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Est Congo: siglata la road map per l’accordo governo-ribelli. Ma la strada è in salita

Est Congo: siglata la road map per l’accordo governo-ribelli. Ma la strada è in salita

Tratto da: Adista Notizie n° 29 del 02/08/2025

42340 ROMA-ADISTA. Risale al 27 giugno scorso la sigla dell’accordo siglato a Washington dai ministri degli esteri della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e del Ruanda alla presenza del Segretario di Stato Usa Marco Rubio (v. Adista Notizie n. 27/25). Il testo dell’accordo, mediato dagli USA (integrale qui: urly.it/31bg-8), si inseriva nel solco della “Dichiarazione di principi”, firmata anch’essa a Washington il 25 aprile, e prevedeva alcuni punti cruciali, come il contrasto all’intervento delle milizie irregolari nella Regione, il riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale, il ritorno degli sfollati e la gestione coordinata e trasparente delle risorse minerarie della regione. Questo ultimo punto è sembrato da subito il vero nodo della trattativa, quello che tra l’altro ha motivato l’intervento americano. Tanto che altre questioni dirimenti sono rimaste del tutto ignorate: per esmepio, il riconoscimento del Ruanda come Stato aggressore – per via del fiancheggiamento al Movimento invasore M23, mai ammesso ma più volte denunciato anche dalle Nazioni Unite – e il coinvolgimento dello stesso M23 ai negoziati americani tra Ruanda e Congo.

Parallelamente, intanto, le trattative tra governo RDC e ribelli M23/AFD sono proseguite per tre mesi, questa volta a Doha, sotto l’egida del Quatar, con il sostegno dell’Unione Africana e con la partecipazione degli Stati Uniti, rappresentati da Massad Boulos (suocero della figlia di Donald Trump, Tiffany, consigliere per l’Africa del Dipartimento di Stato USA, imprenditore statunitense nato in Libano, uomo chiave in campagna elettorale per spostare il consenso degli arabi americani verso Trump, v. Adista Notizie n. 19/25). Anche in questo caso il punto di partenza è una “Dichiarazione di principi”, siglata sabato 19 luglio scorso alla presenza del ministro degli Esteri del Qatar, che stabilisce una road map negoziale che si aprirà l’8 agosto in vista l’accordo di pace globale, previsto per il 17 agosto a Doha. In linea con l’accordo di Washington, con questa Dichiarazione, le parti si impegnano al cessate il fuoco a partire dal 29 luglio, al principio di non aggressione reciproca, a forme di controllo della tregua anche con l’aiuto della missione Onu Monusco, alla tutela dei civili, al rispetto del diritto internazionale e delle principali Carte (Costituzione della RDC, Statuti delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana), allo scambio di prigionieri, al rientro degli sfollati e dei migranti forzati di concerto con l’Unhcr e con gli Stati confinanti, a un graduale ritiro dei miliziani e un ripristino dell’autorità nazionale nelle aree oggi occupate. L’obiettivo dichiarato, in attesa di una pace che si intende stabile e di lunga durata, è fermare le violenze dilaganti nelle province orientali della RDC, invase e controllate dalle milizie M23 che hanno preso Goma (Nord Kivu) il 27 gennaio scorso e Bukavu (Sud Kivu) il 16 febbraio.

Esultano l’Unione Africana, gli States e le potenze europee, come Francia e Belgio, che hanno diffuso note fiduciose ritenendo il percorso verso una pace duratura ben istradato, complimentandosi con le autorità quatariote, invocando il rispetto della Dichiarazione fino alla firma dell’accordo.

In un comunicato stampa diffuso il giorno stesso dal Ministero degli affari esteri ruandese (urly.it/31bnj9), il governo di Paul Kagame – che ha sempre negato il proprio sostegno al’M23 – ha salutato con favore la sigla a Doha della Dichiarazione di principi, definendolo una «tappa significativa» verso la pace nell’Est del Congo e in tutta la regione. La nota ribadisce il sostegno ruandese «alla prosecuzione di questo progresso fino al suo completamento», «alla pace duratura e allo sviluppo economico nella regione dei Grandi Laghi».

Parole che risultano ipocrite e poco credibili, soprattutto alla luce degli ultimi due report semestrali (dicembre e giugno) del gruppo di esperti Onu sulla RDC, guidati dalla belga Melanie De Groof. Gli esperti hanno raccolto la testimonianza di fonti interne alle istituzioni e all’esercito ruandesi, secondo le quali l’M23 è di fatto una ramificazione dell’esercito ruandese, il cui obiettivo a lungo termine resta l’occupazione e l’amministrazione delle province minerarie, tanto che l’M23 avrebbe già occupato con suoi uomini tutte i principali gangli del potere politico locale (governatori, sindaci, capi della polizia, ecc.). Il tutto sotto lo sguardo niente affatto stupito e forse anche compiaciuto delle potenze occidentali, che continuano a fare affari sulle risorse con Kagame e a ritenerlo un interlocutore affidabile nella Regione africana.

Il 21 luglio scorso, la testata panafricana Africanews ha raccolto il commento (urly.it/31bnjd) di Maude-Salomé Ekila, giornalista, reporter, scrittrice, artista, regista e attivista della società civile congolese per i diritti e l’unità africana. Da decenni, ha spiegato Ekila ad Africanews invitando a non cedere a facili entusiasmi, «esiste un sistema di predazione internazionale organizzato per sfruttare le risorse congolesi. E dimentichiamo che questo è il nocciolo della questione». Ekila ha poi denunciato la corruzione dilagante nelle istituzioni e nelle forze armate congolesi, che ha impoverito il Paese, rendendolo incapace di reagire all’esercito M23, ben organizzato e finanziato. Ha poi invitato ad affrontare non solo il tema della pace ma anche quello della giustizia, per evitare che anche questo accordo possa essere calpestato da vecchie e nuove formazioni ribelli nel «sistema di predazione» che ciclicamente riemerge con violenza.

Scettica sembra anche la testata missionaria dei comboniani Nigrizia. L’accordo siglato, ha commentato l’autore dell’articolo Brando Ricci lo scorso 21 luglio (urly.it/31bnjb), lascia in sospeso un nodo dirimente per il destino della pace, prevedendo, infatti, «che il ripristino dell’autorità congolese su tutto il territorio nazionale venga stabilito nel dettaglio solo nelle nuove interlocuzioni». Restano indefinite tempistiche e modalità del ritiro delle milizie filo-ruandesi dall’Est Congo, e anche quelle dello smantellamento delle filo-congolesi Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr) – le milizie di hutu ruandesi emigrati oltreconfine dopo il genocidio dei tutsi del 1994 – la cui esistenza è considerata dal governo di Kagame una minaccia costante per i tutsi in Congo e Ruanda.

Ha denunciato ancora Brando che la recente Dichiarazione di intenti «sembra fallire lì dove pure ha fallito l’accordo fra RDC e Ruanda. Il documento non dispone la creazione di meccanismi per giudicare i responsabili dei crimini che sono stati commessi dalle parti» e, «in assenza di strumenti per fare giustizia, difficile immaginare i presupposti per una pace duratura». Così come a Washington, ha accusato l’analista, «la dimensione economica rischia quindi di oscurare aspetti fondamentali come la giustizia».

Nigrizia ha infine ricordato che un processo di pace dovrebbe coinvolgere anche le società civili del Paese, lacerate da anni di violenza, come sostiene da tempo Martin Fayulu, principale oppositore politico del presidente congolese Félix Tshisekedi (v. Adista Notizie n. 23/25), secondo il quale si rende necessario «un dialogo nazionale inclusivo, che riunisca tutti gli attori congolesi, sotto la mediazione congiunta della Conferenza episcopale e delle Chiese protestanti, con la facilitazione dell’Unione Africana».

*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza 

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