
Un libro analizza il plagio nelle “nuove comunità” cattoliche
Tratto da: Adista Notizie n° 29 del 02/08/2025
42336 PARIGI-ADISTA. Negli ultimi anni numerose sono le cosiddette “nuove comunità”, salutate come “primavera della Chiesa” soprattutto durante il pontificato di papa Wojtyla, cadute sotto i colpi di abusi di potere, spirituali e spesso anche sessuali. Qualcuna è stata dissolta, come – per non citare che le più recenti – Sodalitium Christianae Vitae, la comunità Loyola, Verbe de Vie. Altre sono state sottoposte a un tentativo di riforma, per lo più fallimentare. Ne è un esempio la Fraternité monastique de Bethléem, fondata nel 1951 da soeur Marie (al secolo Odile Dupont) come fraternità monastica domenicana, poi distaccatasi e confluita, con una svolta pseudo-certosina, nella galassia delle comunità fondate dal religioso, abusatore seriale, Marie-Dominique Philippe. È la comunità denunciata nel libro, appena uscito presso l’editrice Queriniana, dell’ex membro per ventiquattro anni ed ex vicepriore Fabio Barbero (Undicesimo: non pensare. Anatomia di un plagio nel mondo cattolico, v. sotto). Oggi, a dieci anni dall’avvio di riforme, l’associazione che riunisce le vittime degli abusi avvenuti all’interno denunciano, con un comunicato pubblicato il 25 luglio, che nulla è cambiato.
Dieci anni di operazioni cosmetiche
Nel 2015, a seguito di denunce di abusi, viene fondata l'ACSEMB (Accueil et Soutien aux Ex Membres de Bethléem) che offre sostegno a coloro che decidono di uscire dalla comunità. Una visita canonica imposta dalla Santa Sede nel maggio 2015 ne svela la realtà settaria e, nel novembre 2021, la comunità riconosce la presenza al suo interno di disfunzioni nell'esercizio dell'autorità che hanno originato abusi spirituali e annuncia la volontà di avviare un processo di riforma. L’unità di ascolto creata per le persone abusate psicologicamente, spiritualmente o moralmente, però, «cooptata dai responsabili di Betlemme per svolgere quest'opera di verità in cui era in definitiva giudice e parte in causa, e privata di qualsiasi supervisione da parte di un'autorità ecclesiastica, non ha portato i frutti sperati», si legge nel comunicato. Perplessità ha anche suscitato l'ultimo Capitolo generale dell'ottobre 2024, in cui «la comunità ha affermato di continuare il suo cammino di conversione, in particolare attraverso una rilettura oggettiva di alcune tappe della sua storia e del ruolo svolto dalla sua fondatrice, suor Marie, una revisione delle sue Costituzioni, l'istituzione di corsi di formazione permanente per i suoi membri». Sull’«effettiva realizzazione di questi passi è lecito interrogarsi», si legge nel comunicato, dal momento che l’ACSEMB continua a ricevere «preoccupanti testimonianze, dirette e indirette, di monache sofferenti e prive della loro libertà all'interno della Famiglia di Betlemme».
Di fronte a questa situazione, l’associazione si pone domande che possono essere applicate anche ad altre comunità in analoga situazione (come la Famiglia di Maria su cui Adista conduce da tempo un’inchiesta, avviata oggi alla normalizzazione, ma mai realmente posta di fronte agli abusi subiti). «Le fondamenta sono davvero rimesse in discussione? C'è stata davvero un'analisi critica dei testi fondatori, attraverso i quali la fondatrice ha espresso le sue idee teologiche e spirituali, in particolare il “Libro di Vita”, ancora in uso nei monasteri di Betlemme? Sono stati messi adeguatamente in luce gli errori dottrinali e spirituali e le loro conseguenze deleterie sulle persone, in particolare la sua teologia mariana, che spalanca le porte a gravi abusi psicologici, spirituali e morali? Quali frutti possono recare le formazioni esterne proposte dalla Famiglia di Betlemme vista la profonda confusione che ancora regna nelle menti e nei cuori, alimentata da errori fin dalle origini della comunità? Quale riconoscimento e quale riparazione sono stati realmente messi in atto per coloro che la comunità riconosce essere stati feriti?». Nessun dialogo concreto è stato infatti ancora avviato o proposto dalla comunità con le persone interessate. «Di quale monitoraggio usufruiranno le comunità dopo questi anni di accompagnamento e di tutorato ecclesiale, visto che il lavoro di riforma non è stato né completato né stabilizzato? Quali garanzie sono state messe in atto per assicurare che il processo di riforma prosegua fino alla sua conclusione e che venga mantenuto uno sguardo esterno indipendente?». Operazioni cosmetiche, insomma, che non intaccano nemmeno la superficie.
Undicesimo: non pensare: il libro-denuncia di Fabio Barbero
Fabio Barbero, che in questa comunità, come detto, ha passato ventiquattro anni, racconta l’esperienza del plagio vissuto in un libro che, tuttavia, è molto più di una autobiografia. La narrazione diretta e personale mostra come si sviluppa il “plagio”, ossia l’annullamento progressivo della capacità critica di una persona all’interno di un contesto chiuso e carismatico come quello della Fraternité de Bethlèem.
Barbero parte dal caso giudiziario di Roberta Repetto, donna ligure morta in circostanze drammatiche in un centro olistico, che ha reso evidente la difficoltà della giustizia in Italia (dove un reato di plagio non esiste più dal 1981) nel riconoscere giuridicamente la manipolazione mentale. L’autore si riconosce, in qualche misura, nei meccanismi subdoli e sottili che hanno portato Roberta a perdere il controllo della propria vita, e sulla scia di questa vicenda illustra dall’interno le dinamiche del plagio, mettendo in scena la lenta e progressiva perdita dell’autonomia psichica, con l’obiettivo di dare voce alla sua esperienza e di allertare altri su come riconoscere i segnali della manipolazione mentale.
L’“arco” del plagio
È così che Barbero ne descrive plasticamente lo sviluppo come un “arco” che conosce una prima fase ascendente: la naturale vulnerabilità personale (dolore, delusioni, ma anche semplicemente la ricerca di senso tipica dell’età adolescenziale e la disponibilità a fare esperienze) è una porta che può aprire all’incontro con un “carismatico” o una comunità che offre risposte radicali; il progressivo assorbimento delle idee della comunità è accompagnato dalla sospensione dello spirito critico e dall’assunzione dell’obbedienza come valore assoluto; si arriva così all’identificazione progressiva con il gruppo e i suoi dogmi, che offrono una reinterpretazione della realtà, una realtà parallela ma apparentemente normale.
È a questo punto che inizia, quando inizia, la fase discendente dell’arco, con la crisi portata da piccoli eventi che aprono crepe nella struttura mentale costruita, rendendo visibili le contraddizioni celate. È il primo passo verso la liberazione, ma si tratta di un processo lungo e doloroso, che passa attraverso la perdita di ogni punto di riferimento, interno ed esterno. Solo dopo aver guadato questo passaggio arriva la rinascita personale, con il recupero del senso critico, ma con sentimenti ambivalenti: c’è sollievo per la libertà riconquistata ma anche un senso di profonda vergogna per la cecità che si è vissuta. La persona recupera una forma di integrità, ma non è più quella di prima: è cambiata, e si porta dietro quella cicatrice per tutta la vita.
Questo fenomeno, come è ormai noto, non riguarda solo le sètte esoteriche, ma anche comunità ufficialmente riconosciute dalla Chiesa cattolica. In Francia, dove Barbero vive, la manipolazione mentale è reato. In Italia, dopo l’abolizione dell’art. 603 del Codice Penale nel 1981, esiste un vuoto giuridico che certamente favorisce i manipolatori. Nella Chiesa, però, il plagio è abuso spirituale, frutto di un abuso di potere e di autorità. Il messaggio di Barbero è molto chiaro: non è necessario essere deboli o non essere sufficientemente formati per essere plagiati: basta essere fragili e in quel momento incontrare chi sa sfruttare quella condizione, protetto dall’istituzione.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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