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Commento al “foglio” del Dicastero per la Dottrina
Tratto da: Adista Documenti n° 26 del 05/07/2025
Qui l'introduzione a questo testo.
Il reato impropriamente denominato “falso misticismo” è stato invocato da alcuni canonisti per condannare azioni di abuso – in gran parte di natura sessuale – che venivano giustificate con argomenti e ragionamenti teologici, morali o spirituali di carattere pseudomistico e che erano chiaramente incompatibili con la fede e la morale cattolica. L'uso improprio di questa denominazione è ripreso in questo testo (Foglio per l'Udienza) del Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) preparato per l'Udienza con il Santo Padre del 22 novembre 2024: «Nel diritto della Chiesa non esiste un reato tipizzato con il nome di “falso misticismo”, anche se l'espressione è talvolta utilizzata dai canonisti in un senso strettamente correlato ai reati di abuso»1.
Il ricorso a questa figura, non tipizzata in nessuna normativa penale ecclesiastica, nelle sentenze e nei decreti penali risultava piuttosto confuso e di grande indeterminatezza giuridica, specialmente quando era collegato a reati di abuso sessuale. Infatti, il contesto del cosiddetto “falso misticismo” non è, in linea di principio, quel lo dei reati di abuso sessuale, ma un altro ben distinto che, come espresso dal testo del Dicastero, è molto preciso: «quello delle questioni relative alla spiritualità e ai presunti fenomeni soprannaturali, oggi di competenza della Sezione Dottrinale:«problemi e comportamenti relativi alla disciplina della fede, come i casi di pseudomisticismo, presunte apparizioni, visioni e messaggi attribuiti a un'origine soprannaturale...» (DDF, Regolamento, art. 10, 2)». Da qui l'intervento del Prefetto del DDF, più che necessario e opportuno, poiché chiarisce alcune questioni che potevano essere confuse e annuncia già la possibilità di tipizzare un reato di «abuso spirituale» che eviti l'espressione troppo ampia e polisemica di «falso misticismo» con le sue indeterminatezze e conseguenze giuridiche. Questo compito, come annuncia il Foglio, è già stato affidato a un gruppo di lavoro, composto da membri del DDF e del Dicastero per i Testi Legislativi e presieduto dal presidente di quest'ultimo dicastero.
Una delle prime questioni chiarite dal Foglio è che, in origine, il termine «“falso misticismo” si riferisce a proposte spirituali che danneggiano l'armonia della visione cattolica di Dio e del nostro rapporto con il Signore», e che questo è precisamente il significato con cui appare nel Magistero. Non invano, il Foglio cita l'enciclica Haurietis Aquas di Pio XII, in cui viene respinta come «falso misticismo» quella concezione di Dio presente nei gruppi giansenisti che, nella loro spiritualità, non tenevano conto del mistero dell'Incarnazione2.
Questa enciclica di Pio XII – citata numerose volte nell'ultima enciclica di Papa Francesco Dilexit Nos – mette in guardia contro coloro che negano «che la contemplazione del Cuore fisico di Gesù impedisca il contatto più intimo con l'amore di Dio, perché rallenta il progresso dell'anima sulla via che conduce direttamente al possesso delle virtù più eccelse». La Chiesa rifiuta pienamente questo falso misticismo, così come, con l'autorità del nostro predecessore Innocenzo XI, ha condannato la dottrina di coloro che affermavano: «Le anime di questa via interna non devono compiere atti d'amore verso la Beata Vergine, i Santi o l'umanità di Cristo; poiché questi oggetti sono sensibili, tale è anche l'amore verso di essi. Nessuna creatura, nemmeno la Beata Vergine e i Santi, deve avere posto nel nostro cuore, perché Dio vuole occuparlo e possederlo solo»3. Come ben sappiamo, della natura dell'amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, così come del suo necessario approfondimento e attualità nella vita della Chiesa, si occupa Francesco in Dilexit Nos.
1. Precedenti giuridici del falso misticismo
Il primo riferimento giuridico al falso misticismo in relazione a reati di natura sessuale compare al n. 62 dell'Istruzione Crimen sollicitationis della Suprema Congregazione del Sant'Uffizio, approvata e confermata da papa Pio XI il 9 giugno 19224. L'Istruzione, indirizzata a tutti i patriarchi, arcivescovi e ordinari del luogo – sia cattolici che orientali –, conteneva alcune norme che, in un modo o nell'altro, si riferivano a questo tipo di reati.
La Crimen solliciationis non è mai stata pubblicata nell'Acta Apostolicae Sedis e la sua diffusione è stata molto limitata, anche perché la stessa istruzione disponeva che il documento fosse conservato con cura nell'archivio segreto della Curia e ne vietava sia la pubblicazione che qualsiasi commento al riguardo. A ciò si aggiunge il fatto che, trattandosi del segreto sacramentale, i procedimenti dovevano essere condotti con la massima riservatezza possibile e, una volta conclusi, «mantenuti in perpetuo silenzio»6.
Per il suo interesse ai fini del nostro commento, traduciamo in italiano il contenuto integrale del n. 62 della Crimen sollicitationis, dove appare chiaramente questo riferimento al falso misticismo: «Per una corretta applicazione pratica di questo canone [si riferisce al can. 2368 § 1 CIC 1917, sul reato di sollecitazione], nel determinare, alla luce del canone 2218, § 1, le pene giuste e proporzionate contro i sacerdoti condannati per il reato di sollecitazione, si devono tenere in particolare considerazione, nel valutare la gravità del reato, le seguenti cose: il numero delle persone sollecitate e la loro condizione, ad esempio se sono minorenni o sono particolarmente consacrate a Dio con voti religiosi; la forma della sollecitazione, soprattutto se può essere collegata a una falsa dottrina o a un falso misticismo; la viltà non solo formale, ma anche materiale, degli atti commessi e, soprattutto, il collegamento della sollecitazione con altri delitti; la durata della condotta immorale; la recidiva nel reato; la recidiva dopo un avvertimento e la malizia ostinata del richiedente»7.
Come si può vedere, questo punto della Crimen sollicitationis considera la figura del falso misticismo come circostanza aggravante al momento di stabilire la pena prevista per il reato di adescamento8. Si tratta di un dato fondamentale da tenere in considerazione quando si analizza la natura e la portata del falso misticismo in relazione ai reati di abuso sessuale.
Un breve riferimento al falso misticismo compare anche nelle Norme sul modo di procedere nel discernimento delle presunte apparizioni e rivelazioni della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (25-2-1978): «In ragione del suo ufficio dottrinale e pastorale, l'Autorità competente può intervenire motu proprio e deve farlo in circostanze gravi, ad esempio: per correggere o prevenire abusi nell'esercizio del culto e della devozione, per condannare dottrine errate, per evitare il pericolo di falso o inopportuno misticismo»9 (II, 3). Più recentemente – come indica il Foglio che stiamo commentando – il DDF, nelle Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali (17-5-2024), ha esplicitato quanto segue: «Deve essere considerato di particolare gravità morale l'uso di presunte esperienze soprannaturali o di elementi mistici riconosciuti come mezzo o pretesto per esercitare dominio sulle persone o commettere abusi» (art. 16); e poco più avanti: «Nel caso in cui i presunti fenomeni soprannaturali possano essere attribuiti con certezza a un tentativo deliberato di mistificare e ingannare per altri fini (ad esempio, lucro e altri interessi personali), il Vescovo diocesano applicherà, caso per caso, la legislazione penale canonica vigente» (art. 25).
In relazione alle norme citate e al n. 62 di Crimen sollicitationis, il Foglio del DDF sottolinea espressamente che l'uso di presunti elementi mistici come mezzo o pretesto per esercitare dominio sulle persone o commettere abusi deve essere considerato di particolare gravità morale e che questa circostanza deve essere considerata come «circostanza aggravante» del reato. In questo senso, il can. 1326 stabilisce quali sono le circostanze aggravanti del reato e il can. 1327 stabilisce la possibilità di indicare altre circostanze aggravanti sia come norma generale che per un reato particolare. Allo stesso modo, in un precetto penale possono essere stabilite circostanze che aggravano la pena stabilita dallo stesso.
Come si può vedere, possiamo concludere che, a oggi, nella Chiesa non esiste una tipizzazione penale specifica del cosiddetto «falso misticismo». Si fa solo riferimento a esso come circostanza aggravante che può essere associata a determinati reati, in particolare quelli relativi all'esercizio di dominio o abuso (di qualsiasi tipo) sulle persone.
2. Approccio al concetto di falso misticismo in ambito penale e più specificamente in relazione ai reati di natura sessuale
Se vogliamo comprendere meglio la rilevanza penale del falso misticismo e la sua associazione all'ambito dei reati di abuso sessuale, è necessario comprenderlo non solo come un fenomeno attribuibile a presunte apparizioni, locuzioni, veggenti o altre manifestazioni del soprannaturale denunciate per ottenere un vantaggio personale di qualsiasi tipo: guadagno economico, popolarità, potere, ecc., ma come «la legittimazione morale di un atto che è immorale in sé, ricorrendo a ragioni teologicospirituali che portano a considerare un atto immorale non solo lecito, ma addirittura raccomandabile, come segno di una particolare elezione o riserva di grazia verso le persone coinvolte, specialmente verso coloro che subiscono l'azione di chi esercita tale autorità. L'immoralità in questione si esprime principalmente in azioni di natura sessuale, di vario tipo e intensità, a volte legate a una relazione spirituale (direzione o consiglio, confessione sacramentale) o formativa, molto spesso derivante da un rapporto di disparità tra chi esercita un'autorità morale o spirituale e la persona che ne è partecipe e ne subisce l'azione»10. Gli atti immorali vengono proposti alla vittima come desiderabili dal punto di vista del rapporto con Dio, in una sorta di falsificazione della teologia dell'incarnazione che travisa l'esegesi della Scrittura o realizza un approccio dottrinale assolutamente errato e perverso.
Tuttavia, l'ambito sessuale non è l'unico che può essere contaminato dal falso misticismo, poiché ce ne sono molti altri, come ad esempio quando si ricorre alla sfera spirituale per legittimare l'ottenimento di un vantaggio economico o patrimoniale, o quando si associa il nome di Dio ad atti violenti e abusivi nei confronti delle persone e della loro dignità, inducendo un soggetto ad azioni illecite giustificandole con motivi spirituali, apparentemente buoni e graditi a Dio11.
Da questo punto di vista, l'elemento identificativo e definitorio del falso misticismo sarebbe quindi il collegamento tra un atto immorale e la sua legittimazione teologico-spirituale, un collegamento che cerca così di tranquillizzare la propria coscienza e quella delle persone che il presunto ingannatore vuole coinvolgere. Di conseguenza, la gravità di questa azione non si riduce solo all'atto in sé (che deve essere un'azione chiaramente considerata contraria ai costumi secondo la dottrina cattolica), né – in senso stretto – alla sola invocazione della dimensione teologico-spirituale fatta in modo inadeguata, ma alla connessione tra l'una e l'altra, aumentando esponenzialmente la rilevanza e la gravità morale dell'atto.
Questa giustificazione teologica, morale o spirituale di un atto gravemente immorale non è nuova nella vita della Chiesa, poiché è presente nei testi dell'antichità cristiana12 e continua a esserlo ai giorni nostri, come testimoniano in particolare i casi di esercizio dell'autorità spirituale o morale su altre persone. Sarebbe il caso, ad esempio, del sacerdote confessore o direttore spirituale che, nel suo rapporto con un fedele – grazie in gran parte a quella particolare apertura di coscienza che questo rapporto consente – compie o fa compiere azioni contrarie all'ordine naturale, sconcertandolo nella sua legittimità morale13.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di adulti consenzienti che, salvo un possibile abuso di coscienza o di vulnerabilità – che rientrerebbero in altri casi –, compiono progressivamente azioni doppiamente immorali: per l'atto in sé e per un'indebita giustificazione teologica o spirituale che invoca in modo inappropriato il nome di Dio. L'esperienza forense in ambito penale mostra come, in non pochi casi, molti comportamenti morali gravi rispondano a una motivazione “spirituale”, con la quale l'ingannatore, in modo più o meno esplicito, intende “legittimare” – per sé o per l'ingannato – le azioni immorali. Il denominatore comune della questione non è tanto l'atto immorale quanto il radicamento della sua accettazione come eticamente buono e desiderabile a partire da una teologia distorta dell'incarnazione e da una lettura strumentale della rivelazione14. In questo modo, la gravità dei fatti acquista una doppia rilevanza.
Inoltre, la gravità di questo modo di procedere implica che esso diventi a sua volta un comportamento illegale, di fronte al quale il diritto ecclesiastico è chiamato a intervenire e ad adottare misure, al fine di proteggere i beni che potrebbero essere compromessi e ripristinare il giusto ordine che è stato alterato15. Ma prima di passare all'analisi di questa questione, vediamo alcuni dei casi che possono presentare questa connessione tra atti gravemente immorali e la loro legittimazione pseudomistica.
3. Fattispecie di falso misticismo nei casi di abuso
Quando si analizzano i casi di abuso in cui compare il falso misticismo, si possono distinguere due grandi categorie. La prima comprenderebbe quei casi in cui l'atto in sé presenta caratteristiche delittuose, indipendentemente dalla legittimazione pseudo-mistica che gli viene attribuita. Qui abbiamo i seguenti casi:
a) reato di adescamento durante la confessione, o in occasione o con il pretesto di essa (can. 1385);
b) reato di abuso di potere ecclesiastico, di ufficio o di carica (can. 1378 § 1);
c) reato di abuso di autorità, già tipizzato nel motu proprio Vos estis lux mundi, art. 1 § 1, a, i, di cui il CIC tratta in due canoni: c1) come circostanza aggravante per chi commette un reato già tipizzato (c. 1326 § 1, 2º) e c2) il reato contro il sesto comandamento del Decalogo commesso dal chierico con violenza, minacce o abuso della sua autorità (can. 1395 § 3);
d) l'abuso di coscienza: espressione spesso utilizzata in contesti ecclesiali non giuridici e invocata spesso con un significato non tecnico16, per indicare un comportamento inappropriato, censurabile, ma non facilmente inquadrabile dal punto di vista giuridico, poiché di per sé non è tipizzato penalmente17.
La seconda categoria principale comprenderebbe quei casi in cui non troviamo traccia di precedenti procedimenti penali, lasciando così il potere coercitivo e punitivo della Chiesa senza i mezzi per ristabilire la giustizia (a condizione che il rapporto sia illegale). Questi casi includono quelli che coinvolgono adulti consenzienti, senza alcuna condizione che ne caratterizzi sostanzialmente la natura criminale e in cui l'atto immorale non costituisce un reato. Per i casi che rientrano in questa seconda categoria, Visioli sostiene che sarebbe possibile ricorrere al can. 1399, una norma particolarmente complessa inserita dal legislatore alla fine del Libro VI18.
Secondo Visioli, in questo secondo tipo di comportamento, nonostante vi sia una chiara connessione tra l'atto immorale e la sua legittimazione pseudo-mistica, l'azione penale della Chiesa è seriamente limitata, in quanto non dispone di disposizioni penali chiaramente stabilite. Se l'atto riprovevole non costituisce di per sé un reato, perché è avvenuto consensualmente – ad esempio, tra adulti – e inoltre non vi sono state minacce, rapporti di servitù, abuso di potere, ufficio o posizione, né uso illegittimo della propria autorità, ma vi è stato un uso improprio del nome di Dio, questo semplice fatto lo rende moralmente riprovevole, non solo per l'atto in sé, ma anche per la sua legittimità teologica. Di fronte a ciò, l'autorità ecclesiastica responsabile non può rimanere inattiva e, al fine di sanzionare tale comportamento, deve ricorrere al sempre delicato e complesso canone 1399, o a determinati strumenti di giustizia amministrativa, come vedremo più avanti19.
4. Il quadro giuridico del falso misticismo nel canone 1399
In assenza di una tipologia specifica di falso misticismo e di fronte all'incertezza giuridica e penale causata dalla combinazione di falso misticismo e reati di abuso – con tutte le conseguenze giuridiche che tale incertezza può comportare – era stata da tempo richiesta la necessità di classificare penalmente tale comportamento, chiarirne i termini e fornire una soluzione al riguardo20.
Per contestualizzare meglio la problematica sorta intorno all'inquadramento giuridico-penale del falso misticismo e alla sua considerazione da parte di alcuni canonisti come reato canonico, occorre ricordare, in primo luogo, quanto stabilito dal can. 221 § 3 CIC:
«I fedeli hanno il diritto di non essere puniti con pene canoniche, se ciò non è conforme alla norma legale». In questa prescrizione, contenuta nella sezione dedicata ai doveri e ai diritti dei fedeli cristiani nella Chiesa, è racchiuso un principio fondamentale di ogni ordinamento penale che si rispetti, ovvero il principio di legalità penale. Questo principio stabilisce che, affinché qualcuno possa essere punito con una pena, questa deve essere preventivamente stabilita in una legge penale, la quale, a sua volta, deve preventivamente stabilire o tipizzare le azioni che, per loro commissione o omissione, sono oggetto di sanzione.
Il principio di legalità penale appartiene al patrimonio storico del diritto penale ecclesiastico e, oltre ad essere assunto nel già citato can. 221 § 3, è espresso molto chiaramente nel brocardo: Nullum crimen, nulla poena sine lege poenale praevia e nel can. 1321 §2: «Nessuno può essere punito se non per una violazione esterna di una legge o di un precetto che gli sia gravemente imputabile per dolo o colpa». Si tratta di un principio fondamentale di garanzia che evita un'indebita discrezionalità non tanto nell'applicazione della pena quanto nell'uso del suo fondamento normativo.
Nonostante il carattere residuale, accessorio ed eccezionale del can. 1399 21, alcuni canonisti sono favorevoli a ricorrervi per perseguire questi comportamenti di falso misticismo. L'argomento principale utilizzato è che con il termine «lex», il canone non limita l'intervento penale solo alle leggi positive intese in senso formale, ma si estende a tutti i precetti dell'ordinamento canonico, siano essi di natura divina (naturale o rivelata) o di natura ecclesiastica. Il ricorso a questo canone cerca di conciliare il principio di legalità «con la necessità di una giustizia che non può rimanere impotente di fronte a situazioni palesemente antilegali che non sono codificate e che sono di particolare rilevanza»22. Sebbene non tutte le violazioni della legge morale siano atti potenzialmente delittuosi, «la violazione di una legge non penale può, in determinate condizioni, avere rilevanza nell'ambito del diritto penale e ricadere sotto la potestà coercitiva della Chiesa»23. Tuttavia, per procedere penalmente è fondamentale che si tratti sempre di un atto antigiuridico e dannoso per l'ordine morale e sociale24.
In secondo luogo, affinché il can. 1399 possa essere applicato, la violazione deve essere grave. Si tratta di una gravità oggettiva, determinata dal danno causato alla comunione ecclesiale, al bene pubblico e alla salute spirituale del fedele o dei fedeli offesi; ma deve anche sussistere una gravità soggettiva in virtù del can. 1321 § 2 che prevede, ai fini dell'imputabilità («gravemente imputabile»), che l'atto sia commesso con dolo o colpa. Nel caso del can. 1399, essendoci una disposizione diversa, la grave imputabilità deriva da un atto deliberato25. Inoltre, il canone indica che la gravità deve essere «speciale» e che è necessario prevenire o riparare lo scandalo.
Questi requisiti sono soddisfatti nel caso del falso misticismo?
Visioli ritiene che, pur comprendendo la delicatezza del ricorso al can. 1399 e adottando tutte le precauzioni per evitare che l'applicazione di tale norma possa pregiudicare i diritti dei fedeli, «in assenza di una norma penale ad hoc e in attesa che se ne possa provvedere in tal senso, l'applicazione del can. 1399 è appropriata al caso in questione. Si tratta di un'azione chiaramente e doppiamente contraria al bene comune, sia per la sua natura che per la sua legittimazione pseudomistica, che si configura come una violazione esterna di una legge divina. Al di là dell'azione peccaminosa relativa alla dimensione sessuale, la vera violazione della legge divina consiste nella mistificazione del racconto spirituale, nell'uso improprio del nome di Dio, nella sua invocazione strumentale per fini contrari alle ragioni della Rivelazione. I beni in questione che possono essere danneggiati sono diversi. Ma anche prima di tali beni, è la tutela del nome di Dio che viene profondamente profanata con la strumentalizzazione fatta in questo caso specifico»26.
5. Il falso misticismo come comportamento che viola il secondo comandamento del decalogo
Partendo dalla fondatezza/legittimazione dei comportamenti che si verificano in questi casi di falso misticismo, alcuni autori ritengono che si stia andando direttamente contro il secondo comandamento della legge di Dio. In Es 20, 7 si legge quanto segue: «Non pronuncerai il nome del Signore invano, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano». Questa prescrizione biblica è operativa nella tradizione e nella prassi cristiana sin dalle sue origini, e anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica che, al n. 2142, afferma a questo proposito: «Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Appartiene, come il primo comandamento, alla virtù della religione e regola più particolarmente l'uso della nostra parola nelle cose sacre». E nel numero successivo: «Il dono del Nome appartiene all'ordine della confidenza e dell'intimità. “Il nome del Signore è santo”. Per questo l'uomo non può abusarne. Deve conservarlo nella memoria in un silenzio di adorazione amorevole (cfr. Zaccaria 2, 17). Non lo userà nelle sue parole, se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo».
Ancora più chiarificatrici sono le parole del n. 2146: «Il secondo comandamento proibisce di abusare del nome di Dio, cioè ogni uso improprio del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i santi».
Per tutto ciò, lo strumentalizzare il nome di Dio per fini illeciti deve essere considerato un atto grave contro la Legge di Dio, «paragonabile a una profanazione» – dice Visioli –27. Se, inoltre, il nome di Dio viene utilizzato per giustificare e legittimare azioni deplorevoli, contrarie alla dignità della persona, lesive dei diritti fondamentali basati sul diritto naturale e sul diritto divino rivelato, si può concludere che ci troveremmo di fronte a «una violazione esterna di una legge divina o canonica», particolarmente grave. Questa particolare gravità è evidente non solo perché si tratta di fatti che vanno contro il sesto comandamento del Decalogo, ma anche perché, con motivazioni pseudomistiche, con argomenti teologici e spirituali, si cerca di legittimare moralmente azioni assolutamente riprovevoli, verificandosi chiaramente il primo requisito che richiede l'applicazione del can. 1399. Questa particolare gravità, secondo Visioli, produrrà in termini generali uno scandalo, che deve essere riparato, in ottemperanza al secondo requisito previsto dal canone per la sua applicazione: «Anche se l'atto fosse limitato a una sola persona e proporzionato alla sua intimità, senza essere noto alla comunità, la gravità di tale azione potrebbe solo imporre la riparazione profonda che è necessaria in tali circostanze»28.
Tuttavia, nonostante queste affermazioni, Visioli sottolinea alcune limitazioni nel ricorso al can. 1399 per perseguire questi comportamenti di falso misticismo29. In primo luogo, che i fatti denunciati sarebbero soggetti ai termini di prescrizione ordinaria regolati dal can. 1362; in secondo luogo, che l'applicazione del can. 1399 vale solo per i fedeli soggetti al CIC latino, escludendo i fedeli di rito orientale; e, in terzo luogo, che – come ritengono rilevante i canonisti – gli stessi fini che si intendono raggiungere ricorrendo al can. 1399 potrebbero essere raggiunti mediante un precetto penale senza dover derogare al principio di legalità30.
Infine, «va sottolineato che la logica del canone esclude la possibilità di sanzionare comportamenti che sono già penalmente rilevanti nell'ordinamento canonico. Infatti, se è vero che è consentito infliggere una pena per la violazione di una legge che non prevede sanzioni, è anche vero che impedisce il contrario: cioè sanzionare casi già tipizzati nell'ordinamento penale. Pertanto, il ricorso al can. 1399 può essere aggiunto ad altri reati (ad esempio: adescamento, atti contra sextum cum minore, ecc.) in una sorta di concorso formale o materiale, ma non può sostituirli»31. Rebus sic stantibus, sarebbe come circostanza aggravante del reato in questione, in quanto potrebbero essere prese in considerazione soprattutto le argomentazioni pseudomistiche che vengono addotte nella realizzazione di tali atti illeciti. Così è anche presentato nel Folio del DDF.
6. Falso misticismo e diritto disciplinare
L'ordinamento canonico prevede la tipizzazione delle infrazioni e le relative sanzioni – anche se non strettamente penali – per non lasciare impunite quelle azioni gravemente lesive della giustizia. È ciò che conosciamo come diritto disciplinare, una branca del diritto ecclesiastico ancora poco sviluppata e conosciuta, presente soprattutto in relazione a determinate categorie di persone obbligate ad adempiere alle loro responsabilità professionali o ministeriali (impiegati della curia diocesana, personale docente, amministrativo e di servizio delle scuole e delle università ecclesiastiche, ecc.). I codici etici e i regolamenti propri delle istituzioni prevedono talvolta sanzioni per una serie di azioni illecite che danneggiano o semplicemente diffamano terzi o l'istituzione stessa32.
Nel quadro del diritto disciplinare e in mancanza di una disposizione penale adeguata, Visioli ritiene che «si potrebbe provvedere mediante regolamenti propri di maestri, confessori, direttori spirituali, maestri di novizi... Tuttavia, si tratterebbe di una disposizione complementare di limitata rilevanza, probabilmente incapace di ripristinare le condizioni di giustizia distrutte dal fatto illecito e di raggiungere gli stessi fini della pena canonica espressi nel can. 1341 CIC. Non si può non considerare che molti atti di falso misticismo sono stati commessi da persone che erano al di fuori di contesti istituzionali codificati (ad esempio, dai fondatori). Ciò renderebbe ancora più limitata la pertinenza di una soluzione di questo tipo, poiché, in ogni caso e in assenza di norme specifiche, potrebbe essere presa in considerazione in determinati contesti»33.
Ipotesi di lavoro per una futura tipizzazione del reato di abuso spirituale
Come ben espresso dal Foglio del DDF, di fronte all'espressione ampia e polisemica di «falso misticismo» – con tutte le conseguenze giuridico-canoniche che ne possono derivare – si ritiene necessario analizzare la possibilità di tipizzare un reato specifico di «abuso spirituale» che precisi in modo più adeguato i comportamenti gravemente immorali implicati nei casi di falso misticismo esaminati. Si tratterebbe di sviluppare una nuova norma positiva che punisca tali casi. Secondo Visioli, si possono immaginare due possibili formulazioni.
La prima tipizzerebbe propriamente il reato di “falso misticismo”, inteso come la legittimazione morale di atti di per sé immorali ricorrendo a motivazioni teologiche e spirituali in cui si invoca il nome di Dio, di Gesù, di Maria, dei Santi. Il reato consisterebbe quindi nella connessione tra un atto immorale (non importa, in linea di principio, se sia criminale o meno: questo, in ogni caso, sarebbe rilevante ai fini di una possibile complicità e della determinazione della pena) e le ragioni della sua legittimazione, al fine di persuadere un soggetto ad accettarlo come moralmente buono, partecipando ad esso e compromettendo la propria coscienza. Una soluzione del genere non considererebbe criminale la sola invocazione illecita del nome di Dio, né di per sé il solo atto contra sextum, se non sussistono altri elementi penalmente rilevanti34.
Una seconda possibilità consisterebbe nella formulazione di una nuova legge penale che punisca coloro che invocano maliziosamente il nome di Dio con un fine illecito a proprio vantaggio o a vantaggio di altri, e non solo per motivi di natura sessuale. Questa possibilità sarebbe ampiamente legittimata da quanto disposto dal can. 1315 § 1: «Chi ha il potere di emanare leggi penali, può anche proteggere con una pena adeguata una legge divina». In analogia con un altro reato riservato, potrebbe essere definito come «reato contro il secondo comandamento del Decalogo», intendendo con ciò – come nel caso del reato contro il sesto comandamento – non tanto ciò che dice Es 20,7, ma tutto ciò che la dottrina cattolica definisce sulla santità di Dio e sul culto spirituale dovuto al suo nome35.
Al di là del modo in cui tale nuova norma sarà elaborata e promulgata, la promulgazione dovrebbe non solo definire i limiti oggettivi e soggettivi di questo nuovo tipo di reato, ma anche illustrare la motivazione che l'ha determinata e offrire immediatamente alcuni criteri per la sua interpretazione ai fini della giurisprudenza. Certamente, se già alcuni comportamenti di natura sessuale sono difficili da ricondurre a uno dei reati tipizzati nel diritto penale canonico, in particolare quando questi avvengono tra adulti liberi o intervengono fattori di difficile inquadramento giuridico – come quello della vulnerabilità –, figuriamoci se i comportamenti da tipizzare toccano realtà così intangibili e soggettive come la coscienza, le intenzioni o le interpretazioni personali, le esperienze spirituali o carismatiche, ecc. In un ambito così ampio e onnicomprensivo come quello dello spirito, quali sono i confini che delimitano la vera mistica da quella non così vera o falsa? Le certezze morali in questo campo non sono così facili come a volte alcuni pretendono.
Non troviamo forse nella storia della spiritualità cristiana condanne flagranti che alla fine si sono rivelate vere ingiustizie?
Allo stesso modo, bisogna tenere presente che, quando si cerca il nesso tra atti immorali e la loro legittimazione morale o spirituale, non sarà facile oggettivare tale “nesso” a fini penali, né identificare fattualmente il tipo di imputabilità in gioco: dolo o colpa, malizia o ingenuità, conoscenza retta o ignoranza/errore. Quando i contenuti o le motivazioni della giustificazione morale o spirituale sono chiaramente aberranti, non c'è dubbio che ci troviamo di fronte a vere e proprie mistificazioni della fede e della spiritualità cristiana, ma non è sempre così. A volte possiamo trovarci di fronte a comportamenti immorali non criminali – la cui gravità oggettiva non è facile da determinare – in cui entrano in gioco interpretazioni dei fatti fortemente influenzate da diversi fattori o interessi personali, che vanno dai traumi o disturbi della personalità, alle carenze affettive o alla distorsione dei fatti, quando non altri tipi di interessi, inclusi a volte anche quelli di natura spuria.
In ogni caso, ciò che sembra chiaro è che, data la complessità e la gravità di questi comportamenti e la loro rilevanza per la fede del popolo di Dio, si dovrebbe prevedere una riserva di competenza al DDF36.
Vogliamo concludere augurando vivamente a questo gruppo di lavoro incaricato della possibile tipizzazione del reato di “abuso spirituale” che il suo lavoro abbia un esito chiarificatore e fruttuoso. Certamente, sono in gioco la salus animarum di molti fedeli, così come diversi beni giuridici ecclesiali e, in misura non trascurabile, il prestigio e il riconoscimento del diritto penale ecclesiale.
Note
1 Per illustrare il concetto di falso misticismo in ambito penale e la sua attuale problematica, ci avvarremo del chiarificatore articolo di M. Visioli, “Breve nota sul falso misticismo e la sua rilevanza penale”, in Ephemerides Iuris Canonici 63 (2023) 649-666.
2 Lo ricorda papa Francesco nell'enciclica Dilexit Nos: «Ciò era difficilmente comprensibile per molti giansenisti, che guardavano con disprezzo tutto ciò che era umano, affettivo, corporeo, e in definitiva ritenevano che questa devozione ci allontanasse dalla purissima adorazione dell'Altissimo Dio. Pio XII definì «falso misticismo» questo atteggiamento elitario di alcuni gruppi che vedevano Dio così alto, così separato, così distante, da considerare pericolose e bisognose di controllo ecclesiastico le espressioni sensibili della pietà popolare» (Francesco, Enciclica Dilexit Nos, n. 86).
3 Pio XII, Lettera enciclica Haurietis Aquas, 15 maggio 1956, IV, in: AAS 48 (1956) 344.
4 Quarant'anni dopo, il 1° agosto 1962, il Sant'Uffizio rese nota una breve notifica che ampliava la competenza menzionata nell'Istruzione del 1922. Tale ampliamento autorizzava i Superiori Generali a istruire processi contro i chierici delle loro comunità in materia di crimine pessimum. Tuttavia, la competenza concessa ai Superiori Generali era limitata a due reati: contro persone dello stesso sesso e contro minori di entrambi i sessi. Infine, il documento pontificio ribadiva il divieto di pubblicare o commentare la notifica e di conservarne una copia nell'archivio segreto della Curia Generale per uso interno. Cfr. Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, Notificatio, in: X. Ochoa (dir.), Leges Ecclesiae, vol. 3, Roma, Aldus S.A., 1972, 4302.
5 Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, “Introductio historica ad normas Muto Proprio datas Sacramentorum sanctitatis tutela”, in: Communicationes 42/2 (2010) 351.
6 Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, Instr. Crimen sollicitationis, art. 11, Romae: Typis Polyglottis Vaticanis, 1922, 5.
7 Il corsivo è nostro.
8 La pena prevista dal CIC 1917 per il reato di adescamento era la sospensione « di celebrare la Messa e di ascoltare le confessioni sacramentali, e se la gravità del reato lo richiede, deve essere dichiarato anche inabile ad ascoltarle; deve essere privato di tutti i benefici e le dignità, e della voce attiva e passiva, e dichiarato inabile a tutto ciò, e nei casi più gravi deve anche essere degradato» (can. 2368 § 1). Nel CIC vigente la pena prevista è indeterminata: «sospensione, proibizioni o privazioni; e, nei casi più gravi, deve essere espulso dallo stato clericale» (can. 1385).
9 Il corsivo è nostro.
10 M. Visioli, art. cit., 650.
11 Ibid., 651.
12 Sant'Ireneo di Lione parla dello gnostico Marco che seduceva le donne con un misticismo pseudo-sposale. Le convinceva a compiere con loro atti immorali, legittimandoli con il ricorso al matrimonio mistico tra Cristo e la Chiesa, una dottrina giovane nel II secolo, ma già diffusa nelle prime comunità. San Ireneo descrive perfettamente il modus operandi di questo imbroglione nel suo scritto (cfr. Ireneo di Lione, Adversus Haereses, Libro 1, 13, 1-7)
13 M. Visioli, art. cit., 652. Visioli offre alcuni esempi contemporanei di questi argomenti ingannevoli: «“Dio si compiace di ciò che facciamo perché è presente dove le persone si amano”; “Il fatto di aver assunto carne mortale trasforma ogni gesto che l'uomo compie con la sua corporeità in un atto sacro”; “L'invito di Dio a “crescere e moltiplicarsi” è rivolto a ogni uomo e a ogni donna, chiamati a essere fecondi in modi diversi: alcuni nella carne, altri nello spirito. Nella nostra unione ci sono entrambe le dimensioni! C'è quindi la benedizione del Creatore e il suo compiacimento» (...) «Affinché l'amore sia sacramento, dobbiamo riconoscerci creature, e per questo non può mancare la dimensione della corporeità: senza di essa, l'amore è imperfetto e l'immagine di Dio non si realizza pienamente». Queste espressioni, qui necessariamente edulcorate, esprimono un duplice intento costitutivo di un'azione antimorale e antigiuridica: approfittare dell'altro per ottenere un beneficio personale di soddisfazione, convincerlo della bontà di un atto; e mettere a tacere la propria coscienza e quella degli altri insinuando una convinzione teologicamente fondata» (Ibid., 653).
14 Ibid.
15 Ibid., 651.
16 A questo proposito, ricordiamo le parole di papa Francesco scritte nella sua “Lettera al Popolo di Dio” del 20 agosto 2018 e altre simili pronunciate durante il viaggio apostolico in Irlanda pochi giorni dopo: «L’elitarismo e il clericalismo favoriscono ogni forma di abuso. E l’abuso sessuale non è il primo. Il primo è l’abuso di potere e di coscienza» (A. Spadaro, “‘Occorre ridare vita’. Il Papa Francesco in dialogo con i gesuiti in Irlanda”, in: La Civiltà Cattolica 4038, 2018, 449).
17 Per quanto riguarda le quattro ipotesi contemplate in questa prima categoria, Visioli ritiene che emerga in ogni caso una insufficienza, poiché si identifica l’eventuale causa penale e, al massimo, questa viene aggravata. Secondo questo autore, ciò è molto diverso dal considerare penalmente un atto specifico in tutta la sua rilevanza morale, il che va a discapito di beni primari. Pertanto, in mancanza di alternative e per il ristabilimento della giustizia, si deve agire nell’ambito tracciato dalle leggi penali vigenti, ma con la consapevolezza che si tratta di un’azione riduttiva. D’altra parte, secondo Visioli, non è possibile ricorrere all’uso di norme simili, perché il principio della sicurezza giuridica impedisce di utilizzare il procedimento logico dell’analogia, applicabile in altre situazioni secondo il principio ubi eadem ratio, ibi et eadem dispositio (M. Visioli, art. cit., 656).
18 Ibid., 657-661.
19 Ibid., 657.
20 Ne è un esempio la seguente dichiarazione di un funzionario del DDF: «La tipizzazione della competenza storica del Sant'Uffizio nota come “falso misticismo” tra i “delitti contro la fede” del can. 1362 consentirebbe di perseguire con maggiore sicurezza quelle manipolazioni più gravi della coscienza dei fedeli, come risulta in casi che stanno attualmente provocando grande scandalo. Allo stesso modo, si potrebbero riservare al DDF, in quanto organo specializzato, i casi più gravi di abuso sessuale su adulti vulnerabili» (J. Bertomeu, “Claves de la lucha de Francisco contra los abusos tras 10 años de pontificado”, in: Vida Nueva 3308 [2023] 32). Sulla mancanza di una tipizzazione penale del falso misticismo si pronuncia anche Matteo Visioli: «L'attuale diritto penale non sembra considerare il caso in sé, con una propria tipizzazione» (M. Visioli, art. cit., 653).
21 «Il carattere discrezionale di questo canone lo rende difficile da armonizzare con il principio di legalità stabilito nel c. 1321 § 2; infatti, è stato molto contestato durante la sua elaborazione perché si riteneva che potesse dare adito ad arbitrarietà da parte dell'autorità ecclesiastica e perché si riteneva che lasciasse indifesi i fedeli cristiani di fronte a tali situazioni o azioni, contraddicendo chiaramente il principio nulla poena sine lege contenuto nel can. 221 § 3. Ciò ci fa riflettere sull'insolita applicazione di tale norma e sulla estrema cautela con cui l'autorità dovrà ricorrervi» (F. J. Campos Martínez, Commento al can. 1399: Professori della Facoltà di Diritto Canonico di Salamanca, Codice di Diritto Canonico, Ed. bilingue, 11ª ed., Madrid: BAC, 2023).
22 M. Visioli, art. cit., 658.
23 A. D’Auria, “Il principio di legalità nel sistema penale canonico. Esame del can. 1399”, in A. P. Bosso; E. B. O. Okonkwo (a cura di), «Quis custodiet ipsos custodes?», Roma: Urbaniana University Press, 2021, 527.
24 M. Visioli, op. cit., 659.
25 Ibid., 660.
26 Ibid., 660ss.
27 Ibid., 662.
28 Ibid.
29 Ibid., 663.
30 Riguardo a quest'ultima considerazione, Visioli ritiene che vi sia una sproporzione tra l'atto in questione e l'adozione di un precetto, poiché il precetto ex can. 1319 deve essere considerato come l'imposizione di qualcosa (un comportamento) da fare o da omettere, imponendo una pena in caso di disobbedienza, non contemporaneamente ad essa. Pertanto, ha una finalità preventiva piuttosto che punitiva (Ibid.).
31 Ibid., 663s.
32 Ibid., 664.
33 Ibid.
34 Ibid., 665.
35 Ibid.
36 Francesco, cost. ap. Praedicate Evangelium, 19 marzo 2022, in: AAS 114 (2022) 375-455, art. 69.
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