lodi, a San Giuseppe, colui che ha «il potere di rendere possibili le cose impossibili», perché venisse in suo aiuto in momenti di angoscia e di difficoltà. E ho saputo da un suo segretario – che, su sua richiesta, mi ha fatto visita a Petropolis – che tutte le notti prima di addormentarsi scriveva dei biglietti sui problemi della Chiesa e del mondo e li poneva sotto l’immagine di San Giuseppe. E si svegliava sempre con qualche buona idea.
Cosa pensi di questo terzo mandato di Lula?
Lula è stato eletto con il sostegno di una base estremamente ampia e contraddittoria, allo scopo di impedire la rielezione di Bolsonaro, che sarebbe stata una tragedia. Lula ha centrato tale obiettivo, ma non ha la maggioranza in Parlamento e i suoi ministri sono estranei alle cause del Pt, il Partito dei lavoratori. Pertanto, e molto a fatica, ha recuperato i programmi che erano stati abbandonati, come la Bolsa familia o il programma per il diritto alla casa Minha casa, minha vida, ma non ne ha creato nessuno nuovo. Direi che il suo governo sopravvive a stento. Il grande problema del Pt è quello di aver perso la sua base, di aver rinunciato a alla formazione e alla coscientizzazione e di non saper più comunicare alla gente.
Malgrado ciò, Lula ha il coraggio di portare avanti un discorso di critica nei confronti del sistema, della classe dominante che si arricchisce alle spalle dei poveri, ma non riesce a far passare i suoi progetti. Il suo è un governo debole. E la sua leadership è riconosciuta più fuori dal Paese che in Brasile. Io, come suo amico, non gli risparmio le critiche, ma lui mi risponde che non può permettersi di perdere la piccola base di cui dispone, perché in tal caso non governerebbe più. E allora cerca di mantenere questo equilibrio precario cercando di dividere le destre.
Ma così facendo non finisce per deludere tutti e rafforzare proprio la destra?
Esattamente! Ed è così che poi può succedere che venga approvato un progetto di legge come quello, noto come “Pl della devastazione” che smantella il sistema delle autorizzazioni ambientali sostituendo gli studi di impatto ambientale e le verifiche tecniche con una semplice autocertificazione, in maniera che non siano più le istituzioni a decidere ma le singole persone. E questo sarà un disastro per il Brasile. E quindi per il mondo, perché la preservazione degli ecosistemi brasiliani è essenziale per il pianeta, sia per quanto riguarda le grandi foreste, necessarie per l’equilibrio ecologico, sia per quanto riguarda l’alimentazione della popolazione mondiale, dal momento che ben due terzi del territorio brasiliano sono coltivabili. E la cosa più grave è l’apertura delle aree indigene e quilombolas all’agribusiness.
Il Brasile di Lula si è auto-presentato come il Paese guida nella lotta all’emergenza climatica. In realtà, però, il governo continua a puntare con forza sui combustibili fossili, come indica il pressing dello stesso Lula sull’Ibama per l’esplorazione petrolifera a Foz do Amazonas. Senza contare la volontà di realizzare opere contestate come il progetto di asfaltare la BR-319 o come la costruzione del Ferrogrão. E l’agribusiness domina incontrastato. Un bilancio piuttosto deludente…
La verità è che Lula crede ancora nel petrolio, per quanto non ignori il suo impatto ecologico. È un uomo del XX secolo, non del XXI. Potrebbe rinunciare a sfruttare il petrolio in cambio di una compensazione adeguata da parte della comunità internazionale, come si è tentato di fare in Ecuador con il progetto Yasuní. Ma Lula non prende sul serio il riscaldamento globale. Ne parla, ma non è per lui una questione decisiva.
A livello ambientale e climatico, l’umanità dà l’impressione di aver addirittura rinunciato ad adottare azioni di contrasto al riscaldamento climatico. In Europa, per esempio, la corsa al riarmo sembra avere la precedenza sul processo di transizione energetica. Come vedi la situazione?
Io mi dichiaro un pessimista con speranza. Pessimista perché la realtà è pessima, ma con speranza perché la storia non è lineare, bensì piena di salti, ed è possibile che l’umanità arrivi a un punto in cui si renda conto che, portando avanti questi livelli di sfruttamento, finirebbe per andare incontro all’estinzione. Potrebbe allora registrarsi un cambiamento dello stato di coscienza tale da rendere possibile una nuova relazione con la terra.
Per questo, a mio giudizio, sono decisive due categorie presenti nella Fratelli tutti: quella del dominus, del signore e padrone, e quella del frater, della relazione tra fratelli insieme alla natura. Dovremmo puntare su quest’ultima, operando dal basso, perché dall’alto non ci si può aspettare nulla: lì sarà sempre lo stesso o peggio. Il cambiamento può venire solo dal basso, attraverso i movimenti sociali, l’agroecologia, la democrazia partecipativa, il bioregionalismo. La bio-regione si iscrive in un’area normalmente definita dai fiumi e da catene di monti, ricoperta da un certo tipo di vegetazione, con una sua geografia del terreno, una flora e una fauna specifiche, una cultura locale propria, con abitudini, tradizioni, valori. In questo senso, il bioregionalismo è centrato sulla regione e sulla comunità; dal punto di vista economico, sulla conservazione, sull’autosufficienza e sulla cooperazione; dal punto di vista politico, sul decentramento, la sussidiarietà, la partecipazione e la ricerca di consenso. Niente agribusiness e niente grandi imprese. Se l’intero sistema è insostenibile, la regione può essere invece sostenibile. Ci sono esperienze in tutto il mondo che funzionano alla perfezione, in cui la sostenibilità è garantita e le necessità umane sono soddisfatte nel rispetto delle possibilità e dei limiti di ogni ecosistema locale.
Per me il bioregionalismo è l’unica via di salvezza. Il problema è se avremo tempo e saggezza sufficienti per realizzarlo. Dei nove limiti planetari che sono stati individuati al fine di identificare i processi alla base della stabilità e della resilienza del sistema Terra, ne abbiamo già oltrepassati sei. I grandi climatologi ci dicono che possiamo tutt’al più avvertire l’arrivo di eventi estremi e ridurne la portata, ma non impedirli. Non stiamo andando incontro al cambiamento, ci stiamo già dentro. Se non cambiamo strada, mette in guardia Sygmunt Bauman, «ci uniremo alla processione di coloro che marciano verso la tomba». Io temo che il sistema capitalista continuerà a sfruttare la terra fino a renderla invivibile. Stiamo procedendo verso l’estinzione della specie. Io penso che sia la fine. Non la fine del mondo, ma la fine di questo tipo di mondo creato dal capitalismo, dal paradigma del dominus. Magari, dai microrganismi che continueranno a vivere sotto il suolo emergerà qualcosa di nuovo che potrà evolvere in una specie migliore della nostra. Forse l’evoluzione si prepara a qualcosa di diverso.
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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