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50 anni di Patto di integrazione delle chiese metodiste e valdesi. Un patto, due storie, una fede

50 anni di Patto di integrazione delle chiese metodiste e valdesi. Un patto, due storie, una fede

TORRE PELLICE (TO)-ADISTA. È iniziata con un ringraziamento ai sindaci la prima conferenza stampa dal Sinodo valdese 2025, questa mattina da Torre Pellice. Sul tema “Un patto, due storie, una fede” hanno parlato il pastore Luca Anziani, presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (Opcemi) e la pastora valdese Laura Testa, moderati da Roberto Davide Papini (redazione chiesavaldese.org). Proprio ieri il Sinodo valdese ha organizzato la consueta serata pubblica, con un vivace confronto sul tema “Cerchiamo il bene della città? Nuovi patti per territori che cambiano”. Il Patto, ha esordito Papini, «è un tema fortemente biblico che torna molte volte in questo Sinodo. La serata di ieri, ispirata a Geremia, ha raccolto la testimonianza di una serie di amministratori pubblici, che vogliamo ringraziare sentitamente. Oggi con i nostri ospiti parliamo del Patto di integrazione fra le chiese metodiste e valdesi, Patto che compie 50 anni».

Nel corso della conferenza stampa dedicata al Patto di integrazione tra chiese metodiste e valdesi, sono state approfondite le ragioni storiche e le motivazioni teologiche di questo percorso, insieme alle sue ricadute concrete nella vita delle comunità. Anziani ha ricordato come la ricerca di unità tra battisti, metodisti e valdesi affondi le radici nell’Ottocento, quando, già a Bologna e Vicenza, i cartelli delle comunità riportavano la dicitura “chiesa evangelica” con l’obiettivo di portare un annuncio liberante dal peso della superstizione. Negli anni Quaranta del Novecento, e poi nel dopoguerra, i pastori valdesi e metodisti avevano già intrapreso percorsi comuni di studio e riflessione, sostenuti anche dalla nuova teologia barthiana. Le difficoltà non sono mancate: dalla questione del nome al rischio di perdita di identità. «Il nome valdese non può essere smarrito – ha sottolineato Anziani – perché radica in una storia che va oltre le valli alpine e parla al Paese intero. La complessità è una ricchezza che arricchisce il rapporto con l’evangelismo italiano e mondiale». Anziani ha inoltre evidenziato che la vera sfida non è una «chiesa performante», ma una chiesa capace di evangelizzare, attenta agli ultimi: «Posso perdere tutto, ma non Gesù Cristo». L’esperienza di Essere chiesa insieme (Eci*), iniziata negli anni Novanta, mostra come le comunità metodiste e valdesi abbiano accolto fedeli provenienti dalla Nigeria e dal Ghana, poi da altri paesi, proponendo non una chiesa parallela, ma una casa spirituale condivisa, un luogo dove pregare e vivere la propria fede, la ricerca di una buona integrazione. «La benedizione – ha detto – non è mai un mettersi a riposo, ma vivere la vocazione della chiesa nella contaminazione reciproca, dove cambiano i linguaggi e le priorità, ma resta la testimonianza comune». È un modello, ma anche un «messaggio al Paese: la possibilità di un patto fra cittadini, in questo caso credenti, una cittadinanza che di fatto è acquisita, nel nostro caso nella chiesa».

Laura Testa ha raccontato la sua esperienza personale: “Da membro di chiesa, studentessa di teologia e oggi come pastora, ho sempre vissuto questa comunione. È una comunione fatta di relazioni fraterne e sororiche, di amicizie e solidarietà, che si rinnovano nei campi giovanili, negli organismi confessionali e nelle comunità locali». Per Testa, l’integrazione non significa fusione o appiattimento, ma riconoscere l’originalità e la perseveranza nella fede della tradizione valdese, insieme all’apporto del metodismo: «Il nome valdese parla di ascolto e accoglienza, di unità nella diversità, con uomini e donne che hanno iniziato a testimoniare insieme. È un patrimonio inestimabile che ho scelto e che amo». La sua esperienza pastorale a Verona, segnata dal progetto ECI, mostra una chiesa in cui fedeli di origini e culture diverse – in particolare dal Ghana – hanno imparato a vivere insieme la fede. «Parliamo lingue diverse, danziamo su ritmi diversi, ma vogliamo stare insieme. È un laboratorio di unicità e di dialogo, che mantiene l’unicità locale, in uno sforzo continuo a raccontarsi, incontrarsi e dialogare senza dare nulla per scontato, con la stessa freschezza che caratterizza l’incontro con la Parola».

 

foto Agenzia Nev

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