
Ancora sul caso di Toulouse: che fare dei preti pedofili che hanno scontato una condanna?
TOULOUSE-ADISTA. Non si spegne, in Francia, la polemica intorno al caso del prete Dominique Spina che, riconosciuto colpevole di abusi sessuali su un adolescente per un periodo di due anni, pur non avendo mai mostrato, durante il processo, un reale pentimento e avendo cercato di screditare la sua vittima, nominato parroco nel 2009, due anni dopo la sua uscita di prigione, e rimasto in carica fino al 2016, quando si è dimesso sotto la pressione mediatica, oggi viene scelto dal vescoovo mons. Guy de Kerimel per il delicatissimo ruolo di gran cancelliere, con responsabilità, quindi, sugli archivi diocesani. Da sottolineare che il codice di diritto canonico richiede una reputazione intatta per certi incarichi, il che rende problematica la sua nomina.
In un articolo sul quotidiano La Croix (7/8/2025), la presidente dell'associazione di sopravvissuti ad abusi Fraternité Victimes Mélanie Debrabant pone la questione centrale: che fare dei preti condannati che hanno scontato la pena? "Questo caso - scrive su La Croix - mette in evidenza quanto sia delicata la questione del destino dei preti autori di violenze sessuali, in particolare quando non vengono ridotti allo stato laicale. Non è un tema nuovo: la commissione Christnacht se ne occupa dal 2016.
Nel 2021, la prima raccomandazione della Ciase era di “assicurarsi che le persone riconosciute colpevoli di aggressione o abuso sessuale su minore o persona vulnerabile siano oggetto, nel tempo, di un percorso di presa in carico da parte di professionisti della salute”. Il primo problema è trovare questi operatori sanitari qualificati e formati".
E poi: "chi decide la fine di un percorso di cura? Cosa fare quando l’interessato interrompe il suo seguito senza concertazione? Il rapporto della Ciase chiedeva anche di 'garantire che qualsiasi persona coinvolta in un caso di aggressione o abuso sessuale su minore o persona vulnerabile non possa avere accesso a bambini, adolescenti o persone vulnerabili nell’ambito di una missione ecclesiale'". Insomma, si chiede Debrabant: l’obiettivo di proteggere possibili vittime è realistico? Il tasso di recidiva dei pedocriminali è elevato: dal 10 al 40%, secondo uno studio del marzo 2025.
Che compito affidare a questi uomini? Padre Patrick Goujon, gesuita, a sua volta vittima di abusi, ha recentemente testimoniato su La Croix di essere stato aggredito negli anni ’80 proprio dall’archivista della sua diocesi, che era stato nominato a quel posto proprio in seguito a denunce. Come è emerso dai lavori della commissione Ciase, molti archivi contenenti dati e notizie su casi di pedofilia sono stati distrutti. Altri preti vengono nominati cappellani di comunità religiose femminili, ma anche in quel caso un rischio c'è, dal momento che tali comunità sono spesso luoghi di ritiro e di passaggio. E poi, "queste donne che hanno consacrato la loro vita non meritano forse di meglio?".
Debrabant pone poi un altro interrogativo: "Se ammettiamo che questi preti debbano stare lontani da possibili vittime, chi li sorveglierà? Possiamo chiedere a un parroco di spiare il suo viceparroco? L’istituzione ecclesiale ha i mezzi per farlo, quando persino lo Stato, dotato di polizia e gendarmeria, non ci riesce?".
Non si può far credere, afferma la presidente di Fraternité victimes, "che la questione del reinserimento dei preti aggressori si riduca a questa sola alternativa: cancelliere o morte sociale".
A oggi, solo un vescovo francese ha contestato la decisione improvvida del suo confratello: mons. Hervé Jean Robert Giraud, vescovo di Viviers, che ha reagito pubblicamente prima sui social e poi in un’intervista a La Vie. Giraud delinea una terza via: “Non vedo perché un prete che ha scontato la sua pena non possa svolgere un lavoro ordinario come qualsiasi cittadino”.
"Non si può parlare di reinserimento degli aggressori - prosegue Debrabant - senza aver prima fatto di tutto per la riparazione delle vittime. Questi preti sono ospitati, stipendiati, accompagnati, sostenuti per le spese legali e mediche. Come accettare che un prete aggressore, anche se ha scontato la pena, possa essere trattato meglio di una vittima, che ne pagherà il prezzo per tutta la vita?".
Se negli ultimi anni qualche passo è stato fatto per le vittime, "la nostra esperienza a fianco delle persone vittime testimonia ancora numerose insufficienze e incompetenze. Oggi, molte vittime sono maltrattate, ignorate e ridotte al silenzio. Devono interagire con diversi interlocutori e ripetere ogni volta la loro storia, il che può metterle in pericolo. La loro sofferenza è trascurata, persino derisa da alcuni responsabili. Persone vulnerabili che contattano un centro di ascolto per raccontare i crimini subiti non ricevono consiglio legale. Nessuno le richiama per sapere come stanno". E poi, "malgrado il motu proprio Vos estis lux mundi di papa Francesco, non conosciamo nessuno che abbia beneficiato di un aiuto finanziario per le spese psicologiche.
Non esiste una consulenza specializzata in psicotraumatologia, dedicata e finanziata dall’istituzione. Le vittime sono lasciate sole: tocca a loro trovare operatori competenti e disponibili e pagare la propria terapia". Senza dire che "Le procedure canoniche restano opache, lasciando regolarmente la vittima nell’ignoranza del processo, delle sue conclusioni e delle eventuali sanzioni". Oggi, ad aiutare le vittime sono per lo più le associazioni. "Non sarebbe finalmente ora che l’istituzione prendesse risolutamente il partito della Misericordia: quella che si inginocchia davanti a queste vite spezzate e fa tutto il possibile per riparare?".
* Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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